I video (manipolati pixel a pixel) di Peter Campus che fanno di ogni immagine della costa di Long Island un dipinto in movimento

Peter Campus, “Four oh two”. Image courtesy Carlocinque Gallery and the artist

La bellezza dei colori della natura costiera di Long Island è impressionante ma più della moltitudine cromatica può la ricchezza della tessitura, fatta di ombre e luci che mutando trasfigurano l’immagine; quest’ultima scorre lenta, mentre le forme, indecise tra il reale e l’immaginario, scelgono il linguaggio pittorico. Il risultato è vibrante e onirico. Eppure si tratta di sempici riprese di un paesaggio. D’altra parte, l’artista statunitense Peter Campus, manipola ogni singolo pixel di centinaia di ore di ripresa per raggiungere simili risultati.

Fotografo e pioniere della Videoarte insieme ad artisti come Bruce Nauman, Nam June Paik, Joan Jonas, Vito Acconci e Bill Viola (se il primo lo ha profondamente influenzato, l’ultimo l’ha addirittura aiutato ad allestire la sua prima personale importante all’Everson Museum of Art di Syracuse nel 1974), Peter Campus, indaga temi come la coscienza di sé, il senso d’identità, la percezione e la memoria.

Nato a New York City (nel 1937) dove ha vissuto per parecchi anni, Campus ha sentito l’esigenza di trasferirsi fuori città già nel 1976. In proposito ha detto in un’intervista: “Ad un certo punto diventa troppo: troppe sirene e troppo inquinamento atmosferico. Avevo bisogno di andarmene, e non temporaneamente”. Tuttavia il battito della grande mela sarà fondamentale nei primi anni della sua attività quando si troverà a contatto con il fermento creativo della sperimentazione artistica e cinematografica degli anni ’60. Lui nel frattempo, dopo essersi laureato in psicologia sperimentale alla Ohio State University, ha approfondito il montaggio allo City College Film Institute, ha lavorato nel settore cinematografico per un po’ e sviluppato un forte interesse per il minimalismo. A fare fotografie, invece, ha imparato dal padre medico già da ragazzino. Non a caso l’amore per la fotografia e quello per l’immagine in movimento si contenderanno il cuore di Campus per tutta la sua vita.

Raggiunge il successo (artistico, quello economico non arriverà mai pienamente e lo spingerà ad affiancare alla sua pratica l’insegnamento) lavorando sul tema del ritratto e dell’autoritratto, risolto in maniera sperimentale, ed utilizzato per indagare questioni filosofiche ma soprattutto psicologiche

L’interesse per il tema del paesaggio è di parecchi anni dopo.

Le video installazioni degli ultimi due decenni, al centro della mostra "Myoptiks" in corso alla Galleria Carlocinque Gallery di Milano, si concentrano tutti sulla bellezza della costa meridionale di Long Island. L’artista ha posizionato la fotocamera in luoghi attentamente selezionati, registrando centinaia di ore. Poi Campus ha lavorato su ogni frame, anzi su ogni singolo pixel, in modo da sublimare le immagini pur non stravolgendo il girato. Il risultato dà importanza allo scorrere del tempo, mentre il mutare del paesaggio avviene istante dopo istante, a seconda di ora del giorno, stagione, condizioni meteo. Tuttavia, Campus, effettua le riprese cercando di esprimere contemporaneamente i propri pensieri e stati d’animo. La natura quindi si trasforma in un riflesso dell’io più profondo dell’artista. Mentre lo spettatore nello scorrere lento delle immagini (musicate, mostrate in un ambiente buio) incontra anche una dimensione meditativa.

Campus, infatti, si ispira al metafico e studioso dell’arte indiana, Ananda Coomaraswamy (originario dell’attuale Sri Lanka, fu curatore di arte indiana al Boston Museum of Fine Arts dal 1917 al 1947 e diede un contributo fondamenta all’introduzione dell’antica arte indiana in Occidente) e parafrasando le sue parole dice che mentre l'arte contemporanea spesso cattura un momento nel tempo, un'arte più meditativa cerca di rappresentare una condizione continua, avvicinandosi al ‘Tao’ o alla fonte stessa delle cose. All’artista newyorkese poi preme sottolineare la differenza che passa tra ciò che vediamo, ciò che i dispositivi elettronici registrano e come gli altri leggono il soggetto. “La telecamera- ha detto l’artista- è indipendente da me, la mia mente vaga mentre sta registrando. Vede in un modo che io non posso: con maggior dettaglio, con più pazienza”.

Le opere di Peter Campus sono conservate in alcune tra le collezioni più importanti del mondo, come quelle del MoMa e del Whitney di New York, della Tate Modern di Londra, del Pompidou di Parigi, del museo Reina Sofia di Madrid, o dell'Hamburger Bahnhof di Berlino.

La mostra di Peter Campus "Myoptiks" alla Carlocinque Gallery di Milano è cominciata il 2 ottobre e si concluderà il 6 dicembre 2023.

Peter Campus, “Straffe”. Image courtesy Carlocinque Gallery and the artist

Peter Campus, “Squassux Puddle”. Image courtesy Carlocinque Gallery and the artist

Peter Campus, “Lament”. Image courtesy Carlocinque Gallery and the artist

Peter Campus ritratto a Saint Nazaire, France. Image courtesy Carlocinque Gallery and the artist

Il paesaggio minuscolo e fuggente delle nuove opere di Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

E’ il principio dell’estate sull’Isola di Hokkaido (a nord del Giappone): i piedistalli dalle forme minimali dell’installazione ricorrente “Snow Pallet”, che Toshihiko Shibuya usa per monitorare l’accumularsi della neve durante la stagione fredda (sottolineando così il mutare del paesaggio a seconda del mese, del giorno, e persino dell’ora), sono ancora in mezzo alla natura. I semi bianchi e lanugginosi di un gruppo di piante li ha ricoperti, persino i colori vividi, che l’artista applica alla base delle scarne sculture, si proiettano su di loro come farebbero con la neve. Un piccolo miracolo che Shibuya non manca di ammirare e pubblicare su Instagram:

La lanugine dei salici si accumula come neve- scrive- Il carico di neve estiva è un carico semplicemente soffice”.

Queste minuscole ed inaspettate modifiche dell’ambiente naturale che ci circonda e che si fa sentire sia in città che in campagna, sono per lui fonte di continuo stupore. Oltre a costituire momenti di trasformazione della sua opera.

Quasi leggendario per rigore e cautela, Toshihiko Shibuya, infatti, da anni ormai basa la sua pratica, su due serie scultoree che documentano lo svolgersi e il succedersi delle stagioni piene (“Snow Pallet” in inverno, “Generation” in estate). Lavori minimali, pensati per mettere al centro la natura, intervenendo il meno possibile su di essa (supporti per sostenere le nevicate d’inverno, puntine a testa sferica da posizionare direttamente nei boschi sul finire dell’estate). Preferendo una scarna forma di scultura, mutevole ed effimera, alle opere ideate come commento o interpretazione.

Tuttavia, l’artista originario di Sapporo, oltre a rileggere il classico tema del paesaggio in chiave contemporanea e a rinfrescare il canovaccio ormai datato della Land Art introducendo elementi nuovi (manufatti di derivazione industriale e colori ‘kawaii’), gioca gran parte del suo lavoro sulla memoria. Si fanno sentire sia l’idea di celebrare e preservare la vibrante bellezza della vita che quella di mappare i cambiamenti del clima (e di conseguenza dell’ambiente) nel corso del tempo.

La legge dei cicli naturali-ha affermato più volte - ha cominciato a perdersi a poco a poco”.

Proprio per questo alle sue installazioni affianca anche degli oggetti volti a preservare l’ineffabile bellezza del paesaggio estivo o invernale. Più spesso si tratta di tronchi ricoperti di muschio. prelevati direttamente dal sottobosco, su cui l’artista interviene con puntine da disegno colorate che simulano la vita minuscola di funghi, mucillaggini e insetti.

E’successo pure nella sua ultima infornata di opere, intitolata “Between Art and nature” (parte della serie “Birth-Origin"). Ci sono, appunto, cortecce punteggiate da elementi bianchi (pochissimi) e tramutate in giardini mobili su cui continuano a prosperare fili d’erba e piante selvatiche. Ma anche oggetti trovati, accostati tra loro (come un lapislazzulo grezzo, messo accanto al corallo e ad pezzo di legno macchiato di blu dal fungo Chlorosplenium aeruginosum), che ricordano le collezioni botaniche di un museo di storia naturale, così come quelle di un Gabinetto delle Curiosità. Di diametralmente opposto rispetto ad una Wunderkammer c’è la ricerca della quotidianità su cui l’artista orienta ogni sua scelta: quelle che ritroviamo al centro del suo lavoro sono specie botaniche o di funghi comunissime. Talmente diffuse da comparire, a prima vista, inalterate, da una parte all’altra del Pianeta; forme di vita semi- apolidi, cui siamo tutti talmente abituati da rivolger loro raramente lo sguardo. Eppure antichissime e che restano in gran parte territorio inesplorato dal sapere umano (la maggior parte dei muschi, per esempio, sono dei veri e propri fossili viventi: esistono da almeno 200miioni di anni).

L’artista ha anche sistemato un tipo particolarmente armonioso di muschio in un vaso da bonsai e ha usato delle puntine a testa sferica rosa corallo per sottolinearne la bellezza:

Raffigura- ha spiegato- lo sviluppo della formazione del corpo fruttifero della muffa melmosa (fungo deformato) Lycogala epidendrum. Quando l'epidendro è giovane è rosa e piccolo con un diametro di circa 5 mm”.

Questo interesse per l’ecosistema del sottobosco nella sua declinazione più minuscola, allude ai nostri limiti sensoriali e all’inarrestabilità del ciclo vitale. In qualche modo suggerisce che il vuoto non esiste. Ma cerca anche di porre rimedio alla miopia umana, congelando i piccoli-grandi miracoli che si consumano ogni giorno, talmente in fretta, da non riuscire a coglierli. Così, le fotografie del momento in cui i semi dei soffioni prendono il volo (ingranditi e in bianco e nero), diventano poetici giochi di ombre e luci, un elegante proliferare di segni, in bilico tra rappresentazione e trasfigurazione della realtà. Che in un momento sovrappongono registri comunicativi diversi, quasi indecise se raccontare una storia, documentare un fenomeno, citare la Storia dell’Arte o permettere alla mente di disegnare una propria, intima, cosmogonia del quotidiano.

Toshihiko Shibuya ha un sito internet che tiene sempre aggiornato e, in genere, condivide sia su Facebook che su Instagram le evoluzioni della sua opera.

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Le opere poetiche ed eversive di Thao Nguyen al Pirelli Hangar Bicocca di Milano

Thao Nguyen Phan, “Reincarnations of Shadows”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

L’artista vietnamita Thao Nguyen Phan si pone domande su passato, presente e futuro del suo paese natale, attraverso un linguaggio poetico e delicato, quasi aereo; come i mezzi espressivi che predilige (video, pittura, lacche e acquerelli su seta ecc.), con cui mixa miti, folklore e memoria ad urgenze della contemporaneità (inquinamento, industrializzazione), per tessere narrazioni stratificate ed affascinanti.

Non è mai diretta ma non per questo questo le sue storie sono meno dure. Anzi.

Ne è un esempio la grande installazione “No Jute Cloth for the Bones”, formata da centinaia di fusti di juta grezzi, lasciati pendere dal soffitto gli uni accanto agli altri. A vedersi infatti, prima ancora di conoscerne il titolo, l’opera è piacevole, sembra quasi un riparo, dotato, tuttavia, di un allure naturale che spinge ad ammirarlo come si farebbe con un paesaggio. E’ quasi rilassante. Salvo poi scoprire che fa riferimento alla Grande Depressione che colpì il Vietnam nel ’44 e fece morire un numero di persone impressionante, oggi stimate tra 400mila e 2 milioni (il motivo principale fu che durante l’occupazione giapponese dell’Indocina i campi di riso vennero convertiti in piantagioni di juta per produrre divise militari).

Thao Nguyen Phan No Jute Cloth for the Bones, 2019 – in corso Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

No Jute Cloth for the Bones” è solo una delle opere che Thao Nguyen ha presentato a Milano dov’è in corso la sua personale al Pirelli Hangar Bicocca. E sono tutte caratterizzate da una sorta di onirico distacco. Intitolata “Reincarnations of Shadows”, la mostra (a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli), è la prima esposizione dedicata all’artista vietnamita da un’istituzione italiana e conta diversi lavori inediti. Come la video installazione “Reincarnations of Shadows (moving-image-poem)” da cui deriva il titolo dell’evento (commissionata da Pirelli HangarBicocca e co-prodotta da Fondazione In Between Art Film).

In quest’utima Nguyen fa riferimento alla figura dell’artista Diem Phung Thi (1920-2002) che fu una delle prime donne a fare scultura modernista (visse tra Francia e Vietnam) e riflette sulle relazioni intergenerazionali tra artiste in contesti post-coloniali. Di Diem Phung Thi, l’evento, coglie l’occasione per esporre parecchie opere

Diem Phung Thi Selezione di sculture per la mostra “Reincarnations of Shadows” by Thao Nguyen Phan, 1960 1970 circa (particolare) Collezione privata, Vietnam Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Nata a Ho Chi Minh City nell’87, Thao Nguyen ha avuto una formazione cosmopolita (ha studiato a Ho Chi Minh City ma anche a Singapore e Chicago). Subito dopo ha contribuito a fondare il collettivo vietnamita Art Labor (esplora pratiche interdisciplinari e sviluppa progetti artistici a beneficio della comunità locale) di cui fa parte anche il marito, l’artista Truong Cong Tung (in mostra a Milano c’è anche un’opera che ha realizzato in collaborazione con lui), da cui ha avuto due figli. Adesso, dopo aver vinto riconoscimenti prestigiosi riservati ai giovani artisti come l’Hugo Boss Asia Art Award ma soprattutto dopo aver partecipato a mostre di rilievo internazionale come quella di Cecilia Alemani nella scorsa edizione della Biennale di Venezia, il successo di Nguyen sembra consolidato e destinato a crescere.

Questo malgrado le restrizioni che gli artisti vietnamiti sono ancora costretti a subire in patria. Una pubblica esposizione, infatti, è considerata un’occasione di comunicare messaggi sgraditi o controversi e le autorità si tutelano esigendo l’autorizzazione del Ministero della Cultura e del Turismo prima di ogni evento. Inutile dire che ottenerla non è affatto scontato e un rifiuto causerebbe guai. Così a domandarla sono in pochi e non prima di aver contattato dei consulenti legali. Anche Nguyen quando in passato ha esposto a Ho Chi Minh City ha scelto di scendere a compromessi.

Thao Nguyen Phan Voyages de Rhodes, 2014-2017 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

D’altra parte il lavoro di Nguyen, se pur addolcito dalla carica poetica e dalla maniera sognante che sceglie per raggiungere la meta, dice cose forti. Uno dei temi forse più presenti ed eversivi è quello del vero e del falso, della Storia riscritta per essere consegnata alla memoria.

Mi interessa la narrativa- ha detto tempo fa- perché ad un certo punto mi sono resa conto che il Vietnam stesso è come una grande finzione. Non sai cosa è vero e cosa non lo è."

Per dare il suo contributo alla ricerca della verità, lei, spesso, si fa raccontare vecchie storie o spulcia antichi documenti. Lo ha fatto anche a Roma qualche anno fa, quando ha consultato l’Archivio dei Gesuiti, incontrando lettere e testi del VII secolo in cui si parlava del periodo misconosciuto della storia vietnamita. La colpa del mistero su ciò che succedeva in Vietnam in quegli anni e prima di essi è del missionario gesuita francese Alexandre de Rhodes che traslitterò la scrittura vietnamita, fino ad allora basata sui caratteri cinesi, in alfabeto latino rendendo i vecchi manoscritti incomprensibili ai più. Nguyen su questa vicenda ha costruito varie opere, ma quando parla del popolo vietnamita privato del proprio passato, si capisce che il riferimento è anche a una riscrittura dei fatti avvenuta in tempi molto più recenti.

Thao Nguyen Phan Becoming Alluvium, 2019 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Prodotto da Han Nefkends Foundation in collaborazione con Fundació Joan Miró, Barcellona; WIELS Contemporary Art Centre, Bruxelles; Chisenhale Gallery, Londra Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

L’emergenza ambientale entra invece in gioco, quando fa riferimento al ruolo e ai cambiamenti avvenuti nel fiume Mekong, dopo l’industrializzazione che ha preso le mosse dalla liberalizzazione del Vietnam (1985). E a voler ben guardare anche in questi lavori sempre di perdita della memoria collettiva si parla.

Reincarnations of Shadows” di Thao Nguyen rimarrà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano fino al 14 gennaio 2024. E’ stata concepita in collaborazione con la Kunsthal Charlottenborg di Copenaghen (dove una versione dello stesso progetto verrà presentata nella primavera-estate 2024). Adesso si può visitare insieme alla personale dedicata allo scomparso James Lee Byars (al 12 ottobre al 18 febbraio 2024 sempre all’Hangar).

Thao Nguyen Phan, “Reincarnations of Shadows”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan, “Reincarnations of Shadows”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan First rain, Brise-soleil, 2021 – in corso Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Prodotto da Han Nefkens Art Foundation in collaborazione con Kochi Biennale, con il support  di Tate St Ives Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan Dream of March and August, 2018 – in Corso (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista; Galerie Zink Waldkirchen e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan, Mute Grain, 2019Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Commisionato da Sharjah Art Foundation con il support di Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan Perpetual Brightness, 2019 – in corso In collaborazione con Truong Cong Tung Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista; Galerie Zink Waldkirchen e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan Perpetual Brightness, 2019 – in corso In collaborazione con Truong Cong Tung Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista; Galerie Zink Waldkirchen e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan First rain, Brise-soleil, 2021 – in corso Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Prodotto da Han Nefkens Art Foundation in collaborazione con Kochi Biennale, con il support  di Tate St Ives Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio