Biennale di Venezia| “Compose” il padiglione Giappone sulla magia della creatività quotidiana di Yuko Mohri

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Frizzante e denso di riferimenti alla bizzarria della quotidianità, “Compose”, il Padiglione Giappone di Yuko Mohri per la 60esima Esposizione Internazionale d’Arte, è piaciuto un po’ a tutti. Sarà che l’artista originaria di Kanagawa (una cittadina a sud di Tokyo) ha comperato tutti gli oggetti che sono serviti per le sue sculture cinetiche nelle botteghe del centro storico di Venezia, sarà che i suoni e le luci prodotti dal marcire della frutta suscitano meraviglia. Tuttavia, il Giappone (come l’Italia del resto) è uno dei pochi Paesi con una democrazia compiuta e un passato importante a non essersi lasciati coinvolgere dall’argomento portante della Biennale 2024 (la decolonizzazione). E questo lo ha fatto apparire un po’fuori dal coro.

Curato dal critico coreano, Sook-Kyung Lee (“Per la prima volta quest'anno, un cittadino non giapponese –ha spiegato l’artista in un’intervistaè stato invitato a supervisionare il padiglione giapponese”), “Compose”, come in genere le opere di Mohri, sollecita più sensi contemporaneamente. C’è il suono a cui l’artista attribuisce molta importanza (ha, tra l’altro, lavorato con affermati musicisti in Giappone), l’olfatto (che qui non sarà centrale come nel vicino Padiglione Corea ma riveste un suo ruolo) e naturalmente la vista, cui le forme e i colori degli oggetti assemblati da Mohri, regalano una piacevole esperienza. Sono, infatti, esposti dei mobiletti (anche loro reperiti in laguna) con sopra fruttiere, piene di arance, mele, angurie; a volte, poi, i frutti sono disposti direttamente sul piano, ma poco importa, in ognuno c’è un sensore che traduce il variare della composizione chimica dell’alimento in suoni e luci.

L’opera, che si intitola “Decomposition”, di fatto cambia in continuazione: muta l’odore (della frutta in decomposizione), l’intensità delle luci e cambiano i suoni. Mohri, infatti, sostituisce i prodotti abbastanza spesso (anche perché acquista frutta già molto matura, tanto da non essere più commerciabile), per poi farne compost per il parco in cui si tiene la Biennale (i Giardini). Il lavoro fa riferimento al ciclo della vita e al tentativo incessante di preservare la memoria. E, naturalmente, all’ecologia.

Ancora più evidente questo aspetto, nell’opera cardine del Padiglione Giappone: “La scultura cinetica di grandi dimensioni ‘Moré Moré (Leaky)’- ha spiegato il curatore, Sook-Kyung Lee- consta di molti oggetti quotidiani e pronti all’uso, come secchi di plastica, tubi traslucidi e piccole pompe che spostano l’acqua da un posto all’altro, presi dalle ferramenta locali (…)”. Per realizzarla Mohri, che in passato era stata colpita da soluzioni di fortuna adottate dal personale della metropolitana di Tokyo, ha creato delle perdite d’acqua appositamente per combatterle con catini, imbuti, bottiglie vuote e quant’altro. Ha anche ripristinato il lucernario e lasciato in bella vista il foro che caratterizza il pavimento dell’edificio costruito nel ’56 dall’architetto nipponico, Takamasa Yoshizaka (allievo di Le Corbusier). In maniera che i temporali potessero contribuire spontaneamente al moto incessante della scultura.

D’altra parte, Mohri, studia con grande attenzione l’ambiente prima di decidere definitivamente il contenuto delle sue mostre. “Per me, iniziare un lavoro- ha affermato in un’altra intervista- è un processo sia cognitivo che fisico. Naturalmente è fondamentale conoscere il sito espositivo e la storia del territorio circostante (…) una volta decisa la sede, mi assicuro di trascorrere più tempo possibile lì, da sola. A quel punto ho bisogno di restare indisturbata, sola, ascoltando direttamente lo spazio. È così che identifico le caratteristiche e gli elementi che lo compongono (…) Trascorro del tempo nelle gallerie finché non vedo la collocazione delle opere, determinata dalle condizioni, inclusa la consistenza del pavimento e le correnti d'aria create dal sistema di aria condizionata. Dall'esterno, questo processo potrebbe sembrare come se fossi semplicemente da sola nella stanza (lol), ma la mia testa gira tutto il tempo”.

Moré Moré (Leaky)” ha a che fare con l’ecologia (il riutilizzo degli oggetti, l’acqua alta di Venezia, le inondazioni e in generale le follie del clima) ma anche con il bagaglio di conoscenze nascoste nella vita di tutti i giorni, e con la poetica fantasia di cui diamo prova quando siamo alle prese coi problemi della quotidianità. Con l’origine della creazione e, in definitiva, con quella dell’arte stessa.

Mohri- scrive sul sito del padiglione il curatore- osserva come le crisi facciano emergere la massima creatività nelle persone (…) Le perdite d’acqua non vengono mai risolte del tutto e la frutta finisce a marcire nel compost, ma questi sforzi apparentemente futili indicano un barlume di speranza che la nostra umile creatività potrebbe portare”.

Compose”, il Padiglione Giappone di Yuko Mohri, vi piacerà. Resterà aperto per tutta la durata della Biennale di Venezia 2024 (fino al 24 novembre).

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of JAPAN, Compose, 60th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia. Photo by: Matteo de Mayda  Courtesy: La Biennale di Venezia

Quest'estante Julian Charrière installerà un telefono sulla Piazza del Mercato di Basilea per ascoltare la voce della giungla

JULIAN CHARRIÈRE, WESTERN ANDEAN CLOUD FOREST, ECUADOR, 2024 © the artist; VG-Bild Kunst, Bonn, Germany / 2024, ProLitteris, Zurich

Dal prossimo 8 giugno chi passerà per la Piazza del Mercato di Basilea si potrà godere, “Calls for Action”, una grande opera d’arte pubblica dell’artista franco-Svizzero, Julian Charrière. Il progetto prevede un mega schermo che, coprendo i lavori di ristrutturazione degli storici grandi magazzini Globus, mostrerà in presa diretta una foresta nebulosa delle Ande Occidentali in Equador. Non solo: ci sarà anche una cabina telefonica che le persone potranno usare per parlare e ascoltare… la foresta. Il tutto perfettamente eco-compatibile, visto che il progetto sarà alimentato da pannelli solari.

Calls for Action” sarà la seconda opera pubblica del “Globus Public Art Project” (organizzato dai grandi magazzini svizzeri durante il triennio di ristrutturazione della loro sede principale) ed è stato commissionato dall’azienda di commercio al dettaglio in collaborazione con la Fondazione Beyeler. Hanno inoltre supportato il progetto: Art into Acres (iniziativa ambientale senza scopo di lucro gestita da artisti) Re:wild (organizzazione globale che sostiene le cause ambientali nel mondo) e Fundación de Conservación Jocotoco (organizzazione non governativa ecuadoriana che protegge aree di cruciaali per la conservazione delle specie minacciate nella zona).

Nato nell’87 da padre svizzero e madre francese, Julian Charrière, si è formato in Germania con Olafur Eliasson (il cui impegno contro la crisi ambientale è ben noto) e ha lo studio a Berlino. Con un’opera che è un curioso mix di spirito d’avventura romantico, attivismo ambientalista contemporaneo e un pizzico di bizzarria senza tempo, Charrière, ha già fatto spesso parlare di se nonostante la giovane età. Come nel 2021 quando è stato invitato a partecipare ad una spedizione artica insieme a degli scienziati e il gruppo ha scoperto l’isola più settentrionale della Groenlandia (come gli esploratori di un tempo pensavano di esssere attraccati su Oodaaq, visto che l’isola su cui si trovavano non era segnata sulle mappe). Oppure come nel 2017, quando la polizia ha fatto irruzione nel suo studio di Berlino, dopo che aveva testato un cannone ad aria lungo tre metri che avrebbe dovuto servire per sparare alle noci di cocco sull’atollo di Bikini e che di lì a poco sarebbe stato mandato alla biennale antartica ma che è ancora adesso sotto sequestro (l’opera si chiama “The Purchase of the South Pole” e avrebbe dovuto essere un commento ai pericoli per il clima insiti nella ricerca scientifica).

Lo scopo di “Calls for Action”, in cui le persone potranno osservare nel tempo e persino parlare o ascoltare un ecosistema ricchissimo e lontano, è quello di creare un legame emotivo tra la gente e un luogo remoto la cui esistenza è minacciata. Ma le persone potranno anche contribuire alla sua salvaguardia donando alla causa (attraverso un codice QR posto nella cabina telefonica).

Volevo creare un'opportunità- ha dichiarato l’artista- per il pubblico di interagire intimamente con un ecosistema distante da Basilea e di ascoltare la propria voce al suo interno. (L’opera ndr) i ricorda che la nostra presenza si fa sentire anche nei luoghi che immaginiamo siano a distanza. Tutto è connesso e non c'è luogo che non senta le conseguenze dell'azione umana, così come dell'inazione. ‘Calls for Action’ è un incontro con questa realtà, ma anche con la possibilità che si ha se agiamo con intenzione, se mettiamo insieme le nostre voci, possiamo sostenere e far ricrescere ciò che altrimenti sarebbe andato silenziosamente perduto”.

Dell’opera pubblica Charrière ha detto: “Volevo creare un'opportunità per il pubblico di interagire intimamente con un ecosistema distante da Basilea e di ascoltare la propria voce al suo interno. Ci ricorda che la nostra presenza si fa sentire anche nei luoghi che immaginiamo siano lontani. Tutto è connesso e non c'è luogo che non senta le conseguenze dell'azione umana, così come dell'inazione. ‘Calls for Action’ è un incontro con questa realtà, ma anche con la possibilità che si ha se agiamo con intenzione, se mettiamo insieme le nostre voci, possiamo sostenere e far ricrescere ciò che altrimenti sarebbe andato silenziosamente perduto”.

Calls for Action” di Julian Charrière rimarrà sulla Piazza del Mercato di Basilea fino al 6 ottobre 2024

JULIAN CHARRIÈRE, WESTERN ANDEAN CLOUD FOREST, ECUADOR, 2024 © the artist; VG-Bild Kunst, Bonn, Germany / 2024, ProLitteris, Zurich

JULIAN CHARRIÈRE, WESTERN ANDEAN CLOUD FOREST, ECUADOR, 2024 © the artist; VG-Bild Kunst, Bonn, Germany / 2024, ProLitteris, Zurich

Il paesaggio minuscolo e fuggente delle nuove opere di Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

E’ il principio dell’estate sull’Isola di Hokkaido (a nord del Giappone): i piedistalli dalle forme minimali dell’installazione ricorrente “Snow Pallet”, che Toshihiko Shibuya usa per monitorare l’accumularsi della neve durante la stagione fredda (sottolineando così il mutare del paesaggio a seconda del mese, del giorno, e persino dell’ora), sono ancora in mezzo alla natura. I semi bianchi e lanugginosi di un gruppo di piante li ha ricoperti, persino i colori vividi, che l’artista applica alla base delle scarne sculture, si proiettano su di loro come farebbero con la neve. Un piccolo miracolo che Shibuya non manca di ammirare e pubblicare su Instagram:

La lanugine dei salici si accumula come neve- scrive- Il carico di neve estiva è un carico semplicemente soffice”.

Queste minuscole ed inaspettate modifiche dell’ambiente naturale che ci circonda e che si fa sentire sia in città che in campagna, sono per lui fonte di continuo stupore. Oltre a costituire momenti di trasformazione della sua opera.

Quasi leggendario per rigore e cautela, Toshihiko Shibuya, infatti, da anni ormai basa la sua pratica, su due serie scultoree che documentano lo svolgersi e il succedersi delle stagioni piene (“Snow Pallet” in inverno, “Generation” in estate). Lavori minimali, pensati per mettere al centro la natura, intervenendo il meno possibile su di essa (supporti per sostenere le nevicate d’inverno, puntine a testa sferica da posizionare direttamente nei boschi sul finire dell’estate). Preferendo una scarna forma di scultura, mutevole ed effimera, alle opere ideate come commento o interpretazione.

Tuttavia, l’artista originario di Sapporo, oltre a rileggere il classico tema del paesaggio in chiave contemporanea e a rinfrescare il canovaccio ormai datato della Land Art introducendo elementi nuovi (manufatti di derivazione industriale e colori ‘kawaii’), gioca gran parte del suo lavoro sulla memoria. Si fanno sentire sia l’idea di celebrare e preservare la vibrante bellezza della vita che quella di mappare i cambiamenti del clima (e di conseguenza dell’ambiente) nel corso del tempo.

La legge dei cicli naturali-ha affermato più volte - ha cominciato a perdersi a poco a poco”.

Proprio per questo alle sue installazioni affianca anche degli oggetti volti a preservare l’ineffabile bellezza del paesaggio estivo o invernale. Più spesso si tratta di tronchi ricoperti di muschio. prelevati direttamente dal sottobosco, su cui l’artista interviene con puntine da disegno colorate che simulano la vita minuscola di funghi, mucillaggini e insetti.

E’successo pure nella sua ultima infornata di opere, intitolata “Between Art and nature” (parte della serie “Birth-Origin"). Ci sono, appunto, cortecce punteggiate da elementi bianchi (pochissimi) e tramutate in giardini mobili su cui continuano a prosperare fili d’erba e piante selvatiche. Ma anche oggetti trovati, accostati tra loro (come un lapislazzulo grezzo, messo accanto al corallo e ad pezzo di legno macchiato di blu dal fungo Chlorosplenium aeruginosum), che ricordano le collezioni botaniche di un museo di storia naturale, così come quelle di un Gabinetto delle Curiosità. Di diametralmente opposto rispetto ad una Wunderkammer c’è la ricerca della quotidianità su cui l’artista orienta ogni sua scelta: quelle che ritroviamo al centro del suo lavoro sono specie botaniche o di funghi comunissime. Talmente diffuse da comparire, a prima vista, inalterate, da una parte all’altra del Pianeta; forme di vita semi- apolidi, cui siamo tutti talmente abituati da rivolger loro raramente lo sguardo. Eppure antichissime e che restano in gran parte territorio inesplorato dal sapere umano (la maggior parte dei muschi, per esempio, sono dei veri e propri fossili viventi: esistono da almeno 200miioni di anni).

L’artista ha anche sistemato un tipo particolarmente armonioso di muschio in un vaso da bonsai e ha usato delle puntine a testa sferica rosa corallo per sottolinearne la bellezza:

Raffigura- ha spiegato- lo sviluppo della formazione del corpo fruttifero della muffa melmosa (fungo deformato) Lycogala epidendrum. Quando l'epidendro è giovane è rosa e piccolo con un diametro di circa 5 mm”.

Questo interesse per l’ecosistema del sottobosco nella sua declinazione più minuscola, allude ai nostri limiti sensoriali e all’inarrestabilità del ciclo vitale. In qualche modo suggerisce che il vuoto non esiste. Ma cerca anche di porre rimedio alla miopia umana, congelando i piccoli-grandi miracoli che si consumano ogni giorno, talmente in fretta, da non riuscire a coglierli. Così, le fotografie del momento in cui i semi dei soffioni prendono il volo (ingranditi e in bianco e nero), diventano poetici giochi di ombre e luci, un elegante proliferare di segni, in bilico tra rappresentazione e trasfigurazione della realtà. Che in un momento sovrappongono registri comunicativi diversi, quasi indecise se raccontare una storia, documentare un fenomeno, citare la Storia dell’Arte o permettere alla mente di disegnare una propria, intima, cosmogonia del quotidiano.

Toshihiko Shibuya ha un sito internet che tiene sempre aggiornato e, in genere, condivide sia su Facebook che su Instagram le evoluzioni della sua opera.

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya