Toshihiko Shibuya in un’intervista mette in discussione l’idea che la sua opera sia "molto giapponese” e racconta una favola Ainu

Toshihiko Shibuya nel suo studio. All images courtesy the artist ©Toshihiko Shibuya

L’isola di Hokkaido è la più settentrionale dell’arcipelago giapponese e malgrado sia piuttosto vasta la sua popolazione è circa un terzo di quella della sola Tokio. Ci sono culture agricole, stabilimenti produttivi e città, certo, ma soprattutto foreste che coprono il 71 per cento del territorio. Una natura rigogliosa e aspra di cui si prende coscienza digitandone il nome su internet: il motore di ricerca, infatti, restituisce soprattutto immagini di alberi, boschi, coste alte su cui si infrangono le onde dell’oceano e naturalmente neve. Tanta neve.

Nato a Muroran nel 1960, l’artista Toshihiko Shibuya che fin dall’infanzia abita a Sapporo (la città più grande del Giappone del nord con quasi due milioni di abitanti, dove pure il verde è tenuto in grande considerazione) ad Hokkaido ha trascorso la vita. Non stupisce quindi che la sua opera rifletta il particolare paesaggio di questa terra posta a poche miglia nautiche dal confine russo, e anche qualche singolarità culturale (Hokkaido è l’isola degli indigeni Ainu). Tempo fa il signor Shibuya, commentando il successo della sua serie di installazioni “Snow Pallet” (la ripropone in forme e contesti diversi tutti gli inverni da oltre 15 anni), ha detto: “Mi ha stupito che così tanti giornalisti, originari di luoghi diversi nel mondo, abbiano trovato l’opera ‘molto giapponese’. Io non credo che lo sia, penso abbia profondamente a che fare con la sola Hokkaido”. Per questo legame con il territorio è stato anche premiato dal governo dell’isola.

Il signor Shibuya mi tiene informata sul suo lavoro da alcuni anni a questa parte. Ogni tanto mi manda anche delle cartoline postali con immagini delle sue opere, che mi lasciano sempre esterrefatta per la bellezza composta, drammatica e gioiosa che emanano. Una volta ne ho mostrata una ad un amico artista che usa prevalentemente la pittura, mi ha detto: “Che meraviglia: è molto bravo, la sua opera è così giapponese!

L’immagine di un edizione di “Snow Pallet”

Il Signor Shibuya invece non dipinge. Il suo lavoro, volto a cercare di sottolineare la bellezza delle nevicate o del proliferare della vita nel sottobosco interferendo il meno possibile con il reale, si compone principalmente di installazioni (la serie “Snow Pallet” e la serie “Generation” sono i pilastri della sua attività artistica), cui si aggiungono fotografie che documentano momenti effimeri di vita naturale (i semi che si staccano dai soffioni e prendono il volo; la neve accumulata sui supporti che formano “Snow Pallet” ecc.), ma anche teche in cui conserva reperti del paesaggio cui allude costantemente (come rocce o semi). Tuttavia questo è il risultato di una lunga carriera, di come è cominciata e di tante altre cose abbiamo parlato in un’intervista che Toshihiko Shibuya ha rilasciato ad Artbooms in occasione di un periodo di attività espositiva piuttosto intensa.

Shibuya colloca le piattaforme che compongono la sua famosa installazione scultorea invernale

Cosa facevano i tuoi genitori?

Mio padre era ferroviere e mia madre lavorava per un giornale locale a Muroran.

Sei nato a Mururan: sono quei paesaggi che ritornano nei tuoi ricordi d’infanzia?

Muroran non è più la stessa dopo la riduzione delle dimensioni dei suoi due principali stabilimenti siderurgici e dopo che il suo ruolo di porto per il trasporto del carbone è stato drasticamente ridimensionato. Ma Muroran è pur sempre una ‘città d'acciaio’. Quando sono nato negli anni '60, era al suo apice. Di quella vitalità, ora non rimane quasi traccia. In futuro però, la città passerà alla ‘neutralità carbonica’, quindi produrrà energia eolica offshore e svilupperà quella a idrogeno: un nuovo inizio, insomma, che potrebbe farla rinascere.

Ma ciò che mi affascina è la bellezza della topografia di questa penisola. Il porto di Muroran si è sviluppato come un buon porto perché il territorio era adatto allo scopo. Il litorale della costa esterna della penisola, Pirokanoka Etomo, fino alla spiaggia Tokkarisho, è affascinante. Questi punti di vista non sono cambiati e sono vividi nei miei ricordi d'infanzia. La mia famiglia, mio padre, mia madre e io, ricordiamo che ogni fine settimana salivamo in cima al monte Sokuryo-zan e pranzavamo lì. La vista a 180 gradi dell'orizzonte da Capo Chikyu non è cambiata dai tempi antichi. Nomi di luoghi come Pirokanoka, Tokkarisho, Chikyu, Muroran e Sapporo" derivano tutti dalla lingua dagli Ainu, la popolazione indigena di Hokkaido.

La cultura Ainu ha influenzato il tuo lavoro?

La popolazione indigena Ainu viveva nella parte settentrionale dell'arcipelago giapponese, principalmente nella zona di Hokkaido. Si dice che gli Ainu sia siano stabiliti sull’isola già tra il IX e il XIII secolo. Sono un popolo con una lunga storia e cultura. Gli Ainu hanno un sistema linguistico diverso dal giapponese e hanno credenze e una cultura spirituale proprie e uniche, ad esempio, la venerazione di varie creature e fenomeni che circondano gli esseri umani, come ‘Kamuy/Dei’. Però non hanno una lingua scritta e hanno tramandato la loro storia oralmente. Ma ho fatto delle ricerche sul loro folklore, mi interessavano il tema dell'inverno e della neve e alla fine ho trovato una storia. Il titolo è ‘Spalare la neve sopra le nuvole’. La favola è questa: "Un vecchio dai capelli bianchi, seduto su una nuvola, rovesciò la neve a terra con una pala, distruggendo le case del popolo Ainu. Era felice di vedere le persone soffrire da sopra le nuvole. Poi, all'improvviso, un giovane apparve e gli disse: ‘Penso che tu sia stanco, quindi dammi la tua pala. Spalerò io la neve per te.’ Fece finta di spalare la neve con la pala che gli era stata data, ma finì per uccidere il vecchio con essa. Il vecchio morente pensò: ‘Sarò punito per aver causato problemi alla gente facendo nevicare abbondantemente’. Questa è la storia. Sebbene il mio ‘Snow Pallet’ non rifletta direttamente il folklore Ainu, come mostrano i dati annuali, le nevicate sono sempre più irregolari. Questo ci fa capire che le condizioni meteorologiche anomale che si stanno verificando in questo momento in tutto il mondo non sono frutto dell'inganno di un vecchio dai capelli grigi su una nuvola, ma un disastro provocato da noi stessi.

Qualche anno fa Toshihiko Shibuya mentre parla del suo lavoro in pubblico

Quando ti sei trasferito a Sapporo?

Mi sono trasferito a Sapporo prima di iniziare la scuola elementare, ma conservo ancora vividi ricordi del paesaggio di Muroran.

Recentemente hai anche fatto una mostra lì

Si, all'ex scuola elementare Etomo, che negli anni passati ha visto un continuo calo del numero di studenti. Alla fine il 31 marzo 2015 ha chiuso dopo 122 anni di storia. Dopo di che, come politica della città di Muroran, l'’edificio delle aule’ dei due edifici scolastici circolari è stato preservato. Ma non era lo stesso per l'’edificio della palestra’, che presentava problemi di resistenza antisismica, e doveva essere demolito. Nel settembre 2019, il consiglio comunale aveva anche approvato i costi della demolizione. Il grande valore dell'ex scuola elementare Etomo è che i due edifici che la compongono formano una coppia, in Giappone esistono solo due scuole di questo tipo. Nella speranza di salvare entrambi gli edifici, dei gruppi di cittadini hanno cominciato a mobilitarsi ed a raccogliere firme. Nel novembre 2019 sono stati raccolti più di 10 milioni di yen tramite crowdfunding per il progetto di utilizzo dell'ex scuola elementare Etomo. La città di Muroran ha ritirato il piano di demolizione e nel gennaio 2020 ha deciso di vendere l'edificio alla Muroran 100th Anniversary Building Preservation and Utilization Association. Sono stati eseguiti dei lavori di restauro, poi, nell'aprile 2022, i due edifici sono stati aperti al pubblico, insieme a una mostra sul periodo Jomon al primo piano dell'edificio scolastico. Per questa mostra gli organizzatori mi hanno messo a disposizione l'aula di musica, una delle aule circolari. Sovrapponendo la forma del pavimento del locale ad una mappa del distretto ovest di Muroran, ho immaginato l'installazione come un monte chiamato ‘Sokuryozan’ con le sei torri televisive che si ergono sulla cima, i luoghi caratteristici della penisola, le stazioni e gli altri nodi cittadini attraverso una disposizione di oggetti astratti. L’idea era quella di creare un’opera che immaginasse e propiziasse il futuro della città. Desidero fortemente che la città torni a splendere in futuro.

Quando ti sei innamorato dell'arte? E a quando risalgono i tuoi primi esperimenti?

Quando ero alle elementari volevo diventare architetto.

Hai studiato arte?

Ho iniziato a studiare disegno presso un istituto d'arte al terzo anno di liceo. Dopo il diploma di scuola superiore, ho studiato le basi dell'arte e del design in un istituto d'arte per due anni, e poi sono entrato in un'università d'arte a Tokyo. Tuttavia, non riuscivo a decidere cosa volevo creare e con quali materiali, tra pittura a olio, pittura giapponese, scultura, ecc., quindi ho continuato con la specializzazione in design, dove potevo imparare una varietà di cose con una mente libera.

Hai insegnato design: quanto pensi che questo abbia influenzato il tuo lavoro?

Per coincidenza, il mio professore all'università era un artista contemporaneo. La sua influenza mi ha portato a esplorare la libertà espressiva oltre ai materiali più vari. Dopo la laurea ho lavorato nel settore della moda ,sia nel design dei modelli che nei display spaziali utilizzando tessuti. Ho poi iniziato la mia carriera di artista mentre lavoravo come docente presso un istituto di ricerca artistica. Ho tenuto la mia prima mostra personale a Tokyo, con installazioni di rilievi murali. Ho poi continuato a creare stampe originali per oltre 10 anni. Ho continuato a sperimentare e ad allontanarmi dai media bidimensionali, ed è così che sono arrivato dove sono oggi. Scelgo vari materiali in base alle mie esigenze. Attualmente sono preside di una scuola d'arte. L'anno prossimo festeggerò 40 anni di attività come artista.

un’immagine dei black box della white collection

Quali sono gli artisti o i movimenti che sono stati fonte d’ispirazione per te?

Tra gli artisti contemporanei che hanno modellato la loro opera sulla base della storia dell’arte europea e americana amo Dani Caravan, Mark Rothko, Christo e Jeanne-Claude, oltre ai due architetti agli antipodi Frank Gehry e Tadao Ando. Ma non mi piacciono di meno anche lo scultore di pietra Isamu Noguchi (americano di origine giapponese), lo scultore del ferro Richard Serra. E poi: Lee U-fan (coreano residente in Giappone), Shigemori Mirei (giardiniere paesaggista giapponese); gli artisti Rinpa giapponesi (periodo Azuchi-Momoyama-Edo) come Tawaraya Sotatsu, Ogata Korin, Sakai Hoitsu, Suzuki Kiitsu, e i pittori della scuola Kano (giapponese). Poi guardo all’Arte gotica medievale europea, all’arte religiosa (prima del Rinascimento), ecc. Sebbene la gamma sia ampia, ognuna di esse è spirituale o decorativa, al contrario la cultura tradizionale giapponese valorizza la forma e la spiritualità contemporaneamente (santuari e templi, sculture buddiste, cerimonia del tè, ecc.). Tuttavia, mi piace anche la Pop Art di Andy Warhol.

So che hai visitato l’Italia: cosa ti ha colpito di più?

Ho viaggiato in Italia nel 2011. Quando gli italiani hanno scoperto che sono giapponese, mi hanno espresso il loro dolore per le numerose persone che hanno perso la vita nel terribile terremoto e nello tsunami di Tōhoku. Hanno anche pregato per una completa guarigione del mio Paese. Ma il mio ricordo migliore è la storia culturale che ho avuto occasione d’ammirare. Visitare la Galleria degli Uffizi è stato particolarmente memorabile. È stata un'esperienza preziosa poter ammirare dal vivo numerose opere d'arte. Ho visitato Roma, il Vaticano, Firenze, Venezia e Milano. Sono rimasto sopraffatto dagli antichi edifici in pietra. Ogni città aveva una personalità distinta, e io sentivo la loro identità come città-stato. Vorrei soprattutto visitare di nuovo Firenze.

Trovo che ultimamente il tuo lavoro cerchi una connessione più stretta con la cultura tradizionale giapponese. Pensi che io abbia ragione?

“Snow Pallet” ha il suo cuore ad Hokkaido, la terra settentrionale del Giappone, un'isola innevata che è stata sviluppata tardivamente (500 anni di storia dello sviluppo). Quando ho associato le problematiche ambientali all'arte, ho capito che era necessaria una nuova forma espressiva che avesse come spina dorsale la cultura tradizionale giapponese.

Forse le possibilità dell'arte digitale sono infinite, non è vero? Penso che tutta l'arte analogica immaginabile fino ad oggi invece sia stata esaurita. Con questo in mente mi concentro sulla creazione di un'atmosfera che può essere percepita solo in un determinato luogo, eliminando il più possibile gli sprechi e collocando in modo raffinato sculture fatte per essere assorbite dall’ambiente circostante (sia all'interno che all'esterno). Penso che in futuro non sarò più in grado di creare opere d'arte di grandi dimensioni, ma mi piacerebbe continuare a fare lavori originali come artista ambientale.

Mi stai dicendo che intendi provare a cimentarti con l’arte digitale?

No! Avevo previsto che l'arte digitale si sarebbe sviluppata insieme alla tecnologia, ma questo non rientra nel mio ambito espressivo. Saranno gli artisti delle generazioni più giovani a usarla. E poi credo che attualmente esista molta arte digitale di grande impatto specificatamente legata a questa tecnologia, ma ritengo anche che siano pochissime le opere di alto livello che combinano la spiritualità all’innovazione scientifica.

la neve si scioglie su uno dei supporti di Snow Pallet

Una delicata installazione in mezzo alla natura del sottobosco rigoglioso della seriee “Generation”

La mostra a Muroran nell’aula di musica dell’ex-scuola elementare Etomo

Di nuovo uno Black Box della White Collection

Un’installazione di Shibuya nella metropolitana di Tokio

Seguiamo Toshihiko Shibuya in giro per la costa oceanica del Giappone palcoscenico mozzafiato di due sue mostre

L’interno dell’ex-scuola di Mururan con le pareti dai colori pastello e le note musicali in carta appese alle pareti incorniciano una nuova installazione di Toshihiko Shibuya All images Couresy the artist ©Toshihiko Shibuya

La cittadina portuale di Muroran, nella parte sud-orientale dell’isola di Hokkaido (quella più a nord dell’arcipelago giapponese), è anche un piccolo polo industriale che conta stabilimenti chimici e siderurgici, stretti tra l’oceano e le alte montagne, posti a volte direttamente a picco sul mare. I panorami tuttavia non sono stati irrimediabilmente rovinati dalle fabbriche, che di notte, insieme al porto, emettono centinaia di luci colorate e meravigliano i turisti. Mentre piattaforme d’osservazione incastonate tra le rocce regalano scorci incontaminati della costa. Un riflesso di quei chiarori variopinti, di quel tentativo di trovare un equilibrio tra l’opera dell’uomo e la natura, si può vedere ancora adesso nel lavoro di Toshihiko Shibuya, che a Muroran ci è nato.

Desidero fortemente che la città torni a splendere in futuroha affermato in un’intervista che Artbooms pubblicherà per intero nelle prossime settimane.

L’edificio circolare che un tempo ospitava la scuola Etomo di Mururan illuminato in occasione della mostra

L’artista, che da tempo vive a Sapporo, scandisce la sua produzione secondo i ritmi delle stagioni e il più delle volte realizza installazioni minimali nel cuore della foresta o di un parco cittadino cercando di intervenire il meno possibile sulla bellezza del paesaggio e di fare della scultura un’estensione di quest’ultimo. La sua opera parla di memoria, identità ed ecologia. E’ anche un cocktail di influssi provenienti dal settore delle arti visive, del design e dell’architettura.

La scorsa estate l’artista giapponese ha partecipato a due esposizioni collettive nello stesso tratto di costa a sud di Sapporo. Una a Muroran appunto ("Steel and Light Art Festival 2024"), e una nella non lontana Tomakomai ("Ikoro Forest Meets Art 2024"). In entrambe queste mostre il suo lavoro è apparso un po’ diverso dal solito. Forse impegnato in una lenta e impercettibile metamorfosi.

D’altra parte al centro degli interessi del Signor Shibuya ci sono proprio la transitorietà circolare dell’esistenza e l’instancabile rinascita di forme di vita simili ma multiformi in un costante processo di mutamento, in cui tutto, gattopardescamente, cambia per rimanere sempre lo stesso. E in questo quadro, parlare di metamorfosi può essere ingannevole. Di sicuro però, a Mururan l’artista ha realizzato un’installazione intima, misurata, nostalgica e vibrante, che si discosta dalla solita retorica, riutilizzando soltanto i supporti della sua famosa “Snow Pallet”.

Un particolare dell’installazione “Illusion of Color”

Toshihiko Shibuya, infatti, tutti gli inverni da oltre 15 anni, installa opere pubbliche temporanee destinate ad intercettare le nevicate (ad Hokkaido, non lontano dalla Russia, sono abbondanti) ed a sottolineare il cambiamento del paesaggio fino al disgelo primaverile. Il titolo di queste sculture site specific (“Snow Pallet”) allude ai supporti utilizzati. Minimali, e colorati in sezioni non visibili, questi piccoli bancali, non dissimili da eleganti tavolini, oltre ad accogliere la neve la rendono variopinta con i riflessi dei toni vivaci, a momenti fluorescenti, di cui sono parzialmente rivestiti. In genere, proprio per questo effetto scenografico, garantito dall’incontro dei fiocchi di neve con le vernici usate dall’artista, gli elementi che compongono “Snow Pallet” negli altri periodi dell’anno finiscono in magazzino (qualche volta sono stati usati anche su specchi d’acqua, senza raggiungere i risultati drammatici dell’inverno e in contesti differenti ma di rado).

Non è andata così nel particolare edificio circolare che ospitava la scuola elementare Etomo a Mururan. Lì Shibuya ha usato molti supporti di altezze diverse, concentrandoli nel centro dell’aula di musica (con le note musicali in carta ancora appese alle pareti dai colori pastello, malgrado la scuola abbia chiuso i battenti nel 2015) per sfruttare la luce delle ampie vetrate ed è riuscito a proiettare sfumature intense da un elemento dell’opera all’altro.

Ho utilizzato- ha spiegato- come sede l'aula di musica a forma di ventaglio al secondo piano di questo edificio scolastico e ho riutilizzato i pezzi di "Snow Pallet", che presentano principalmente colori in ombra che appaiono grazie al riflesso della luce solare come energia naturale”.

A vederli fanno pensare a grandi paillettes scintillanti, ai motivi che i designers imprimono nelle facciate o nelle vetrine dei flagship stores di Tokio, a schermi elettronici, alle luci delle industrie cittadine ma anche a un arcipelago stilizzato. Alla neve naturalmente (ma forse questa è solo una suggestione). E, in effetti, i piccoli bancali sono stati disposti per simulare porzioni di territorio viste dall’alto.

Sovrapponendo- ha detto- la forma del pavimento del locale su una mappa del distretto di Muroran West, ho immaginato l'oggetto come un monte chiamato "Sokuryozan" e ho espresso le sei torri televisive che si ergono sulla cima,i luoghi caratteristici della penisola, le stazioni e gli altri nodi cittadini attraverso una disposizione di oggetti astratti. Si è cercato di creare uno spazio che affidasse a sé il futuro della città”.

Il tentativo di dare corpo alla luce naturale, modificandola semplicemente in base alle regole della rifrazione e della percezione, su una mappa immaginaria, nel bel mezzo di uno spazio apparentemente destinato all’infanzia, rendono "Illusion of Color" (così si chiama l’installazione) vagamente visionaria e venata di nostalgia. Parlando di Mururan Shibuya ha raccontato: “In passato era una vivace città portuale, nota per la produzione di acciaio e per il porto commerciale che movimentava ferro e carbone, ma la popolazione della città è diminuita e adesso non è che lo spettro ciò che era un tempo. Ma si dà da fare e sta cercando di passare dai combustibili fossili alla neutralità carbonica”.

Sfere artificiali e uova deposte da un animaletto indistinguibili nell’istallazione di Toshihiko Shibuya nella foresta Ikoro

Non c’è traccia di questi sentimenti nell’opera da lui creata per “Ikoro Forest Meets Art 2024” (a cui aveva già partecipato altre volte) anche se i piccoli bancali di “Snow Pallet” li ha usati pure in quest’occasione.

Durante la manifestazione, gli artisti espongono direttamente nella foresta non lontana da Tomakomai, instaurando un dialogo frontale con la natura incontaminata e alludendo alla pratica tradizionale giapponese dello ‘Shinrin yoku’ (森林浴 o ‘bagno nella foresta’, cioè passeggiare nei boschi per recuperare l’equilibrio psico-fisico). La scultura del Signor Shibuya tra gli alberi secolari di Ikoro era anzi particolarmente allegra e vitale. Un vero e proprio proliferare di piccole sfere che oltre a ricordare girini, funghi, grappoli di minuscole uova, mucillaggini e quant’altro, come fa sempre, questa volta evocava pure voli di lucciole e candide farfalle. Merito dei bastoni metallici laccati di bianco (che combinati con altre componenti danno vita ai supporti per la neve), su cui l’artista di Sapporo ha posizionato delle sferette Mentre a filo terra, tra le puntine da disegno globose, i piccoli bancali per intero sono diventati un comodo riparo per gli animaletti (o meglio una nursey dato che qualcuno di loro vi ha deposto le uova).

Sarei molto felice- ha commentato- se gli oggetti potessero diventare un luogo in cui gli animali possano crescere i loro cuccioli”.

Un particolare della scultura

Parlando dei supporti ha invece detto: “Questi oggetti servono come maschera contro l'accumulo di neve in inverno, ma se arriva la primavera e vengono installati ripetutamente nel corso degli anni, alla fine verranno assorbiti dalla natura”. Un’affermazione simile a quelle di alcuni architetti a proposito di immobili, che spiega l’approccio alla scultura dell’artista, così come la sua particolare sensibilità verso l’ambiente. Ma anche lo spirito di celebrazione della vita, di attenta osservazione e gioia nella costante scoperta che anima questi interventi.

Toshihiko Shibuya, però, con la sua opera afferma anche un messaggio radicale.E’ come se ci dicesse, infatti, che la creatività umana è ben poca cosa di fronte all’imprevedibile e costante rinnovarsi del creato e che a questo dato di fatto ci si deve adattare.

Tra natura e storia dell’arte la “Foresta del Silenzio” di Toshihiko Shibuya si è fermata a Kyoto:

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature. All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya

L’artista giapponese Toshihiko Shibuya ha concentrato il suo impegno in un lavoro meditativo e minimale fatto di nevicate invernali, proliferare di muschi, uova primaverili e funghi autunnali, voli ineffabili di semi trasportati dal vento durante l’estate e di fiori gentili sbocciati da rustiche erbacce tra l’asfalto di ogni dove. Un’opera che, metodicamente, ogni anno, segue il succedersi delle stagioni. Al centro della quale la contemplazione della natura ha un ruolo quasi sacrale ma che l’artista usa anche per trasmettere una sorta di messaggio politico: “La natura non si può controllare. Invece di cercare di dominarla, credo che dovremmo usarla abilmente a nostro vantaggio senza allontanarci mai da lei.”

Per dirlo con il suo lavoro Shibuya, cerca di intervenire il meno possibile sull’oggetto della sua opera: il paesaggio. Così, capita che per rappresentare la rinascita della vita durante la primavera esponga un vaso pieno di muschio che, annaffiato con costanza, fa da substrato a semi sconosciuti all’autore, germinati in tanto graziose quanto minuscole piantine. Un fragile ecosistema che fa pensare al bosco ed evoca urgenze ambientali. Tuttavia l’artista preleva il muschio sempre in prossimità del luogo in cui espone (come farebbe uno scienziato con dei campioni) aggiungendo inaspettate volute concettuali all’opera. Di muschio, infatti, esistono migliaia di varietà diverse, accomunate dal fatto di non avere radici e dalle origini antichissime della specie (si stima che risalga a 460milioni di anni fa). Noi però tendiamo a utilizzare il termine muschio al singolare, esprimendo in questo modo sia la nostra disattenzione verso le forme di vita minuscole, sia l’incapacità di coglierne l’importanza nel contesto di provenienza, ma soprattutto la nostra inadeguatezza percettiva di fronte al pullulare di forme di vita diverse da noi. L’assenza di radici, i semi portati dal vento, spingono poi a riflettere su quanto siano relative le etichette di immobile o stanziale affibbiate alle piante.

Toshihiko Shibuya, di solito, ricopre il muschio con una moltitudine di puntine a testa sferica (a volte bianche altre colorate) per sottolineare il proliferare della vita e far pensare a cellule, spore, uova e funghi (ma anche a costellazioni). Lo ha fatto anche nelle opere più recenti presentate durante la sua mostra personale a Kyoto.

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature. All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya

L’esposizione intitolata “Forest of Silence- Between Art and Nature” si è tenuta a marzo alla Art Spot Korin una piccolissima galleria (composta da sue sole stanzette di pochi metri quadrati per una, su due piani) nei vicoli del centro storico di quella che fu la capitale del Giappone (fino al 1869). “Volevo spazi piccoli- ha detto- Ad esempio, le dimensioni sono quelle di una sala da tè giapponese”.

Dove ha presentato una coppia di riuscitissime installazioni che, in effetti, hanno tratto giovamento dall’ambiente raccolto della sede espositiva. In entrambe c’erano tronchi di legno (quattro in tutto, trovati nella foresta e prelevati così com’erano) dipinti di bianco e ricoperti da centinaia di candide puntine a testa sferica. La scultura più grande era posizionata in orizzontale nella stanza al secondo piano, insieme a lei, a parete, una grafica astratta del 2005 intitolata “Change of season” (che sembrava citare i dipinti della serie dedicata alle ninfee da Claude Monet attualmente conservati all’Orangerie di Parigi), ne sottolineava la forma, turbandone, contemporaneamente, il sonno: “Ho espresso un senso di quiete e tensione allo stesso tempo”:

Al piano terra Shibuya ha invece instellato tre sculture in legno verticali e due ciotole di muschio (prelevato a Kyoto, naturalmente). L’opera era raccolta, ma animata da una sorta di scambio dinamico tra gli elementi della composizione e per quanto possa sembrare strano richiamava alla mente i giardini zen ma anche certi gruppi di figure dipinte dagli antichi maestri. Interessante è pure il fatto che, ridotta all’osso, l’installazione si reggesse sul dialogo tra linee bianche verticali e cerchi verdi orizzontali (tutte forme pure inventante dall’uomo).

Shibuya ha detto a proposito di quest’opera: “Lo scopo era portare nello spazio il respiro del muschio vivo”.

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature. All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya

L’essenzialità delle composizioni, pur nella selva di forme biomorfe evocate, richiamava l’universo delle idee e momenti della storia dell’arte, in teoria, ben distanti dal lavoro dell’artista (ad esempio, il Rinascimento e l’Astrattismo geometrico). Mentre i campioni di muschio erano un riferimento esplicito ai musei di storia naturale, con le scoperte e gli enigmi irrisolti lì conservati.

Toshihiko Shibuya vive e lavora a Sapporo (sull’isola di Hokkaido, nella parte settentrionale del Giappone), le opere esposte a Kyoto fanno parte della serie “Generation”. Il suo nome è particolarmente noto per lo Snow Pallet Project che lo scorso inverno ha raggiunto la sua diciasettesima edizione.

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature (detail). All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature. All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature. All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Forest of Silence- Between Art and Nature. All images courtesy Toshihiko Shibuya © Toshihiko Shibuya