Fino a domani un gruppo di artisti stellari illuminerà la “Milky way” di Galleria Continua

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Si concluderà domani in un luccichio di star la settima edizione di “The Milky Way”. L’iniziativa a scopo benefico, che di volta in volta raccoglie fondi per un progetto diverso (sempre a favore però della stessa associazione), ha la caratteristica di coinvolgere artisti famosi e gallerie internazionali. Quest’anno era la volta di Galleria Continua e della sua stellare scuderia di artisti.

La manifestazione è stata così descritta dall’organizzatrice, Damiana Leoni: “The Milky Way è un progetto che ho ideato nel 2014 a favore delle attività di Pianoterra ETS. Ogni anno raccoglie fondi per un particolare progetto, coinvolgendo importanti artisti e gallerie. Il format è quello di una mostra in galleria: c’è un concept curatoriale, una curatrice, professionisti che ci lavorano e il ricavato delle vendite, che avvengono come in una normale transazione di galleria”.

In poche parole si tratta di una normalissima mostra in una galleria di fama che permette al collezionista di offrire un sostegno ai progetti dell’associazione Pianoterra mentre acquista un’opera.

Quest’anno “The Milky way” si è tenuta nella sede di San Gimignano (sulle colline senesi) di Galleria Continua. Il tema al centro dell’esposizione era lo spaesamento. Le opere, scelte direttamente dai quarantadue autori che hanno deciso di donare il loro lavoro, dovevano rappresentare questo concetto cardine. E a dare peso all’iniziativa sono proprio i nomi degli artisti coinvolti, che vanno da Ai Weiwei a Massimo Bartolini (che appena la scorsa estate ha rappresentato l’Italia alla Biennale di Venezia). E poi: Pascale Birchler, Barbana Bojadzi, Carlota Bulgari, LETIA-Letizia Cariello, Loris Cecchini, Costanza Chia, Alba Clemente, Michelangelo Consani, Ala D’Amico, Bianca D’Ascanio, Jonathas De Andrade, Matt Dillon, Luca Federico Ferrero, Carlos Garaicoa, Shilpa Gupta, Camille Henrot, Priya Kishore, Andrea Mauti, Sabrina Mezzaqui, Seboo Migone, Rudi Ninov, Hans Op De Beeck, Ornaghi & Prestinari, Giovanni Ozzola, Valentina Palazzari, G. T. Pellizzi, Tobias Rehberger, Arcangelo Sassolino, Manuela Sedmach, Serse, Bernardo Siciliano, Nina Silverberg, Marta Spagnoli, Tommaso Spazzini Villa, Pascale Marthine Tayou, Eugenio Tibaldi, Giorgio Van Meerwijk, Alejandra Varela Perera.

Tutti artisti noti. Alcuni davvero famosi.

Gli artisti - ha continuato Damiana Leoni- sono chiamati in causa e quindi tutto questo avviene grazie a loro che generosamente partecipano insieme alle gallerie, quest’anno a sostenerci c’è Galleria Continua a San Gimignano. Ik tema è nato perché Pianoterra ha messo le basi di uno spazio fisico nel Quartieri Spagnoli di Napoli che è anche un centro di accoglienza. Dove sono? dunque nasce spontaneo: ci dice quanto è importante avere una protezione, quanto ci si sente spaesati certe volte. Dove sono? mette insieme questa sensazione dell’animo umano che ho chiesto agli artisti di interpretare. È nata una mostra con lavori molto diversi tra loro, uniti da questo filo rosso, con un percorso ben definito”.

A rendere interessante “The Milky way” anche la qualità delle opere: relativamente piccole ma non secondarie. Del resto, il fatto che gli artisti stessi abbiano scelto il lavoro più adatto a dare l’interpretazione del tema portante è una garanzia anche per il semplice visitatore dell’evento che si trova catapultato in un universo di visioni caleidoscopico.

L’associazione Pianoterra, cui andranno i proventi della mostra, è un’organizzazione no profit che lavora al fianco delle famiglie più vulnerabili a Roma, Napoli e Castel Volturno. Si concentra soprattutto sulla coppia madre-bambino e dal 2008 a oggi ha sostenuto e accompagnato più di cinquemila genitori e altrettanti bambini, lavorando soprattutto con i piccolissimi (dalla gravidanza ai sei anni).

Attraverso la settima edizione di “The Milky Way” Pianoterra creerà due aree gioco nello spazio di comunità che inaugurerà a Napoli nel 2025.

Prima di fare tappa a San Gimignano “The Milky Way” si è svolta a Napoli, da Lia Rumma; a Roma, alla galleria Studio SALES; a Milano da Giò Marconi; poi ancora a Napoli da Lia Rumma; a Torino, alla Galleria Franco Noero; e a Roma, da Alessandra Bonomo.

The Milky Way” si concluderà domani ma negli spazi di San Gimignano di Galleria Continua proseguiranno le mostre: “Fantasmata” della giovane veneta, Marta Spagnoli; “Raccogliere le parole” dell’affermata emiliana, Sabrina Mezzaqui: e “False Autumn” del famoso argentino, Jorge Macchi.

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Ai Weiwei, Still Life (After Giorgio Morandi), 2024, mattoncini giocattolo (LEGO), 38 x 38 cm toy bricks (LEGO), 38 x 38 cm, Courtesy: AI WEIWEI STUDIO and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Carlota Bulgari, Calling Mum, 2021, C-print , vetro, cornice in legno-documentazione, fotografica in sequenza di una live-performance della durata di 60’ 89.6 x 145.4 cm, Courtesy l’artista

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Seboo Migone, Casa, 2011, Carboncino su carta, 67 x 102 cm, Courtesy l’artista, foto Vincenzo Germino 

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Pascale Marthine Tayou, Kids Mascarade, 2009, stampa fotografica montata su Dibond 100 x 75 cm (107 x 82 con cornice), C-print mounted on Dibond, 100 x 75 cm (107 x 82 con framed), Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photo by: Pascale Marthine Tayou Copyright Line: © ADAGP, Paris

Tracey Emin, l’artista che non vuole essere ricordata solo come una celebrità degli YBA, torna in Italia con una mostra da star

Quando nel 2020, in piena pandemia, all’artista inglese Tracey Emin venne diagnosticato un tumore alla vescica, lei pensò che non voleva morire come una “mediocre Young British Artist (YBA) degli anni ‘90” e si mise a dipingere. Nel suo passato aveva fatto installazioni, ricamato, applicato tessuti, fotografato, scritto, usato neon e oggetti trovati (spesso emotivamente carichi e inconsueti, come il pacchetto di sigarette che stringeva in mano suo zio quando morì in un incidente d’auto), girato video, scolpito e si, anche dipinto, ma mai con questa continuità e soprattutto con un tale senso di bisogno.

Adesso, dopo un intervento chirurgico radicale (recentemente ha dichiarato: “Mi hanno rimosso l'uretra, un'isterectomia completa, i linfonodi, parte dell'intestino, della vescica, del tratto urinario e metà della vagina”), l’impianto di uno stoma nell’addome e cicli di cure periodici per tenere sotto controllo la malattia, il tumore è in remissione e la signora Emin è diventata una pittrice straordinaria.

Dipinge quasi sempre nudi femminili con un mix del tutto personale e istintivo di pennellate sicure, dirette, quasi brutali, colature e tratti disancorati e veloci che si agitano un solo istante per poi sembrare levitare e che richiamano più la calligrafia orientale dell’Espressionismo europeo di Schiele e Munch a cui lei fa sovente riferimento (Munch in particolare è da sempre un suo idolo). La tavolozza a volte è delicata ma con note stridenti. Poi c’è il rosso; e spesso un’esplosione di tratti volti a cancellare l’immagine, a rendere caotica e drammatica la composizione. Parlano di intimità, quiete, identità, dolore e sesso. Del resto sono sempre i dipinti di Tracey Emin.

E dal prossimo marzo saranno in Italia insieme a molte altre opere (60 in totale) per rappresentare il percorso dell’artista dagli anni ’90 fino ad oggi. La mostra, che si intitolerà “Tracey Emin. Sex and Solitude” e si terrà a Palazzo Strozzi di Firenze, sarà: “un intenso viaggio sui temi del corpo e del desiderio, dell’amore e del sacrificio”.

Sarà anche una prima nazionale perché è la più grande esposizione mai progettata in Italia dedicata alla signora Emin e presenterà lavori (in diversi media) realizzati in esclusiva per l’evento oltre ad altri mai esibiti nel nostro Paese.

Anche se a decretare la definitiva affermazione di Tracey Emin fu “My Bed”, che mostrò al Turner Price (famoso e prestigiosissimo premio britannico) nel ’99 e venne poi comprata dal noto uomo d’affari e collezionista Charles Saatchi per 250mila sterline (in seguito l’opera sarebbe stata battuta in asta per oltre 2milioni e mezzo di dollari), la prima avvisaglia del successo in arrivo glielo aveva già regalato “Everyone I Have Ever Slept With 1963–1995” (una tenda con applicazioni di tessuto ricamate, in cui comparivano i nomi di tutte le persone con cui aveva dormito fino ad allora: partner sessuali, ma anche familiari come il fratello gemello, e i due bambini che aveva abortito). Un’opera all’apparenza provocatoria ma in realtà sincera, delicata e struggente, che venne spesso travisata e che avrebbe ben esemplificato il futuro rapporto tra l’opera della signora Emin e la sua rappresentazione pubblica. Di più: il futuro rapporto tra la signora Emin in carne e ossa e la sua rappresentazione pubblica. Del resto, che sia per natura, per una concatenazione di eventi, o per calcolo, lei ha sempre fatto il possibile per suscitare clamore.

E’ cominciato tutto nel ’97 quando venne invitata insieme ad altri a partecipare al programma ”Is painting dead?” della rete televisiva Channel 4, in cui si sarebbe dovuto parlare del Turner Price. La trasmissione era in diretta e vi comparve una giovane e sconosciuta Emin completamente ubriaca che si mangiava le parole, barcollava e inveiva: diventò famosa in un baleno. Recentemente avrebbe così commentato l’episodio: “Io ho detto: 'Ho bevuto, non posso farlo', e qualcuno ribatte: 'Dalle una tazza di caffè, starà bene', e poi, mentre sono ubriaca, mi fa firmare una liberatoria. Oggi ai produttori non sarebbe mai permesso di farlo (…) essere lanciata così all'improvviso nel mondo come 'uno dei momenti più ubriachi della televisione nel XX secolo' non era proprio ciò per cui avrei voluto essere conosciuta.” Mettici qualche fidanzamento burrascoso, qualche caduta dal taxi per i troppi drink di una festa. Aggiungi un linguaggio diretto, i soldi (tanti e arrivati in fretta), oltre a una certa misoginia pre-MeToo, E i tabloid britannici andarono in sollucchero: Emin la YBA tutta feste e sbronze.

La verità però è molto più complicata.

Nata nel ’63 da una madre inglese e un padre turco-cipriota (ha raccontato in un’autobiografia che alcune persone quando la madre era incinta le sputavano addosso chiamandola “amante dei neri”), sarebbe cresciuta nella città costiera di Margate (Kent) in un contesto di estrema povertà ed esclusione sociale. Da bambina fu vittima di abusi e di una violenza sessuale non denunciata (aveva soltanto 13 anni). Tutto quello che è venuto dopo non può prescindere da questi stralci tragici della sua biografia. Nemmeno l’arte. “My Bed”(un letto sfatto con lenzuola macchiate, biancheria intima sporca di sangue mestruale e poi posa cenere pieni di mozziconi di sigarette, preservativi usati e bottiglie di vodka vuote), ad esempio, non era una trovata per attirare l’attenzione (com’è stata liquidata da qualcuno) ma la storia di una donna sull’orlo del suicidio.

Lo capì Saatchi che incluse “My Bed” nella mostra “Sensation” che sarebbe stata una delle piu’ importanti tappe di affermazione internazionale degli YBA di cui la signora Emin insieme a Damien Hirst, Sarah Lucas, Gary Hume e altri faceva parte.

Ma adesso quei tempi sono lontani, dipingere non è più un peccato mortale (lo fa persino Hirst, si dice con incerti risultati). La signora Emin invece ha smesso di bere, fumare e andare alle feste, nel frattempo ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia (nel 2007, è stata la seconda donna a farlo dopo Rachel Whiteread nel 1997), tra i suoi appassionati collezionisti sono comparsi nomi famosissimi come quelli di Naomi Campbel, Elton John e Madonna. Senza contare che è diventata Accademico Reale (è insegnante di disegno al Royal College of Arts: una delle prime donne nella storia pluricentenaria dell’istituzione); prima di entrare ufficialmente nella RCA aveva partecipato a varie Summer Exhibition di quest’ultima e nell’edizione del 2004 era stata scelta dal collega David Hockney.

La mostra di Tracey Emin “Sex and Solitude”, a cura di Arturo Galansino, sarà a Palazzo Strozzi di Firenze dal 16 marzo 2025

In un’intervista Augusto De Luca parla di fotografia architettonica, dei ritratti alle star e di come troppo successo alla lunga sia sfiancante

Lina Sastri in un ritrattto di Augusto De Luca (1987). All images Courtesy Augusto De Luca © Augusto De Luca

Quando, intorno alla età degli anni ’80, Augusto De Luca si trovò a fotografare Lina Sastri, a quel tempo all’apice della sua fama, dopo un fraintendimento dovette discutere, spiegare e rispiegare con pazienza non lesinando in complimenti e simpatia per riuscire ad ottenere la complicità dell’attrice italiana. Alla fine ce la fece e scattò quelli che oggi appaiono i ritratti più belli che siano mai stati fatti alla signora Sastri. Un mix di forma impeccabile e intimità dalle ombre drammatiche che rubano alla protagonista il centro della scena. Mentre parlano della natura ambigua dell’arte.

D’altra parte non avrebbe potuto essere altrimenti: De Luca è un uomo dalla gentilezza spontanea e dalla parlantina sciolta che saprebbe mettere a proprio agio chiunque. In calce alle mail che invia, proprio accanto ai saluti rituali, mette l’emoji di una rosa per mostrare considerazione verso l’interlocutore. Tuttavia nei suoi occhi chiari, in cui sembrano convivere molteplici luci di vitalità con infinitesimali aloni bui di malinconia, si percepisce la fermezza di chi ha una visione artistica ben chiara. E la sua carriera ormai cinquantennale ne è una testimonianza.

Augusto De Luca insieme ad Ennio Mirricone nel ‘96 quando entrambi ricevono il premio Città di Roma per il libro “Roma Nostra”

Cominciò così: “Allora (siamo negli anni ’70, ndr) andavano molto di monda i complessi. Oggi se uno ha un complesso va dallo psicologo- scherza- ma ai tempi tutti suonavamo. Poi c’era un’altra cosa che tutti i ragazzi facevano: scattare fotografie. Un giorno ero con un mio amico che appendeva una foto appena dopo averla immersa nel liquido e, mentre l’immagine si formava sotto i miei occhi, ho capito che era quello che volevo fare”. Nel frattempo Augusto De Luca, nato a Napoli nel ’55, frequentava ancora la facoltà di giurisprudenza, dove avrebbe conseguito la laurea, per poi accorgersi che quella professione non gli calzava affatto. “Non faceva proprio per me”.

Si potrebbe anche pensare che il rigore quasi militare delle sue composizioni, in cui spesso spiccano elementi riconducibili alle forme geometriche, sia simile al diritto ma lui non è d’accordo: “Ho sempre pensato che le mie fotografie somiglino a una partitura”. Il musicista e direttore d’orchestra Ennio Morricone gliene diede la certezza quando guardando il suo lavoro disse: “Sai, ho capito subito che sei un musicista. Le tue foto hanno un ritmo compositivo musicale che appartiene a chi è sensibile all’armonia dei suoni”.

Del resto lui, ai tempi dei “complessi”, suonava con Ernesto Vitolo (quest’ultimo in seguito avrebbe collaborato con quasi tutti i big della musica italiana da Vasco Rossi a Renato Zero), Mario Insenga, Alan Sorrenti, Enzo Avitabile e Lino Vairetti. E, in seguito, gli sarebbe capitato di suonare in compagnia di una persona ancora più importante: “Mia figlia Giulia non ha voluto seguire le mie orme perché amava la chimica e ha voluto fare la farmacista. Però abbiamo suonato insieme il basso.”

Ennio Morricone lo conobbe nel ’95, quando quest’ultimo partecipò con un testo al suo libro fotografico “Roma Nostra”. Insieme al signor Morricone il volume conteneva interventi di personaggi iconici dell’Italia di quegli anni, come Alberto Sordi, Maurizio Costanzo, Paolo Portoghesi, Monica Vitti e Gigi Proietti (ma le parole di altri grandi della cultura, da Lina Wertmuller a Mario Luzi fino a Margherita Hack, si ritrovano in altri suoi volumi). “Le Ferrovie mi avevano chiamato per celebrare con una serie di fotografie le città toccate dalla linea ad Alta Velocità che era stata appena completata. Tra loro c’era Roma”.

Per “Roma Nostra” sia lui che Morricone vinsero il premio Città di Roma. Il progetto aveva anche il sostegno della Camera dei Deputati. Secondo il signor De Luca però il patrocinio sarebbe stato più difficile da ottenere se in quel periodo non avesse insegnato fotografia al Circolo Montecitorio: “Nella mia classe c’erano Nilde Iotti e la sorella di Emanuela Orlandi. E poi in Transatlantico (salone in stile liberty della Camera dove si ritrovano i deputati ndr) ho incontrato tutti, da D’Alema a Napolitano (Napolitano, la Iotti ma anche Ciampi hanno presentato dei suoi volumi ndr). Berlusconi però no, lui non l’ho mai incrociato”. Giura anche che alcuni politici si erano dimostrati allievi fotografi appassionati e dotati.

Da “Napoli Grande Signora”

Non stupisce che il libro su Roma abbia regalato tante soddisfazioni al signor De Luca, visto che la fotografia architettonica e il ritratto, sono le due strade che l’artista ha percorso fin dagli inizi della sua carriera, attraverso immagini a colori o in bianco e nero, ma senza mai derogare a un alfabeto del tutto personale, che lui definisce surreale: “All’inizio scatti e basta ma poi emerge il tuo stile. E il mio era surreale, facevo cose che richiamavano alla mente Magritte anche se da ragazzo non conoscevo la storia dell’arte. Quella l’ho studiata dopo”. In altre occasioni ha invece affermato: “La mia fotografia è caratterizzata da un’attenzione particolare per le inquadrature e per le minime unità espressive dell’oggetto inquadrato”.

Anche se l’atmosfera metafisica, palpabile soprattutto nelle immagini degli esordi, non basta a spiegare il linguaggio complesso e ricercato di De Luca, dove l’influsso dei grandi fotografi dell’agenzia Magnum, la sospensione del tempo o gli artifici di gusto surreale, si fondono con un cocktail di studio e immediatezza.

A proposito dei ritratti ha spiegato: “Vado sempre io dalla persona che devo fotografare: a casa, nel suo studio, in un albergo...ovunque. Una volta sul posto decido la composizione, il taglio dell'immagine e sfrutto anche le cose, gli oggetti che ho intorno a me. Non c'è mai niente di preparato...tutto scaturisce dall'ispirazione del momento. Solitamente faccio pochissimi scatti e già mentre li faccio mi accorgo se ho la foto giusta, però al soggetto chiedo sempre di stare immobile al momento del mio click”.

Questo è il modus operandi che ha usato per immortalare: Renato Carosone, Rick Wakeman, Carla Fracci, Renzo Arbore, Lina Wertmuller, Giorgio Napolitano, Hermann Nitsch, James Senese, Enzo Avitabile ed altri. Nei suoi ritratti la personalità del modello emerge, ma solo in parte. Quasi tutti mantengono una certa compostezza. Un ché di inespresso. A volte il signor De Luca ha preferito sfondi aggrovigliati, vezzosi e pullulanti di segni, altri è intervenuto manualmente sulle foto per renderli fantasiosi e creativi, altre ancora ha preferito la semplicità. Tutti i suoi scatti sono rigorosamente piatti: lasciano entrare il mondo ma rifiutano che pieghi il suo racconto con le leggi della prospettiva rinascimentale.

Da Napoli Grande Signora

Questo è particolarmente evidente nelle fotografie architettoniche dove l’artista riesce a individuare un punto di vista inaspettato dal quale un numero limitato di forme (in genere due o tre al massimo) frantumano la prospettiva per impedire all’occhio di vagare e per attribbuire peso al soggetto.

Nonostante le sue opere siano conservate in giro per il mondo (negli Stati Uniti fanno parte della Polaroid Collection, a Parigi sono alla Biblioteca nazionale di Francia, oltre ad essere al Centro Nazionale per le Arti dello Spettacolo di Pechino e al Musée de la Photographie di Charleroi), Augusto De Luca non ha mai abbandonato Napoli, per cui nutre un amore incondizionato. Come testimonia la serie di ritratti “Trentuno napoletani di fine secolo” (siamo di nuovo negli anni ’90 e tra i suoi concittadini effigiati ci sono: Salvatore Accardo, Lucio Amelio, Luciano De Crescenzo, Roberto De Simone, Francesco De Martino, Raffaele La Capria, Riccardo Muti, Francesco Rosi, Roberto Murolo) ma soprattutto le splendide immagini del libro fotografico “Napoli grande signora” (edito da Gangemi) in cui la città partenopea, magica e meravigliosa ma anche desolata e inquietante, appare più come una visione onirica che come un vero e proprio luogo fisico, dove la tensione narrativa converge in un’eternità immutabile per quanto misteriosa ed attraente. “Io volevo che chiunque guardasse, e non solo nel momento in cui io facevo le foto ma anche molti anni dopo, rivedesse la stessa città. Ma per ottenere quel risultato bisognava eliminare qualsiasi riferimento temporale: automobili, motorini, negozi, cartelloni pubblicitari”.

Per quanto il volume “Napoli grande signora” o i ritratti di volti noti del mondo dello spettacolo abbiano avuto successo, la fotografia di De Luca è diventata davvero famosa in modo differente. “La Telecom mi aveva chiesto di fotografare Napoli, Parigi, Dublino, Berlino e Bruxelles perché ognuna di queste città comparisse su delle schede telefoniche. Lo feci. Alla fine ne hanno stampate 19 milioni”. Siamo tra il ’97 e il ’99: le sue immagini sono ovunque.

Pupella Maggio fotografata da De Luca nell’atrio di casa vicino a un ricordo di Eduardo De Filippo con cui aveva a lungo recitato

Prima il signor De Luca scattava in analogico, oggi usa delle piccole Leyca e ha abbracciato con entusiasmo la rivoluzione digitale. Ama molto internet, che gli ha permesso di continuare a mostrare al mondo il suo lavoro, anche dopo aver scoperto di non reggere più la pressione di un ritmo espositivo snervante: “Arrivavo a fare anche tre o quattro mostre al mese. Era troppo, dovevo fermarmi”. Adesso conduce una vita più ritirata ma continua a lavorare: “Faccio ritratti e ultimamente sto completando una serie dedicata alle fontanelle e una al Museo Archeologico Nazionale di Napoli”. E poi, anche in assenza di vernissages. non si può dire che la sua opera sia rimasta senza voce: “Ho cinquantotto pagine wikipedia!” Infatti, il suo nome, oltre ad essersi meritato una voce nella versione in lingua italiana della famosa enciclopedia online, appare anche in quelle di molti altri Paesi.

Tra tutti i personaggi che ha fotografato Augusto De Luca dice di avere un ricordo particolarmente vivido dell’incontro con la grande attrice teatrale italiana, Pupella Maggio (faceva parte della compagnia di Eduardo De Filippo e ha recitato in ‘Amarcord’ di Federico Fellini). “In quel periodo lei viveva a Roma e Napoli le mancava moltissimo. Così quando mi ha aperto la porta sono stato investito da un odore di ragù come si fa a Napoli. Era talmente forte che sembrava di stare in qualche locale della Chiaia. Comunque, lei era sulla porta, e dietro, sul muro, era appesa una foto di Eduardo che le aveva scritto: ‘A Pupella con amore: quello selvaggio del teatro’. Non l’ho fatta entrare, le ho detto di rimanere dov’era e ho chiesto al mio assistente di posizionare uno strumento per modificare la luce, perché volevo che lei e il volto di De Filippo nella foto fossero sullo stesso piano. Come davvero l’uno accanto all’altra”.

Da Napoli Grande Signora

Le immagini di Napoli scattate da De Luca, che vennero riprodotte sulle schede telefoniche Telecom

Da “Napoli Grande Signora”

Per quanto De Luca sia più noto per le foto in bianco e nero ha lungamente fotografato a colori, usando, tra l’altro uua tavolozza inaspettatamente vivace

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Un ritratto di Augusto De Luca