In un’intervista Augusto De Luca parla di fotografia architettonica, dei ritratti alle star e di come troppo successo alla lunga sia sfiancante

Lina Sastri in un ritrattto di Augusto De Luca (1987). All images Courtesy Augusto De Luca © Augusto De Luca

Quando, intorno alla età degli anni ’80, Augusto De Luca si trovò a fotografare Lina Sastri, a quel tempo all’apice della sua fama, dopo un fraintendimento dovette discutere, spiegare e rispiegare con pazienza non lesinando in complimenti e simpatia per riuscire ad ottenere la complicità dell’attrice italiana. Alla fine ce la fece e scattò quelli che oggi appaiono i ritratti più belli che siano mai stati fatti alla signora Sastri. Un mix di forma impeccabile e intimità dalle ombre drammatiche che rubano alla protagonista il centro della scena. Mentre parlano della natura ambigua dell’arte.

D’altra parte non avrebbe potuto essere altrimenti: De Luca è un uomo dalla gentilezza spontanea e dalla parlantina sciolta che saprebbe mettere a proprio agio chiunque. In calce alle mail che invia, proprio accanto ai saluti rituali, mette l’emoji di una rosa per mostrare considerazione verso l’interlocutore. Tuttavia nei suoi occhi chiari, in cui sembrano convivere molteplici luci di vitalità con infinitesimali aloni bui di malinconia, si percepisce la fermezza di chi ha una visione artistica ben chiara. E la sua carriera ormai cinquantennale ne è una testimonianza.

Augusto De Luca insieme ad Ennio Mirricone nel ‘96 quando entrambi ricevono il premio Città di Roma per il libro “Roma Nostra”

Cominciò così: “Allora (siamo negli anni ’70, ndr) andavano molto di monda i complessi. Oggi se uno ha un complesso va dallo psicologo- scherza- ma ai tempi tutti suonavamo. Poi c’era un’altra cosa che tutti i ragazzi facevano: scattare fotografie. Un giorno ero con un mio amico che appendeva una foto appena dopo averla immersa nel liquido e, mentre l’immagine si formava sotto i miei occhi, ho capito che era quello che volevo fare”. Nel frattempo Augusto De Luca, nato a Napoli nel ’55, frequentava ancora la facoltà di giurisprudenza, dove avrebbe conseguito la laurea, per poi accorgersi che quella professione non gli calzava affatto. “Non faceva proprio per me”.

Si potrebbe anche pensare che il rigore quasi militare delle sue composizioni, in cui spesso spiccano elementi riconducibili alle forme geometriche, sia simile al diritto ma lui non è d’accordo: “Ho sempre pensato che le mie fotografie somiglino a una partitura”. Il musicista e direttore d’orchestra Ennio Morricone gliene diede la certezza quando guardando il suo lavoro disse: “Sai, ho capito subito che sei un musicista. Le tue foto hanno un ritmo compositivo musicale che appartiene a chi è sensibile all’armonia dei suoni”.

Del resto lui, ai tempi dei “complessi”, suonava con Ernesto Vitolo (quest’ultimo in seguito avrebbe collaborato con quasi tutti i big della musica italiana da Vasco Rossi a Renato Zero), Mario Insenga, Alan Sorrenti, Enzo Avitabile e Lino Vairetti. E, in seguito, gli sarebbe capitato di suonare in compagnia di una persona ancora più importante: “Mia figlia Giulia non ha voluto seguire le mie orme perché amava la chimica e ha voluto fare la farmacista. Però abbiamo suonato insieme il basso.”

Ennio Morricone lo conobbe nel ’95, quando quest’ultimo partecipò con un testo al suo libro fotografico “Roma Nostra”. Insieme al signor Morricone il volume conteneva interventi di personaggi iconici dell’Italia di quegli anni, come Alberto Sordi, Maurizio Costanzo, Paolo Portoghesi, Monica Vitti e Gigi Proietti (ma le parole di altri grandi della cultura, da Lina Wertmuller a Mario Luzi fino a Margherita Hack, si ritrovano in altri suoi volumi). “Le Ferrovie mi avevano chiamato per celebrare con una serie di fotografie le città toccate dalla linea ad Alta Velocità che era stata appena completata. Tra loro c’era Roma”.

Per “Roma Nostra” sia lui che Morricone vinsero il premio Città di Roma. Il progetto aveva anche il sostegno della Camera dei Deputati. Secondo il signor De Luca però il patrocinio sarebbe stato più difficile da ottenere se in quel periodo non avesse insegnato fotografia al Circolo Montecitorio: “Nella mia classe c’erano Nilde Iotti e la sorella di Emanuela Orlandi. E poi in Transatlantico (salone in stile liberty della Camera dove si ritrovano i deputati ndr) ho incontrato tutti, da D’Alema a Napolitano (Napolitano, la Iotti ma anche Ciampi hanno presentato dei suoi volumi ndr). Berlusconi però no, lui non l’ho mai incrociato”. Giura anche che alcuni politici si erano dimostrati allievi fotografi appassionati e dotati.

Da “Napoli Grande Signora”

Non stupisce che il libro su Roma abbia regalato tante soddisfazioni al signor De Luca, visto che la fotografia architettonica e il ritratto, sono le due strade che l’artista ha percorso fin dagli inizi della sua carriera, attraverso immagini a colori o in bianco e nero, ma senza mai derogare a un alfabeto del tutto personale, che lui definisce surreale: “All’inizio scatti e basta ma poi emerge il tuo stile. E il mio era surreale, facevo cose che richiamavano alla mente Magritte anche se da ragazzo non conoscevo la storia dell’arte. Quella l’ho studiata dopo”. In altre occasioni ha invece affermato: “La mia fotografia è caratterizzata da un’attenzione particolare per le inquadrature e per le minime unità espressive dell’oggetto inquadrato”.

Anche se l’atmosfera metafisica, palpabile soprattutto nelle immagini degli esordi, non basta a spiegare il linguaggio complesso e ricercato di De Luca, dove l’influsso dei grandi fotografi dell’agenzia Magnum, la sospensione del tempo o gli artifici di gusto surreale, si fondono con un cocktail di studio e immediatezza.

A proposito dei ritratti ha spiegato: “Vado sempre io dalla persona che devo fotografare: a casa, nel suo studio, in un albergo...ovunque. Una volta sul posto decido la composizione, il taglio dell'immagine e sfrutto anche le cose, gli oggetti che ho intorno a me. Non c'è mai niente di preparato...tutto scaturisce dall'ispirazione del momento. Solitamente faccio pochissimi scatti e già mentre li faccio mi accorgo se ho la foto giusta, però al soggetto chiedo sempre di stare immobile al momento del mio click”.

Questo è il modus operandi che ha usato per immortalare: Renato Carosone, Rick Wakeman, Carla Fracci, Renzo Arbore, Lina Wertmuller, Giorgio Napolitano, Hermann Nitsch, James Senese, Enzo Avitabile ed altri. Nei suoi ritratti la personalità del modello emerge, ma solo in parte. Quasi tutti mantengono una certa compostezza. Un ché di inespresso. A volte il signor De Luca ha preferito sfondi aggrovigliati, vezzosi e pullulanti di segni, altri è intervenuto manualmente sulle foto per renderli fantasiosi e creativi, altre ancora ha preferito la semplicità. Tutti i suoi scatti sono rigorosamente piatti: lasciano entrare il mondo ma rifiutano che pieghi il suo racconto con le leggi della prospettiva rinascimentale.

Da Napoli Grande Signora

Questo è particolarmente evidente nelle fotografie architettoniche dove l’artista riesce a individuare un punto di vista inaspettato dal quale un numero limitato di forme (in genere due o tre al massimo) frantumano la prospettiva per impedire all’occhio di vagare e per attribbuire peso al soggetto.

Nonostante le sue opere siano conservate in giro per il mondo (negli Stati Uniti fanno parte della Polaroid Collection, a Parigi sono alla Biblioteca nazionale di Francia, oltre ad essere al Centro Nazionale per le Arti dello Spettacolo di Pechino e al Musée de la Photographie di Charleroi), Augusto De Luca non ha mai abbandonato Napoli, per cui nutre un amore incondizionato. Come testimonia la serie di ritratti “Trentuno napoletani di fine secolo” (siamo di nuovo negli anni ’90 e tra i suoi concittadini effigiati ci sono: Salvatore Accardo, Lucio Amelio, Luciano De Crescenzo, Roberto De Simone, Francesco De Martino, Raffaele La Capria, Riccardo Muti, Francesco Rosi, Roberto Murolo) ma soprattutto le splendide immagini del libro fotografico “Napoli grande signora” (edito da Gangemi) in cui la città partenopea, magica e meravigliosa ma anche desolata e inquietante, appare più come una visione onirica che come un vero e proprio luogo fisico, dove la tensione narrativa converge in un’eternità immutabile per quanto misteriosa ed attraente. “Io volevo che chiunque guardasse, e non solo nel momento in cui io facevo le foto ma anche molti anni dopo, rivedesse la stessa città. Ma per ottenere quel risultato bisognava eliminare qualsiasi riferimento temporale: automobili, motorini, negozi, cartelloni pubblicitari”.

Per quanto il volume “Napoli grande signora” o i ritratti di volti noti del mondo dello spettacolo abbiano avuto successo, la fotografia di De Luca è diventata davvero famosa in modo differente. “La Telecom mi aveva chiesto di fotografare Napoli, Parigi, Dublino, Berlino e Bruxelles perché ognuna di queste città comparisse su delle schede telefoniche. Lo feci. Alla fine ne hanno stampate 19 milioni”. Siamo tra il ’97 e il ’99: le sue immagini sono ovunque.

Pupella Maggio fotografata da De Luca nell’atrio di casa vicino a un ricordo di Eduardo De Filippo con cui aveva a lungo recitato

Prima il signor De Luca scattava in analogico, oggi usa delle piccole Leyca e ha abbracciato con entusiasmo la rivoluzione digitale. Ama molto internet, che gli ha permesso di continuare a mostrare al mondo il suo lavoro, anche dopo aver scoperto di non reggere più la pressione di un ritmo espositivo snervante: “Arrivavo a fare anche tre o quattro mostre al mese. Era troppo, dovevo fermarmi”. Adesso conduce una vita più ritirata ma continua a lavorare: “Faccio ritratti e ultimamente sto completando una serie dedicata alle fontanelle e una al Museo Archeologico Nazionale di Napoli”. E poi, anche in assenza di vernissages. non si può dire che la sua opera sia rimasta senza voce: “Ho cinquantotto pagine wikipedia!” Infatti, il suo nome, oltre ad essersi meritato una voce nella versione in lingua italiana della famosa enciclopedia online, appare anche in quelle di molti altri Paesi.

Tra tutti i personaggi che ha fotografato Augusto De Luca dice di avere un ricordo particolarmente vivido dell’incontro con la grande attrice teatrale italiana, Pupella Maggio (faceva parte della compagnia di Eduardo De Filippo e ha recitato in ‘Amarcord’ di Federico Fellini). “In quel periodo lei viveva a Roma e Napoli le mancava moltissimo. Così quando mi ha aperto la porta sono stato investito da un odore di ragù come si fa a Napoli. Era talmente forte che sembrava di stare in qualche locale della Chiaia. Comunque, lei era sulla porta, e dietro, sul muro, era appesa una foto di Eduardo che le aveva scritto: ‘A Pupella con amore: quello selvaggio del teatro’. Non l’ho fatta entrare, le ho detto di rimanere dov’era e ho chiesto al mio assistente di posizionare uno strumento per modificare la luce, perché volevo che lei e il volto di De Filippo nella foto fossero sullo stesso piano. Come davvero l’uno accanto all’altra”.

Da Napoli Grande Signora

Le immagini di Napoli scattate da De Luca, che vennero riprodotte sulle schede telefoniche Telecom

Da “Napoli Grande Signora”

Per quanto De Luca sia più noto per le foto in bianco e nero ha lungamente fotografato a colori, usando, tra l’altro uua tavolozza inaspettatamente vivace

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Un ritratto di Augusto De Luca

Il ghiaccio del Mar Baltico si fa astratto nella fotografia di Bernhard Lang

BALTIC ICE II PAERNU 008 All images courtesy: © Bernhard Lang Strutture di ghiaccio sul mare vicino a Paernu, fotografate da un'altezza di circa 100 metri.

Baltic Ice”, la nuova serie di immagini del fotografo tedesco Bernhard Lang (di alcune delle precedenti Artbooms ha parlato qui), non ritrae quasi nient’altro che blocchi di ghiaccio e distese d’acqua. Qualche porto stretto nella morsa del freddo più intenso, alcune navi rompighiaccio che si fanno faticosamente largo in un ambiente aspro, ma la terra ferma, e la presenza dell’uomo (come di altri animali) si riducono questo. Il paesaggio marino invernale dell’estremo nord europeo, in compenso, è il protagonista assoluto di questi scatti aerei che lo tengono in bilico tra documentazione del reale ed astrazione.

Nato nel 1970 a Crailsheim, un’antica cittadina immersa nel verde della Germania meriodionale, Bernhard Lang, che adesso vive e lavora tra Monaco, Langenburg (in Germania) e Tallin (in Estonia), dal 2010 si dedica al progetto “Aerial Views”. Si tratta di immagini prese dall’alto, spesso molto in alto, che Lang non si limita a catturare con un drone ma scatta personalmente, noleggiando elicotteri o piccoli aereomobili. E’ stato in diversi continenti, anche se, per ovvie ragioni, più di frequente focalizza il suo interesse sull’Europa (in Italia ha fotografato le cave di marmo a Carrara e le sterminate distese di ombrelloni della riviera romagnola). Si soffferma sia sul paesaggio naturale che, più spesso, su quello industriale o, comunque sulle aree in cui la presenza dell’uomo ha avuto un forte impatto sull’ambiente.

E’ evidente quindi che Lang, non intenda limitarsi a stupire il pubblico con immagini inconsuete, ma cerchi di documentare l’impatto della presenza massiccia dell’uomo sul Pianeta. Senza dimenticare che lui, come altri fotografi, mostrandoci il mondo da un altro punto di vista, ci renda evidente quanto la nostra percezione del reale sia parziale e ingannevole.

Baltic Ice” è stata scattata in Finlandia e in Estonia e mostra il paesaggio nord europeo drasticamente trasformato da un rigido inverno. In alcune foto si vede come il ghiaccio arrivi fino all’acqua di un porto di Helsinki, in un’altra una spiaggia estone (che durante l’estate si riempie di turisti) completamente innevata e ghiacciata. E poi il Lago Peipus (sempre in Estonia) diventato solido e percorribile a piedi. Quest’ultimo, poco profondo, è un lago enorme, sette volte più largo del Lago di Costanza che, a sua volta, è più grande del maggior lago italiano (il Garda), e proprio in mezzo ad esso cade il confine con la Russia tracciato dalla Nato.

In questa serie, come in altre di Lang, il confine tra realtà e astrazione si fa labile. E alcune fotografie si spingono all’estremo limite mentre offrono agli occhi una danza di motivi bianchi sulla campitura di blu del mare.

Lang ha spiegato così la nascita di “Baltic Ice”: "Poichè in parte vivo in Estonia dal 2022 ho notato delle forme di ghiaccio dall'aspetto interessante che la natura ha creato e che si vedono partendo dal Mar Baltico durante  l'inverno"

 Baltic  Ice Kakumaee 002 Banchi di ghiaccio nel Mar Baltico al largo delle coste dell'Estonia, vicino alla capitale Tallinn.

BALTIC ICE II PAERNU 003 Il fiume Paernu, nell'Estonia meridionale, è mantenuto navigabile da piccole navi rompighiaccio.

 BALTIC ICE PEIPSIJAERV 016 L'immenso Lago Peipus (circa 7 volte più grande del Lago di Costanza) è completamente ghiacciato perché è profondo solo 2 metri. Il confine esterno della NATO con la Russia attraversa il centro del lago. I pescatori sul ghiaccio colmano le grandi distanze sul lago con auto appositamente costruite.

 BALTIC ICE II HELSINKI 014 A Helsinki, in Finlandia, anche il mare nei bacini portuali gela.

 BALTIC ICE PAERNU 008 La spiaggia di Paernu più visitata dell'Estonia in estate, è ghiacciata in inverno.

 BALTIC ICE PAERNU 010 Per diversi mesi il Mar Baltico è rimasto ghiacciato nella baia della località balneare di Paernu. Molti pescatori sul ghiaccio camminano per chilometri sul ghiaccio per dedicarsi a questa attività invernale che è molto popolare da queste parti.

“The Evidence of Things Not Seen” la più grande mostra di Carrie Mae Weems in Svizzera, ancora per poco a Basilea

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Una donna e una bambina siedono al tavolo della cucina, la luce cade dall’alto, il lampadario a forma di cono ricorda il chiarore emanato da un occhio di bue, entrambe le protagoniste si mettono il rossetto con movimenti speculari. “Woman and Daughter with Make Up” parte di “Kitchen Table”, la serie più famosa dell’artista statunitense Carrie Mae Weems, è probabilmente una delle immagini più belle della storia dell’arte recente. Nella sua finta spontaneità, la fotografia in bianco e nero costruita con attenzione da Weems (che qui è sia autrice che modella), parla di costrutti sociali che incidono sul sé, unione e separazione, vicinanza e solitudine, identità di genere, presente e futuro.

Ho sempre avuto un esercizio di autoritratto nelle mie lezioni- ha detto Weems che, nel tempo. ha insegnato fotografia in varie università degli Stati Uniti -Invariabilmente, tutte le studentesse erano in qualche modo coperte (…) Facevano sempre qualcosa per oscurare la chiara visione di se stesse. Perché le donne sono sempre state interessate ad essere oggetti, perché siamo state addestrate ad essere oggetti (…)”.

Questa immagine, insieme alle altre che costituiscono la serie “Kitchen Table”, fa parte della vasta retrospettiva “The Evidence of Things Not Seen” che il Kunstmuseum Basel (il museo d’arte contemporanea di Basilea) ha dedicato a Carrie Mae Weems: la prima artista afroamericana invitata a fare una personale al Guggenheim di New York (2012), la prima donna di colore a vincere il prestigioso premio internazionale di fotografia Hasselblad Award (2023). D’altra parte la mostra, la più grande che la Svizzera le abbia mai tributato, che si basa su altre esposizioni simili che dal 2022 si sono tenute in alcuni musei europei (Württembergischer Kunstverein di Stoccarda, Fundación MAPFRE e Fundación Foto Colectania di Barcellona, Barbican Centre di Londra), mette in fila ben trentacinque anni di lavoro dell’artista, attraverso un corpus di opere notevole: video, installazioni, testi e naturalmente fotografie.

Untitled (Eating Lobster), The Kitchen Table Series, Carrie Mae Weems, 1990/1999. Silver gelatin print,104.7 x 104.7 x 5.7 cm © bei der Künstlerin / the artist Courtesy of the artist and Gladstone Gallery

Il mezzo che Weems ama di più: “Credo- ha detto una volta- che la prima volta che ho preso in mano quella macchina fotografica, ho pensato: 'Oh, OK, questo è il mio strumento. Questo è tutto'” Allora, Weems aveva vent’anni e la macchina gliela aveva regalata il suo ragazzo dell’epoca: da quel momento in avanti Weems non avrebbe più smesso di fotografare. All’inizio concentrandosi su quello che meglio conosceva e sulla documentazione della realtà: dedica una serie alla vita nella sua città (“Environmental Profits” del ’78) e una ai rapporti tra lei i suoi familiari ed amici (“Family Pictures and Stories”, anche questa cominciata nel ’78 ma finita cinque anni dopo). Per poi capire che per lei fare fotografie significava anche mettere in scena. Talvolta in maniera ricercata, con soggetti che emergono dal buio dello sfondo, a cui sembrano voler ritornare da un momento all’altro, senza, tuttavia mostrarsi mai al mondo. E’ il caso della serie “The Louisiana Project” in cui le maschere che occultano le persone diventano modi per esprimere commenti sulla razza, filtri tra se e gli altri, dimostrando contemporaneamente, in maniera distorta, la propria identità senza però mai dimenticare lo sguardo altrui.

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Gina Folly

Del resto Carrie Mae Weems, nata nel ’53 a Portland in Oregon, durante il periodo della sua formazione ha studiato folklore all’Università della California di Berkeley, ed è naturale che abbia finito per affrontare il tema delle maschere e della teatralità. Nell’opera di Weems, ad ogni modo, l’ingiustizia, la maniera in cui la società rimodella l’identità sulla base della razza e del genere, sono argomenti che tornano costantemente, e non fa eccezione “The Louisiana Project” (così come le altre create dall’artista). In un’intervista, lei ha spiegato: “Da giovanissima ero già un esistenzialista. Quando avevo otto anni uscivo dai gradini di casa mia e guardando il cielo mi chiedevo perché eravamo qui in questo posto e quale sarebbe stato il mio ruolo nella vita. Mi interessavano la politica e la giustizia sociale. Cosa significava vivere una vita aperta e libera? Quali erano i problemi profondi dell’umanità che insistevano sul fatto che il ruolo del potere fosse quello di sottomettere gli altri? Qual è la voce dei soggiogati, degli oppressi, degli abbattuti e dei terrorizzati, e come si esprime quella voce? Tutto questo mi ha interessato molto presto, ma allora non sapevo come esprimerlo (…)

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Weems naturalmente ha particolarmente a cuore i diritti degli afroamericani. A Basilea tra le opere in mostra c’è persino un’installazione (“Land of Broken Dreams: A Case Study” del 2021) in cui sono stati esposti veri cimeli del Black Panther Party, mischiati a riviste degli anni ’60-’70 in cui sono documentate violenze verso i neri. Senza contare le fotografie che ha scattato nella sua città natale dopo l’assassinio di George Floyd: qui Weems ha immortalato particolari di vetrine murate e graffiti cancellati, più e più volte, fino a costruire un lirico omaggio alla pittura dimenticata degli espressionisti astratti americani di colore.

Preservare la memoria di attrici e cantanti afroamericane del passato è invece stato il pensiero alla base del gruppo di immagini sfocate a loro dedicate, in cui l’artista, per conservare il loro ricordo, le ha rese inafferrabili fantasmi. Weems si è poi creata un alter-ego che un po’ quelle dive le ricorda, con il suo lungo abito nero, e che compare, in varie, sue serie (in genere lo usa per rimarcare l’inacessibilità o l’esclusività di determinati luoghi).

“The Evidence of Things Not Seen” di Carrie Mae Weems al Kunstmuseum Basel (il museo d’arte contemporanea di Basilea), a cura di Maja Wismer con Alice Wilke, si potrà visitare fino al 7 aprile 2024.

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Department of Lavorare - Mussolini's Rome, Roaming, Carrie Mae Weems, 2006 Digital C-print 186.531 x 156.21 x 6.66 cm © bei der Künstlerin / the artist Courtesy of the artist and Galerie Barbara Thumm

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Gina Folly

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Gina Folly

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Carrie Mae Weems, Medienkonferenz, The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel, Gegenwart, 24.10.2023 Photo Credit: Julian Salinas