In un’intervista Augusto De Luca parla di fotografia architettonica, dei ritratti alle star e di come troppo successo alla lunga sia sfiancante

Lina Sastri in un ritrattto di Augusto De Luca (1987). All images Courtesy Augusto De Luca © Augusto De Luca

Quando, intorno alla età degli anni ’80, Augusto De Luca si trovò a fotografare Lina Sastri, a quel tempo all’apice della sua fama, dopo un fraintendimento dovette discutere, spiegare e rispiegare con pazienza non lesinando in complimenti e simpatia per riuscire ad ottenere la complicità dell’attrice italiana. Alla fine ce la fece e scattò quelli che oggi appaiono i ritratti più belli che siano mai stati fatti alla signora Sastri. Un mix di forma impeccabile e intimità dalle ombre drammatiche che rubano alla protagonista il centro della scena. Mentre parlano della natura ambigua dell’arte.

D’altra parte non avrebbe potuto essere altrimenti: De Luca è un uomo dalla gentilezza spontanea e dalla parlantina sciolta che saprebbe mettere a proprio agio chiunque. In calce alle mail che invia, proprio accanto ai saluti rituali, mette l’emoji di una rosa per mostrare considerazione verso l’interlocutore. Tuttavia nei suoi occhi chiari, in cui sembrano convivere molteplici luci di vitalità con infinitesimali aloni bui di malinconia, si percepisce la fermezza di chi ha una visione artistica ben chiara. E la sua carriera ormai cinquantennale ne è una testimonianza.

Augusto De Luca insieme ad Ennio Mirricone nel ‘96 quando entrambi ricevono il premio Città di Roma per il libro “Roma Nostra”

Cominciò così: “Allora (siamo negli anni ’70, ndr) andavano molto di monda i complessi. Oggi se uno ha un complesso va dallo psicologo- scherza- ma ai tempi tutti suonavamo. Poi c’era un’altra cosa che tutti i ragazzi facevano: scattare fotografie. Un giorno ero con un mio amico che appendeva una foto appena dopo averla immersa nel liquido e, mentre l’immagine si formava sotto i miei occhi, ho capito che era quello che volevo fare”. Nel frattempo Augusto De Luca, nato a Napoli nel ’55, frequentava ancora la facoltà di giurisprudenza, dove avrebbe conseguito la laurea, per poi accorgersi che quella professione non gli calzava affatto. “Non faceva proprio per me”.

Si potrebbe anche pensare che il rigore quasi militare delle sue composizioni, in cui spesso spiccano elementi riconducibili alle forme geometriche, sia simile al diritto ma lui non è d’accordo: “Ho sempre pensato che le mie fotografie somiglino a una partitura”. Il musicista e direttore d’orchestra Ennio Morricone gliene diede la certezza quando guardando il suo lavoro disse: “Sai, ho capito subito che sei un musicista. Le tue foto hanno un ritmo compositivo musicale che appartiene a chi è sensibile all’armonia dei suoni”.

Del resto lui, ai tempi dei “complessi”, suonava con Ernesto Vitolo (quest’ultimo in seguito avrebbe collaborato con quasi tutti i big della musica italiana da Vasco Rossi a Renato Zero), Mario Insenga, Alan Sorrenti, Enzo Avitabile e Lino Vairetti. E, in seguito, gli sarebbe capitato di suonare in compagnia di una persona ancora più importante: “Mia figlia Giulia non ha voluto seguire le mie orme perché amava la chimica e ha voluto fare la farmacista. Però abbiamo suonato insieme il basso.”

Ennio Morricone lo conobbe nel ’95, quando quest’ultimo partecipò con un testo al suo libro fotografico “Roma Nostra”. Insieme al signor Morricone il volume conteneva interventi di personaggi iconici dell’Italia di quegli anni, come Alberto Sordi, Maurizio Costanzo, Paolo Portoghesi, Monica Vitti e Gigi Proietti (ma le parole di altri grandi della cultura, da Lina Wertmuller a Mario Luzi fino a Margherita Hack, si ritrovano in altri suoi volumi). “Le Ferrovie mi avevano chiamato per celebrare con una serie di fotografie le città toccate dalla linea ad Alta Velocità che era stata appena completata. Tra loro c’era Roma”.

Per “Roma Nostra” sia lui che Morricone vinsero il premio Città di Roma. Il progetto aveva anche il sostegno della Camera dei Deputati. Secondo il signor De Luca però il patrocinio sarebbe stato più difficile da ottenere se in quel periodo non avesse insegnato fotografia al Circolo Montecitorio: “Nella mia classe c’erano Nilde Iotti e la sorella di Emanuela Orlandi. E poi in Transatlantico (salone in stile liberty della Camera dove si ritrovano i deputati ndr) ho incontrato tutti, da D’Alema a Napolitano (Napolitano, la Iotti ma anche Ciampi hanno presentato dei suoi volumi ndr). Berlusconi però no, lui non l’ho mai incrociato”. Giura anche che alcuni politici si erano dimostrati allievi fotografi appassionati e dotati.

Da “Napoli Grande Signora”

Non stupisce che il libro su Roma abbia regalato tante soddisfazioni al signor De Luca, visto che la fotografia architettonica e il ritratto, sono le due strade che l’artista ha percorso fin dagli inizi della sua carriera, attraverso immagini a colori o in bianco e nero, ma senza mai derogare a un alfabeto del tutto personale, che lui definisce surreale: “All’inizio scatti e basta ma poi emerge il tuo stile. E il mio era surreale, facevo cose che richiamavano alla mente Magritte anche se da ragazzo non conoscevo la storia dell’arte. Quella l’ho studiata dopo”. In altre occasioni ha invece affermato: “La mia fotografia è caratterizzata da un’attenzione particolare per le inquadrature e per le minime unità espressive dell’oggetto inquadrato”.

Anche se l’atmosfera metafisica, palpabile soprattutto nelle immagini degli esordi, non basta a spiegare il linguaggio complesso e ricercato di De Luca, dove l’influsso dei grandi fotografi dell’agenzia Magnum, la sospensione del tempo o gli artifici di gusto surreale, si fondono con un cocktail di studio e immediatezza.

A proposito dei ritratti ha spiegato: “Vado sempre io dalla persona che devo fotografare: a casa, nel suo studio, in un albergo...ovunque. Una volta sul posto decido la composizione, il taglio dell'immagine e sfrutto anche le cose, gli oggetti che ho intorno a me. Non c'è mai niente di preparato...tutto scaturisce dall'ispirazione del momento. Solitamente faccio pochissimi scatti e già mentre li faccio mi accorgo se ho la foto giusta, però al soggetto chiedo sempre di stare immobile al momento del mio click”.

Questo è il modus operandi che ha usato per immortalare: Renato Carosone, Rick Wakeman, Carla Fracci, Renzo Arbore, Lina Wertmuller, Giorgio Napolitano, Hermann Nitsch, James Senese, Enzo Avitabile ed altri. Nei suoi ritratti la personalità del modello emerge, ma solo in parte. Quasi tutti mantengono una certa compostezza. Un ché di inespresso. A volte il signor De Luca ha preferito sfondi aggrovigliati, vezzosi e pullulanti di segni, altri è intervenuto manualmente sulle foto per renderli fantasiosi e creativi, altre ancora ha preferito la semplicità. Tutti i suoi scatti sono rigorosamente piatti: lasciano entrare il mondo ma rifiutano che pieghi il suo racconto con le leggi della prospettiva rinascimentale.

Da Napoli Grande Signora

Questo è particolarmente evidente nelle fotografie architettoniche dove l’artista riesce a individuare un punto di vista inaspettato dal quale un numero limitato di forme (in genere due o tre al massimo) frantumano la prospettiva per impedire all’occhio di vagare e per attribbuire peso al soggetto.

Nonostante le sue opere siano conservate in giro per il mondo (negli Stati Uniti fanno parte della Polaroid Collection, a Parigi sono alla Biblioteca nazionale di Francia, oltre ad essere al Centro Nazionale per le Arti dello Spettacolo di Pechino e al Musée de la Photographie di Charleroi), Augusto De Luca non ha mai abbandonato Napoli, per cui nutre un amore incondizionato. Come testimonia la serie di ritratti “Trentuno napoletani di fine secolo” (siamo di nuovo negli anni ’90 e tra i suoi concittadini effigiati ci sono: Salvatore Accardo, Lucio Amelio, Luciano De Crescenzo, Roberto De Simone, Francesco De Martino, Raffaele La Capria, Riccardo Muti, Francesco Rosi, Roberto Murolo) ma soprattutto le splendide immagini del libro fotografico “Napoli grande signora” (edito da Gangemi) in cui la città partenopea, magica e meravigliosa ma anche desolata e inquietante, appare più come una visione onirica che come un vero e proprio luogo fisico, dove la tensione narrativa converge in un’eternità immutabile per quanto misteriosa ed attraente. “Io volevo che chiunque guardasse, e non solo nel momento in cui io facevo le foto ma anche molti anni dopo, rivedesse la stessa città. Ma per ottenere quel risultato bisognava eliminare qualsiasi riferimento temporale: automobili, motorini, negozi, cartelloni pubblicitari”.

Per quanto il volume “Napoli grande signora” o i ritratti di volti noti del mondo dello spettacolo abbiano avuto successo, la fotografia di De Luca è diventata davvero famosa in modo differente. “La Telecom mi aveva chiesto di fotografare Napoli, Parigi, Dublino, Berlino e Bruxelles perché ognuna di queste città comparisse su delle schede telefoniche. Lo feci. Alla fine ne hanno stampate 19 milioni”. Siamo tra il ’97 e il ’99: le sue immagini sono ovunque.

Pupella Maggio fotografata da De Luca nell’atrio di casa vicino a un ricordo di Eduardo De Filippo con cui aveva a lungo recitato

Prima il signor De Luca scattava in analogico, oggi usa delle piccole Leyca e ha abbracciato con entusiasmo la rivoluzione digitale. Ama molto internet, che gli ha permesso di continuare a mostrare al mondo il suo lavoro, anche dopo aver scoperto di non reggere più la pressione di un ritmo espositivo snervante: “Arrivavo a fare anche tre o quattro mostre al mese. Era troppo, dovevo fermarmi”. Adesso conduce una vita più ritirata ma continua a lavorare: “Faccio ritratti e ultimamente sto completando una serie dedicata alle fontanelle e una al Museo Archeologico Nazionale di Napoli”. E poi, anche in assenza di vernissages. non si può dire che la sua opera sia rimasta senza voce: “Ho cinquantotto pagine wikipedia!” Infatti, il suo nome, oltre ad essersi meritato una voce nella versione in lingua italiana della famosa enciclopedia online, appare anche in quelle di molti altri Paesi.

Tra tutti i personaggi che ha fotografato Augusto De Luca dice di avere un ricordo particolarmente vivido dell’incontro con la grande attrice teatrale italiana, Pupella Maggio (faceva parte della compagnia di Eduardo De Filippo e ha recitato in ‘Amarcord’ di Federico Fellini). “In quel periodo lei viveva a Roma e Napoli le mancava moltissimo. Così quando mi ha aperto la porta sono stato investito da un odore di ragù come si fa a Napoli. Era talmente forte che sembrava di stare in qualche locale della Chiaia. Comunque, lei era sulla porta, e dietro, sul muro, era appesa una foto di Eduardo che le aveva scritto: ‘A Pupella con amore: quello selvaggio del teatro’. Non l’ho fatta entrare, le ho detto di rimanere dov’era e ho chiesto al mio assistente di posizionare uno strumento per modificare la luce, perché volevo che lei e il volto di De Filippo nella foto fossero sullo stesso piano. Come davvero l’uno accanto all’altra”.

Da Napoli Grande Signora

Le immagini di Napoli scattate da De Luca, che vennero riprodotte sulle schede telefoniche Telecom

Da “Napoli Grande Signora”

Per quanto De Luca sia più noto per le foto in bianco e nero ha lungamente fotografato a colori, usando, tra l’altro uua tavolozza inaspettatamente vivace

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Da “Napoli Grande Signora”

Un ritratto di Augusto De Luca

Ernst Scheidegger il fotografo che ritrasse le intramontabili star dell’arte

Ernst Scheidegger Salvador Dali nel suo atelier a Portlligat ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Ernst Scheidegger nato nel ’23 a Rorschach (una cittadina della Svizzera tedesca sul Lago di Costanza) e mancato nel 2016 a Zurigo è stato un pittore, un grafico, un editore e occasionalmente anche un regista ma soprattutto un importante fotografo. Uno dei primi reclutati dalla leggendaria agenzia Magum Photos (insieme a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger), assistente di Werner Bischof, ha viaggiato, congelato l’Europa postbellica nelle sue immagini oltre ad aver frequentato e fotografato tutti i maggiori artisti attivi a Parigi a cavallo della prima metà del secolo scorso. Pittori famosi come divi di Hollywood e architetti noti più delle rock star. Tra loro: Hans Arp, Max Bill, Marc Chagall, Salvador Dalí, Max Ernst, Oskar Kokoschka, Le Corbusier, Fernand Léger, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Sophie Taeuber-Arp ma soprattutto Alberto Gicometti (di cui il fotografo era amico fraterno). Da domenica prossima il Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano (Masi) celebrerà Ernst Scheidegger con una grande mostra, intitolata “Faccia a Faccia”, che, oltre a mettere a confronto i suoi ritratti con le opere dei pittori che ha immortalato, presenta un importante corpo di scatti giovanili, talvolta inediti.

Scheidegger, infatti, al termine della Seconda guerra mondiale, si spostò tra Svizzera, Italia, Paesi Bassi, Jugoslavia e Cecoslovacchia, armato di una macchina Rolleiflex e scattò numerose fotografie. Tutte immagini personali, in bianco e nero, in cui compaiono le devastazioni del conflitto (i cantieri navali abbandonati, i volti dei bambini degli orfanotrofi e delle carceri minorili) ma soprattutto la voglia di ricominciare della popolazione (il luna park, le fiere, i sorrisi e i momenti di svago). Durante questo periodo (che gli scatti in mostra circoscrivono, per necessità e comodità, tra il ’45 e il ’55) al fotografo svizzero interessano le persone e la vita quotidiana, che restituisce in modo poetico e con grande attenzione al sociale.

“(La sua opera giovanile ndr) racchiude- ha scritto il curatore della mostra e direttore del museo, Tobia Bezzola- molti temi classici dei neorealismi fotografici e cinematografici del secondo dopoguerra: il riverbero delle luci di scena sui volti degli artisti e dei clown di un circo, le emozioni a buon mercato della fiera e del luna park, la rumorosa vita popolare che anima le strade dell’Europa del Sud, i bambini di strada, l’Esercito della salvezza, le sagre, le manifestazioni dei lavoratori”.

Ma a rendere celebre Scheidegger saranno i ritratti, scattati per piacere ma soprattutto per lavoro (riviste di settore o progetti editoriali), ad alcuni tra gli artisti più famosi del mondo. Da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Bill a Marc Chagall, Scheidegger, li fotografa tutti, privilegiando una prospettiva frontale, con stile pulito ma senza cercare la perfezione della messa a fuoco, gli interessa di più la luce ma prima di ogni altra cosa gli sta a cuore riprendere gli artisti in quanto tali, facendone emergere il processo creativo. Ci sono i colori, i pennelli e i quadri o le sculture, a parte l’autore. Certo questo non impedisce a Scheidegger di far filtrare i sentimenti che prova per le persone che stanno di fronte al proprio obbiettivo: se Salvador Dalí sembra sorpreso con ironia giocosa e simpatia, nei ritratti di Le Corbusier e Cuno Amiet c’è distanza, mentre per commemorare Sophie Tauber Arp, prematuramente scomparsa, Scheidegger ne immortalata lo studio vuoto.

Le fotografie di questo importante capitolo della mostra al MASI sono poste a confronto con le opere degli artisti ritratti (Cuno Amiet, Hans Arp, Max Bill, Serge Brignoni, Marc Chagall, Eduardo Chillida, Salvador Dalí, Max Ernst, Alberto Giacometti, Fritz Glarner, Oskar Kokoschka, František Kupka, Henri Laurens, Le Corbusier, Fernand Léger, Verena Loewensberg, Richard Paul Lohse, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Ernst Morgenthaler, Germaine Richier, Sophie Taeuber-Arp, Georges Vantongerloo). Tra queste ultime c’è anche un ritratto del fotografo svizzero dipinto da Aberto Giacometti, che Scheidegger teneva in caso e di cui avrebbe detto “non lo venderei per niente al mondo”.

L’amicizia con Giacometti costituisce un capitolo a parte della mostra, visto che i due si erano conosciuti in Svizzera quando il fotografo era poco più che ventenne e che il loro rapporto, da allora, non si sarebbe mai interrotto: “Avevo poco piü di vent'anni- racconterà in un intervista rilasciata qualche anno fa alla giornalista Anna Maria Nunzi- ero stazionato in Bregaglia per il servizio militare. Avevo appena finito l'apprendistato di grafico. Disegnavo molto e un giorno la proprietaria dell'albergo dov'ero alloggiato mi disse: «Anche qui vicino c'e un pazzo che disegna molto, perche non va a trovarlo?». Fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di Alberto Giacometti, comunque mi decisi di visitare il suo atelier. (…) Rimasi subito colpito ed affascinato. (…) Alberto era sommerso nel suo lavoro, dapprima non mi ha neppure degnato di uno sguardo, pensava infatti che fossi un soldato che stava compiendo un giro di ricognizione. Poi quando si e accorto che ero li per lui, mi ha rivolto la parola, abbiamo dunque iniziato a parlare. Ci siamo subito capiti, e quando potevo, andavo a trovarlo nel suo atelier”. Sarà Giacometti, al suo arrivo a Parigi qualche anno più tardi, ad aprirgli le porte del mondo dell’avanguardia artistica francese (“Quanto arrivai a Parigi l'unico indirizzo che avevo era quello di Alberto (…)”).

Non a caso domenica, in occasione dell’inaugurazione della mostra, al Masi di Lugano verrà anche presentato un volume di lettere scelte spedite da Alberto Giacometti alla famiglia in Val Bregaglia (“Il tempo passa troppo presto. Lettere alla famiglia” di Casimiro Di Crescenzo; l’autore del volume e il direttore del Masi Tobia Bezzola alle 11)

Organizzata in collaborazione con il Kunsthaus Zürich e la Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, “Faccia a faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall. Omaggio a Ernst Scheidegger” (a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi), sarà al Masi di Lugano dal 18 febbraio al 21 luglio 2024. L’opera di Ernst Scheidegger, online, si può in parte anche ammirare sul sito della fondazione e archivio a lui dedicata.

Ernst Scheidegger Max Bill insegna teoria delle forme alla Scuola di arti applicate di Zurigo ca.1946 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger, Alberto Giacometti dipinge Isaku Yanaihara nel suo studio parigino 1959 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; works Alberto Giacometti © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris

Alberto Giacometti Ritratto Ernst Scheidegger ca. 1959 Olio su tela Kunsthaus Zurich, 2017 © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger FritZ Glarner nel suo atelier di Parigi ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Hans Arp nel suo atelier di Meudon, Parigi ca. 1956 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Salvador DaIi La tour 1936  Olio su tela Kunsthaus Zürich, 2017 © Salvador Dalí, Fundació GaIa-Salvador Dalí/ 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Uomo con palloncini probabilmente fine anni Quaranta © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger  Uomo con bambina, Valle Verzasca ca. ca 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger Allieva della scuola di danza di Madame Rousanne, Parigi ca.1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Sophie Tauber Arp Geometrico e ondeggiante 1941 Matita colorata e grafite su carta Museo d'arte della Svizzera italiana, Collezione Cantone Ticino

“L’Ultima Cena” scultorea, laica e all black di Tavares Strachan alla Royal Academy

Installation view of “The First Supper (Galaxy Black)” (2023), bronze, black patina, and gold leaf, 217.3 x 928.6 x 267.9 centimeters. Installation view of ‘Entangled Pasts, 1768-now. Art, Colonialism and Change’ at the Royal Academy of Arts, London. All photos by Jonty Wilde, courtesy of the artist, Perrotin, and Glenstone Museum, Potomac

Si intitola “The First Supper” la scultura di Tavares Strachan, installata davanti alla Royal Academy of Arts di Londra, in occasione della importante mostra “Entangled Pasts, 1768–now” (sotto testo: “Art, Colonialism and Change”) in cui i grandi del passato (bianchi) dialogano con alcuni affermati artisti contemporanei (non bianchi) con l’obbiettivo di ‘decolonizzare’ l’istituzione inglese, ed è una rivisitazione laica ed all black de “L’Ultima Cena” di Leonardo da Vinci.

Strachan, che da bambino, vedendo una riproduzione del dipinto tardo-rinascimentale nella umile casa della nonna alle Bahamas, non poteva fare a meno di sentirsi disturbato ("Ho sempre pensato- ha detto- 'Perché tutti questi europei incombono su una famiglia di persone provenienti dall'Africa occidentale nei Caraibi?'”), ha apportato alcune modifiche al canovaccio originale. Innanzitutto i commensali nella sua versione sono tutti neri e poi non sono Gesù con gli apostoli ma una serie di figure storiche, semi-dimenticate, a cui lui ama restituire centralità attraverso la sua opera. Ci sono, tra gli altri, la cantante gospel Sorella Rosetta Tharpe, l’abolizionista americana Harriet Tubman, l’imperatore dell’Etiopia e figura cardine del Rastafarianesimo, Haile Selassie, nei panni di Cristo, e poi l’artista in quelli di Giuda (anche questa una citazione all’antico tema occidentale dell’autoritratto).

D’altra parte da uno che ha scritto un’enciclopedia vera e propria c’è da aspettarsi questo e altro.

In “The Encyclopedia of Invisibility” (2018), infatti, l’artista ha elencato ben 17.000 voci che non trovavano posto nelle enciclopedie convenzionali. Un mix di nomi, eventi, luoghi e oggetti scomparsi, che torneranno nelle sue opere successive e che in alcuni casi già avevano animato quelle passate.

Ma Tavares Strachan, nato alle Bahamas nel ’79 e in seguito trasferitosi negli Stati Uniti (adesso vive tra Nassau e New York ma presto avrà uno studio anche nel Regno Unito dove c’è una sede della Marian Goodman Gallery che si occupa del suo lavoro), nella sua carriera ha fatto di tutto. Una delle sue opere più ricordate è “The Distance Between What We Have and What We Want” (2006), che consisteva in un blocco di ghiaccio di 2 tonnellate e mezzo, portato con l’aiuto di FedEx dal circolo polare artico alla scuola elementare della sua infanzia alle Bahams (dov’era conservato in un congelatore ad energia solare). Si trattava di un ricordino che Strachan si era portato da una spedizione fatta personalmente all’estremo nord del globo. Nel caso della trasferta polare l’artista intendeva rendere omaggio all’esploratore afroamericano Matthew Henson e alle guide inuit che accompagnarono Robert Peary nelle sue spedizioni, per poi essere cancellati dalla storia. In seguito si farà aiutare da SpaceX di Elon Musk per mandare in orbita l’urna dorata di Robert Henry Lawrence Jr (il primo astronauta afroamericano che, se non fosse morto in un lancio precedente, pare sarebbe potuto stare sullo Shuttle).

"Il mezzo più importante per me è la narrazione" ha detto in una recente intervista. Ma Strachan ha alle spalle una lunga ricerca e una passione per la scienza che l’ha portato a fare scelte ardite: si è, ad esempio, allenato per diventare un cosmonauta alla Star City di Mosca e su un veicolo spaziale c’è stato davvero.

I veicoli spaziali, del resto, compaiono, insieme a decine di immagini di diverse epoche e contesti, nei suoi collage o nelle sue giustapposizioni scultore. In “The First Supper”, invece, oltre al gruppo di personaggi che sostituiscono Cristo con gli apostoli e delineano la rotta transatlantica degli schiavi, trovano posto numerosi riferimenti al cibo. Tutti simbolici (com’era abitudine nei dipinti del passato). Ci sono, infatti, riso africano, pesce gatto, albero del pane, cacao, pollo, crema pasticcera e soursoup, che sono cibi consumati ai Caraibi ma che possono essere ricondotti a influenze indigene o africane (e qui ritornano schiavitù e colonialismo).

L’uso del bronzo rivestito d’oro, invece, fa riferimento all’abilità dei maestri artigiani che già nel X secolo diedero vita al primo metodo di fusione a cera persa e che vide nel Regno del Benin (l’odierna Nigeria) uno dei centri di produzione più all’avanguardia.

The First Supper”di Tavares Strachan rimarrà all’esterno della Royal Accademy of Arts fino al 28 aprile 2024. Mentre un gruppo più consistente di opere dell’artista originario di Nassau (che in Italia abbiamo avuto occasione di vedere durante la 58esima edizione della Biennale di Venezia) saranno alla Hayward Gallery di Londra dal 11 giugno al 1 settembre. (via Colossal)

Detail of “The First Supper (Galaxy Black)” (2023) at the Royal Academy of Arts

Detail of “The First Supper (Galaxy Black)” (2023) at the Royal Academy of Arts

Detail of “The First Supper (Galaxy Black)” (2023) at the Royal Academy of Arts