Durante l’estate l’artista giapponese Toshihiko Shibuya (di cui ho parlato qui, qui e qui) ha raccolto fragili fiori, foglie e soffioni per farli seccare. Poi, senza modificarli in alcun modo, li ha messi in tante piccole teche nere. Formando una sorta di erbario drammatico ed evocativo.
Un mosaico dedicato alla selvaggia natura dell’isola di Hokkaido.
Toshihiko Shibuya vive a Sapporo ma per realizzare le sue installazioni si sposta spesso nelle aree più incontaminate e ricche di biodiversità dell’estremo nord del Giappone. Quest’anno ha vinto il premio ‘Hokkaido Culture Encouragement Prize’.
Ma con questa serie di opere (‘New white collection’, ‘Black boxe series’) Shibuya non vuole attirare la nostra attenzione su piante rare o esotiche ma sulle specie più semplici e rustiche che vivono intorno a noi. E crescono silenziose persino nelle nostre città (in molti casi a oriente come ad occidente).
“I temi del mio lavoro- dice- sono le simbiosi, la coesistenza e la circolazione della vita. Penso che questo sia il mezzo per far riscoprire alle persone la piccola natura che sta sotto i nostri piedi”.
Il lavoro di Toshihiko Shibuya si può collocare nel solco della ‘Land art’ ma il suo approccio alla natura, al contrario di molti artisti che hanno fatto parte dello storico movimento o che ad essi si sono ispirati, è rivolto verso ciò che è piccolo e potrebbe passare inosservato: i fiori più comuni, il muschio di un ruscello, la neve che si scioglie o aumenta di volume modificando il paesaggio. In questo senso il lavoro dell’artista è una ricerca sulla nostra percezione. Un invito alla lentezza e all’attenzione.
Nella ‘New white collection’, l’artista non modifica in alcun modo le piante. Si limita a fissarle, con infinita cura, ben attento a non rovinarle, a tante piccole teche. Il fondo nero, tuttavia, le rende drammatiche come fotografie di posa. E ci invita a riflettere, mentre catturiamo immagini con i nostri smartphone e postiamo tutto sui social, sulla differenza che passa tra oggettività e punto di vista.