Con “Coronation” Ai Weiwei, torna nella sua comfort zone, descrivendo la sua Cina. Un gigante senza cuore, tanto efficiente quanto crudele. Lo fa lavorando dall’Europa per non incorrere nella censura del Dragone. Utilizzando riprese video di persone comuni girate durante il picco della pandemia da Coronavirus a Wuhan. Ne esce un lungometraggio memorabile, che alterna le pacchiane ed arroganti luci sui grattacieli, al lockdown rigido, illiberale, inaccettabile. Un film che si sposta dal collettivo, all’individuale e che da documento si fa racconto.
“Coronation” di Ai Weiwei è anche il primo lungometraggio sull’epidemia di Covid-19.
La storia, com’è tristemente noto, comincia ufficialmente il primo dicembre 2019 (anche se è opinione comune che il virus già mietesse vittime da molto tempo). Da allora, I funzionari cinesi hanno ripetutamente negato che fosse possibile la trasmissione da uomo a uomo del virus, nascosto il numero di pazienti diagnosticati positivi e punito il personale medico per aver divulgato informazioni sull'epidemia. Insomma la Cina ha mentito consapevolmente mettendo il mondo in pericolo.
Ai Weiwei nel corso del film ci spinge proprio a chiederci se le nazioni possono fare affidamento l’una su l’altra senza trasparenza e fiducia. A maggior ragione in un contesto globalizzato che in qualche modo si traduce in prossimità tra i popoli. E se lo possano fare, là dove non c’è rispetto per l’individuo.
“La Cina ha assunto lo status di superpotenza sulla scena globale- spiega il materiale ufficiale del film- ma rimane poco conosciuta dalle altre nazioni. Attraverso la lente della pandemia, "Coronation" descrive chiaramente la macchina cinese per la gestione delle crisi e il controllo sociale, attraverso la sorveglianza, il lavaggio del cervello ideologico e la determinazione brutale a controllare ogni aspetto della società. Il film mostra i cambiamenti avvenuti in una città e in uno spazio individuale sotto l'impatto del virus; illustra il valore della vita individuale nell'ambiente politico, riflettendo sulle difficoltà che affrontiamo come individui e paesi nel contesto della globalizzazione. In definitiva, il risultato è una società priva di fiducia, trasparenza e rispetto per l'umanità”.
Ai Wewei descrive quello che è accaduto passando per le esperienze di una serie di persone. Come l’operaio edile, bloccato dal lockdown e costretto a vivere fuori dalla sua macchina, o la coppia che tenta disperatamente di tornare a casa propria a Whuan. E un figlio in lutto, che deve farsi strada nella selva della burocrazia cinese, per recuperare le ceneri di suo padre.
Ci sono anche alcune interviste ai pazienti e alle loro famiglie, che parlano dell’epidemia ed esprimono rabbia e confusione per le insensibili restrizioni alle loro libertà da parte dello Stato.