Nato a Barcellona, Daniel Steegmann Mangrané vive in Brasile dal 2004. L’insetto stecco è il suo motivo ricorrente. E la foresta pluviale è il suo strumento di lavoro, il suo studio, il suo fornitore di materiale, la sua musa ispiratrice e la sua ossessione. Al centro dell’opera dell’artista spagnolo per la concentrazione di biodiversità e per l’impressionante ridimensionamento a cui è stata costretta (ad oggi resta solo il 7% dell’originale!).
Steegmann Mangrané la rievoca in tutte le mostre, sia portando piante tropicali autoctone negli spazi espositivi, sia ricreandola con la realtà virtuale o attraverso degli ologrammi.
Le barriere delle nuove tecnologie a cui l’arte guarda con attrazione e repulsione da parecchi anni a questa parte, ultimamente infatti, sembrano essesi rotte. Così visori, schermi, insieme a proiezioni pixelate di vario genere si sono riversate alla Biennale di Venezia 2019 e nei musei.
Dal 12 settembre tocca al Pirelli HangarBicocca di Milano, con "A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand" (a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli) prima personale, appunto, di Daniel Steegmann Mangrané in Italia.
La mostra, definita dallo stesso artista come il “il mio più grande spettacolo fino ad oggi", si preannuncia ad alto tasso tecnologico. Basti pensare che per l’occasione Steegmann Mangrané ha realizzato un’installazione site-specific per sottolineare il passaggio da esperienze materiali (ad esempio, "A Transparent Leaf Instead Of The Mouth", che poi è un terrario con tanto di piante e insetti stecco) a situazioni immateriali (tra le altre: a ricostruzione della giungla in realtà virtuale di "Phantom (Kingdom of all the animals and all the beasts in my name)".
Guardando le opere dell’artista non bisogna, tuttavia, fare l’errore di pensare alle sue installazioni simulate come a una forma d’intrattenimento. Per Steegmann Mangrané, infatti, realtà vituale e ologrammi sono un mezzo per conciliare la sua passione per le geometrie rigorose con il caotico disordine della natura, ma soprattutto il sistema per farci mettere in discussione il modo in cui percepiamo il mondo e il nostro rapporto con lo spazio ( nella già citata “Phantom”, ad esempio, il visitatore si sente immerso nella foresta ma non può vedere le sue mani , i suoi piedi, se stesso che cerca di muoversi e interagire con l’ambiente).