Conosciuta per le sue sculture cinetiche che, mentre si muovono in maniera goffa e altalenate, tra gocciolamenti di liquidi vischiosi e parti simili a viscere, incutono rispetto e repulsione, Mire Lee si sta sempre più saldamente affermando. Da circa un mese a questa parte occupa la Turbine Hall alla Tate Modern di Londra con la sua grande installazione “Open Wound”. La Hyunday Commission (si chiama così perché dal 2015 è finanziata dalla multinazionale coreana), è un incarico molto prestigioso e la signora Lee, a 34 anni, è l’artista più giovane a cui sia mai stata assegnata.
Prima di lei, tra gli altri: El Anatsui, Anicka Yi, Bruce Nauman, Louise Bourgeois, Olafur Eliasson, Ai Weiwei e Carsten Höller. Tutti nomi noti, alcuni molto famosi. Ognuno di loro è stato selezionato per presentare un progetto nell’ex- spazio turbine dell’edificio che un tempo ospitava la centrale termoelettrica di Bankside. Aperta al pubblico nel 2000, la Turbine Hall, però, è una struttura a sé stante, una di quelle che si possono dire difficili per un artista (alta cinque piani ha un’estensione di 3.400 metri quadri).
Lee, in questo caso, ha deciso di puntare sulle memorie dell’industria del passato, tirando fuori suggestioni da ghost story molto inglesi e riducendo la percentuale horror dell’opera. “Open Wound” si compone, infatti, di una grande e fantasiosa turbina che ruota avvolgendo e lasciando cadere dei cavi (il movimento imprevedibile di questi ultimi è una tra le note più brutali del lavoro), su questo corpo meccanizzato scivola un liquido rosa che, dopo essere caduto su delle sculture di metallo e tessuto (tingendole e, poco a poco, trasformandole in “pelli” come le chiama l’artista) si raccoglie in una specie di piatto. Via via che le sculture si impregnano completamente di colore degli addetti le prendono e le appendono sul retro (dove ci sono anche altri oggetti dall’aria sinistra). L’installazione, è insomma una specie di catena di montaggio di pelle umana, ispirata alle condizioni di lavoro degli operai durante la rivoluzione industriale ma con l’occhio della mente già rivolto al prezzo che dovremo pagare per le innovazioni tecnologiche del presente e del prossimo futuro.
A qualcuno “Open Wound” è piaciuta ma ad altri non è piaciuta affatto (su Instagram molti l’hanno paragonata al videogioco “Silent Hill”mentre qualcuno si è soffermato sui costi del progetto)..
Sarà che le opere della signora Lee, che solo due anni fa sono state esposte da Cecilia Alemani alla Biennale di Venezia, sono fondamentalmente bipolari: disturbanti e piuttosto splatter certo, ma anche docili nei loro incerti movimenti e persino graziose. E mentre sgocciolano liquidi non meglio precisati, che richiamano sangue e secrezioni corporee di vario tipo (lei però è una personcina per bene e in genere usa materiali non cruenti come siliconi e olio motori), possono persino risultare rilassanti come un’innocua fontana o grottescamente buffe. Alemani, parlando delle opere che aveva inserito in biennale, ha detto: "Sembra di guardare dentro le viscere di un drago, o qualcosa che in realtà non vuoi vedere. Ma c'è anche questa sensualità della pelle delle sculture, l'idea dell'epidermide che cambia ed è anche piuttosto delicata in un certo senso".
Figlia di uno scultore surrealista e di un’editrice d’arte che insegnava anche in una scuola media, Mire Lee, ha trascorso la maggior parte della sua vita a Seoul ma dal 2018 abita ad Amsterdam. Da adolescente sognava di diventare regista mentre alla fine si è laureata in belle arti per poi specializzarsi in scultura attraverso un master della prestigiosa Seoul National University. In un’intervista ha detto: "Ho sempre voluto realizzare opere dall'aspetto selvaggio, o opere grezze", anche se la svolta nel suo lavoro l’ha avuta quando ha cominciato a inserire motori, per la precarietà del funzionamento di questi ultimi all’interno delle sculture, per l’elemento di casualità che portano ma soprattutto perché le “hanno dato dei risultati sorprendenti”.
Lee è un’appassionata di manga a contenuto erotico, di film alla Quentin Tarantino e fantascienza ma le sue opere prendono spesso spunto da fonti peggiori (mutilazioni, parafilie di ogni genere, shibari o bondage giapponese con corde e altre abbiezioni di questo tipo). Fa lunghe ricerche su argomenti quantomeno ambigui se non apertamente disgustosi prima di costruire un lavoro, ma nel momento in cui tutto ciò confluisce nel progetto, si tramuta. Resta repulsione ma c’è anche della bellezza (a fare una parte del miracolo è l’artigianalità che si percepisce).
Lee in genere ci parla di decadimento del corpo, di intimità viscerale, di sesso e identità. Le sue installazioni possono anche essere viste come un modo per dare forma a dei forti sentimenti. Alla Turbine Hall, inoltre, ha introdotto degli elementi nuovi; come il fatto che le sculture di tela ricordano dei fantasmi intenti a svolazzare per l’enorme spazio espositivo ma anche degli abiti (chiamando quindi in causa l’industria della moda). La turbina goccionate poi, coi suoi bravi cavi di silicio da sbattere qua e là, sembra una pianta (magari carnivora) da cui penzolano delle liane durante un temporale.
La Tate, l’opera l’ha spiegata con queste parola: “L'installazione è intesa ad avere un effetto inquietante sullo spettatore, evocando una gamma di emozioni contraddittorie tra cui sentimenti di tenerezza ed empatia, così come malinconia, soggezione e disgusto”. L’artista Antonio Riello dopo averla vista dal vivo ha invece scritto in un articolo: “Una esperienza decisamente notevole per lo spettatore, anche se a volte le vociferanti schiere dei visitatori tolgono un po’ della sacralita’ laica che emana dal progetto: finiscono insomma per banalizzarlo un po”. Così, infine, critico britannico e insegnate del Royal College, Adrian Searle (a cui proprio l’installazione alla Turbine Hall non è piaciuta): “Gli artisti si sono spesso rivolti alla miseria dell'essere nel corpo. A volte lo hanno fatto per impartire qualche lezione religiosa o per istruirci sulle miserie e la brevità della vita, e a volte perché, come Francis Bacon, a loro piace questo genere di cose, e ci si eccitano persino (…) Oggigiorno è difficile trovare le allusioni di Lee alla mortalità molto più che kitsch. Tutti quegli stracci somigliano a tante decorazioni di Halloween, pronte per essere buttate il primo novembre”.