L’opera pazza ed elusiva di Leigh Bowery viene celebrata alla Tate trent’anni dopo la morte dell’artista

Fergus Greer, Leigh Bowery Session 1 Look 2 1988 ©Fergus Greer. Courtesy Michael Hoppen Gallery. 

Leigh Bowery alla Tate Modern
il museo londinese celebra l'artista (lettura automaatica)

Leggendo le parole con cui chi lo conosceva ha ricordato lo stilista e performer Leigh Bowery, in occasione di una importante mostra a lui dedicata in corso alla Tate Modern di Londra, si ha l’impressione di trovarsi di fronte alle descrizioni di persone diverse. C’è chi lo racconta come un uomo “timido e ben educato”, chi “silenzioso e riservato” e ancora qualcuno lo dipinge come “sfrontato e provocatorio”. Del resto lui che metteva al centro della sua opera i concetti di rinascita, mutamento e reinvenzione (e li applicava prevalentemente a se stesso), di fronte alla domanda di un giornalista che gli chiedeva in quali occasioni gli fosse capitato di mentire, aveva risposto “Quando pensi mi succeda di respirare?

Ugualmente elusivo, il suo lavoro sfugge alla categorizzazione. “Se mi etichetti, mi neghi” disse nel ’93, un anno prima di morire a soli 33 anni di AIDS. Era vero allora come adesso e forse anche per questo non è mai diventato davvero famoso. Almeno al di fuori del suo elemento: la Londra underground degli anni ’80: post-punk e new romantic in cui giovani festaioli e talvolta scapestrati si ritrovavano a ballare gomito a gomito con le celebrità del momento.

La stessa capitale inglese che torna a rivivere nell’antologica “Leigh Bowery!”.

La mostra della Tate è segnalata più o meno da tutti come uno degli appuntamenti più importanti dell’anno. Innanzitutto per la completezza del materiale esposto: fotografie, video, oggetti e costumi (il più delle volte completamente ricostruiti per “la sporcizia da discoteca” che li aveva ricoperti); oltre agli splendidi dipinti di Lucian Freud per cui ha fatto da modello. Ma anche perché, sebbene l’influsso dell’opera del signor Bowery sia ormai universalmente riconosciuto, è un errore piuttosto comune quello di collocarlo soprattutto nell’ambito della moda. Mentre lui, oggi icona drag e del movimento Lgbtqi+, è stato anche personaggio televisivo, club kid, promotore di locali, musicista, performer e artista.

Fergus Greer, Leigh Bowery Session 4 Look 19 August 1991 ©Fergus Greer. Courtesy Michael Hoppen Gallery.

Nato nel 1961 a Sunshine (un sobborgo di Melbourn in Australia), Leigh Bowery proveniva da una famiglia piuttosto rigida e conservatrice (in proposito la sorella minore, Bronwyn, ha recentemente detto: "Quando cresci in quel tipo di ambiente, hai due scelte: conformarti o reagire. Leigh ha scelto di reagire. Fin da bambino, era istintivamente spinto dal desiderio di sfidare e sconvolgere lo status quo, sia a casa che nella comunità”). Probabilmente anche per questo a soli diciannove anni si trasferì a Londra. Dove arrivò con pochi soldi, una valigia e una macchina da cucire portatile. Nel giro di pochissimo tempo però diventò una presenza fissa dei club più di tendenza dell’epoca. Conosceva tutti e si mise a fare lo stilista; ma la moda non faceva per lui: le sue creazioni erano troppo bizzarre e trasgressive per il pubblico, mentre a lui non piaceva vestire altri e disprezzava la parte commerciale del mestiere.

Così si dedicò a ideare e produrre costumi sempre più radicali ed elaborati, fatti con tutto quello che gli capitava tra le mani per sé stesso (a un certo punto si copriva anche il volto con maschere o passamontagna multicolore), che, una volta indossati, lo trasformavano in una scultura vivente. Allo stesso modo il trucco (coloratissimo e spesso tattile) era un modo per dipingere usando il corpo come supporto. Usava anche parrucche e scarpe dai tacchi altissimi che lo rendevano ancora più imponente di quanto non fosse già (aveva una corporatura robusta e secondo la sorella era alto un metro e 87 centimetri). L’amico e cantante Boy George l’ha descritto in questo modo a un quotidiano statunitense: “Quando vedi le drag queen che fanno riferimento a Leigh è meraviglioso, ma troppo raffinato. Leigh era molto rozzo e aveva la corporatura di un giocatore di rugby, e non era né grazioso né fatato". Anche Marina Abramović ha scritto di lui: “Era un uomo enorme” (Leigh fece un costume da “regina dei topi” per Abramović nel ’94, quando lei rappresentò “Delusional”, in cui alla fine lei si calava nuda in una botola in cui erano intrappolati 400 topi vivi).

Leigh Bowery con la collaboratrice, amica e moglie Nicola Bateman Dave Swindells, Daisy Chain at the Fridge Jan '88: Leigh & Nicola 1988 (c) Dave Swindell

Tuttavia il signor Bowery ambiva a superare i limiti del proprio corpo e ad usarlo come fosse creta o stoffa: per questo si sottoponeva a bendaggi del torace, modellava il collo con bustini contenitivi e teneva ferme le maschere attraverso piercing al volto. Una volta ha affermato: “La carne è il tessuto più favoloso”.

Malgrado qualsiasi sua uscita fosse una mise en scene, la carriera ufficiale di performer per Leigh Bowery, inziò nell’88 alla Anthony D'Offay Gallery di Londra. Durante la mostra si distendeva su un divano del XIX secolo disposto dietro uno specchio unidirezionale (come quelli nella sala interrogatori dei film e delle serie tv), ogni tanto si alzava, si sistemava il trucco e rimirava il proprio riflesso. Contemporaneamente nello spazio riservato al pubblico (che lo osservava senza essere visto) venivano diffusi suoni e odori. Lo show durò una settimana, nel corso della quale l’artista si presentò con un costume diverso ogni giorno, parlando di storia dell’arte ma anche del guardare ed essere guardati.

Amico del coreografo britannico Michael Clark, il signor Bowery, per un certo periodo creò i costumi per gli spettacoli di Clark e, a volte, si esibì come solista. La sua performance più famosa però richiedeva molto più impegno. Intitolata “Birthing”, l’esibizione lo vedeva cantare e ballare con un pesante costume di velluto finchè non si sdraiava per terra e, aprendo le gambe davanti al pubblico, partoriva la sua assistente Nicola Bateman che usciva dall’imbracatura (nascosta sulla pancia dell’artista), ricoperta di sangue di scena e con una fila di salsicce al posto del cordone ombelicale. A conclusione dello spettacolo, già stupefacente di per se, Bowery tagliava anche il finto cordone ombelicale e nutriva Bateman, facendo cadere nella bocca di lei una cucchiaiata di minestrone (che era riuscito a conservare, non si sa come, sotto il costume). Potete vederne una rappresentazione qui.

Lucian Freud, Nude with Leg Up (Leigh Bowery) 1992 © The Lucian Freud Archive. All Rights Reserved 2024.

Nella sua storia, il fatto che nell’85 l’artista abbia fondato Taboo (un locale notturno londinese rivolto soprattutto alla clientela gay ma frequentato anche da etero) ha un peso. Innanzitutto per il successo del club, in cui gente di ogni tipo si mischiava a celebrità come Bryan Ferry, George Michael e Mick Jagger. “Di questi tempi- scrisse la giornalista Alix Sharkey su ID, bibbia dello street style dell’epoca- il giovedì sera nel West End di solito significa Taboo, il club più squallido, più kitsch e più stronzo del momento a Londra, pieno di stilisti, modelle, studenti, feccia e, si spera, alla moda (…)” E poi perché fu un palcoscenico a sua misura che gli permise di farsi conoscere e conoscere (qui, per esempio, incontra l’artista Cerith Wyn Evans che gli presenterà il famoso pittore Lucian Freud e comincerà l’amicizia con la sua futura collaboratrice, la stilista Nicola Bateman).

Il signor Bowery era apertamente gay ma appena pochi mesi prima di morire sposò Bateman. In merito a questo improbabile matrimonio nel corso del tempo sono girate varie spiegazioni (si erano sposati per il permesso di soggiorno, per ragioni fiscali ecc.) e lo stesso sposo ha definito la cerimonia “una performance artistica personale" ma Sue Tilley (amica strettissima dell’artista) ha detto che in ospedale lui le aveva confessato di temere che Nicola lo lasciasse per un altro uomo.

Solo a Bateman e Tilley, lui confidò di avere l’AIDS (che ai tempi era un killer senza scampo né pietà). Morì la notte di capodanno del ’94, Freud pagò il rimpatrio della salma in modo che potesse riposare accanto alla madre. Ma al momento della sepoltura i famigliari si resero conto che la fossa era troppo piccola per la grande bara che conteneva le spoglie dell’artista e dovettero rimettersi a scavare.

Leigh Bowery!”, organizzata dal museo inglese in collaborazione con Nicola Rainbird (nata Bateman) e curata da Fiontán Moran, resterà alla Tate Modern di Londra fino al 31 agosto 2025.

Fergus Greer, Leigh Bowery Session 4 Look 17 August 1991 ©Fergus Greer. Courtesy Michael Hoppen Gallery.

Leigh Bowery! Tate Modern. Installation view. Tate Photography: Larina Annora Fernandes

Fergus Greer, Leigh Bowery Session 7, Look 37 June 1994 ©Fergus Greer. Courtesy Michael Hoppen Gallery.

Leigh Bowery! Tate Modern. Installation view. Tate Photography: Larina Annora Fernandes

9. Dick Jewell Still from What's Your Reaction to the Show 1988 © Dick Jewell.

Leigh Bowery! Tate Modern. Installation view. Tate Photography: Larina Annora Fernandes

17. Lucian Freud, Leigh Bowery 1991 © The Lucian Freud Archive. All Rights Reserved 2024.

Leigh Bowery! Tate Modern. Installation view. Tate Photography: Larina Annora Fernandes

Fergus Greer, Leigh Bowery Session 3 Look 14 August 1990 ©Fergus Greer. Courtesy Michael Hoppen Gallery.

Leigh Bowery! Tate Modern. Installation view. Tate Photography: Larina Annora Fernandes

Leigh Bowery! Tate Modern. Installation view. Tate Photography: Larina Annora Fernandes

Perché festeggiare l’incoronazione di Re Carlo III guardando le opere degli Young British Artists

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

A volte per affrontare il futuro è necessario guardare al passato. E forse, per festeggiare in Italia l’incoronazione di Re Carlo III (avvenuta sabato), una buona idea potrebbe essere quella riguardare i cattivi ragazzi dell’arte contemporanea britannica degli anni ’90. Nella mostra “Reaching for the stars”, che celebra il trentennale della Fondazione Re Rebaudengo di Torino con una sontuosa selezione di opere esposte a Palazzo Strozzi di Firenze, ce ne sono ben cinque (o meglio quattro più uno): Anish Kapoor (Turner Prize del ’91, ha fatto una importante mostra pochi anni fa alla Royal Academy of Arts di Londra fondata da Re Giorgio III nel 1768), Sarah Lucas, Glenn Brown, Cerith Wyn Evans. E naturalmente Damien Hirst che, tra le altre cose, ha realizzato un ritratto della Regina Elisabetta II (conservato alla Government Art Collection, è uno dei suoi pochi ritratti, si intitola “Beautiful Portrait, The Queen”).

Potrebbe essere una buona idea, perché l’ormai Re Carlo III, che oltre ad avere un Bachelor of Arts, è un pittore paesaggista dilettante (non vende mai gli originali, ma da molti anni raccoglie denaro per la sua fondazione di beneficenza con delle stampe firmate in edizione limitata, ad un prezzo che, tempo fa, arriva fino a 15mila sterline; si stima che ne abbia vendute per diversi milioni). Ma soprattutto perché la parabola degli Young British Artists, a tratti e in qualche misura, si intreccia a quella della monarchia britannica. Non a caso, molti di loro sono poi diventati accademici reali (cioè membri a vita della Royal Academy of Arts) .

Una delle tappe fondamentali nella consacrazione degli YBAs (Young British Artists), anche se la loro prima esposizione è dell’88, sarà la mostra “Sensation”, alla Royal Accademy of Arts, del ’97 (lo stesso in cui morì Lady Diana). Ma i parallelismi, tutti per fortuna meno drammatici, sono molti di più, visto che gli YBAs sono diventati famosi a tutti i livelli (dal circuito dell’arte, alla televisione, fino ai pubs ed alle strade) proprio mentre il futuro Re e la monarchia affrontavano una serie di vicissitudini ormai passate alla Storia. E dopo gli scossoni è venuto il tempo della stabilizzazione sia per la famiglia reale che per il manipolo di artisti di rottura capitanati da Damien Hirst.

Reaching for the stars” ha una sezione a loro dedicata (si intitola “Good Save the Queen, visto che le opere in mostra sono tutte precedenti alla morte della sovrana), che ha il pregio di condensare, almeno in parte, il fermento della scena artistica inglese di quegli anni. D’altra parte la passione per il collezionismo di Patrizia Sandretto Rerebaudengo (creatrice e presidente dell’omonima fondazione) nasce proprio a Londra negli anni ’90.

Sarah Lucas (Londra, UK, 1962, dove vive e lavora) Nice Tits, 2011 collant, lanugine, rete metallica, cemento; cm 208 x 160 x 60 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Tra loro Sarah Lucas, che ha rappresentato la Gran Bretagna alla 56a Biennale di Venezia. Adesso vive nella pacifica campagna inglese, ma agli esordi della carriera era una figura trasgressiva dalla vita tumultuosa e la sbronza facile. Amica di Damien Hirst, per cui tutt’oggi spende parole di elogio, ha un lavoro focalizzato sugli stereotipi di genere e la loro sovversione. Decisamente femminista, accosta momenti della scultura tradizionale ad elementi apparentemente fuori contesto e provocatori. Alcune sue opere sono conservate alla National Portrait Gallery di Londra, dove l’anno di ognuna è accostato agli eventi più salienti nazionali ed internazionali, comprese le vicende della Royal Family.

Glenn Brown (Hexham, UK, 1966, vive e lavora a Londra) Ariane 5, 1997 olio su tela, montato su cartone; cm 91 x 72 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Maurizio Elia

Glenn Brown, nominato Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico (CBE) per il suo servizio nelle arti, in occasione del compleanno della Regina Elisabetta II del 2019, è un pittore virtuoso e geniale. Le sue opere, a volte inquietanti spesso macabre, sono rielaborazioni di famosi dipinti degli antichi maestri. Lui, infatti, le riproduce in maniera maniacale, attraverso un controllo del gesto pittorico che ha dell’incredibile. Oggi, con l’aiuto di photoshop, tra le altre cose è riuscito a trasformare in scultura delle tele di Baselitz a cui ha poi applicato i colori delle ballerine di Degas (i risultati, dopo vari e sottili rimaneggiamenti, cambiano il registro delle immagini al punto di farle scivolare nel macabro). In mostra a Firenze però c’è un lavoro precedente: “Ariane 5”, del ’97. Qui Brown, si ispira alla tela del 1875 in cui il pittore romantico ungherese, Bertalan Székely, ritrae il figlioletto Armin morto prematuramente. Brown, pur nella paziente riproduzione di ogni singola pennellata di Székely, modifica il dipinto (è alla rovescia, il tono è freddo, le sopracciglia e lo sguardo del bimbo sono diversi) rendendolo non macabro, questa volta, ma inquietante.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Sull’indiano-britannico, Anish Kapoor, c’è poco da aggiungere se non che ha progettato il memoriale per lady Diana al centro del Serpentine Lake in Kensington Gardens. A Palazzo Strozzi c’è un’opera di una delle sue serie più famose (“1000 Names”). Kapoor, ispirato da un viaggio in India in cui vede l’Holi, la festa primaverile dei colori, applica pigmenti dai colori primari vivi e intensissimi (qui il rosso) su forme astratte, posizionate in maniera apparentemente instabile nello spazio, per generare riflessioni su temi diversi spesso universali.

Cerith Wyn Evans (Llanelli, UK, 1958, vive e lavora a Londra) In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni, 1999 neon, plexiglass; cm 13 x 142 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Andrea Rossetti

Di Cerith Wyn Evans, alla National Portrait Gallery, c’è un ritratto (gliel’ha fatto il fotografo Johnnie Shand Kydd) scattato quando l’allora principe Carlo e Lady Diana finalizzarono il loro divorzio. D’altra parte Wyn Evans, diverso dagli altri sia nello stile di vita che nel lavoro, non è uno YBAs. E’ comunque anche lui in mostra a Firenze (il Pirelli Hangar Bicocca gli ha dedicato un’importante personale nel 2019) dove presenta uno dei suoi neon circolari con scritti dei palindromi (frasi che si possono leggere sia in un senso che nell’altro). E’ un opera concettuale, che si guarda dal basso girandogli attorno, che apre varie riflessioni non ultima quella sulla passione per l’arte.

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great, 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

E poi c’è Damien Hirst.

Il controverso e famosissimo artista inglese (recentemente è stato al centro di un fatto di cronaca e ha presentato una nuova serie di Nft), alla fine di aprile, ad un passo dal coronation day, ha installato “Demon with Bowl” la più grande opera della serie “Treasures from the wreck of the unbelievable” sul percorso panoramico londinese The Tide, qui è presente con due opere del suo periodo d’oro. C’è, infatti, un bel dipinto delle serie Butterfly (“Love is Great” del ’94) in cui le fragili ali delle farfalle (vere) mentre a noi sembrano volteggiare, sono inesorabilmente imprigionate dalla vischiosa vernice azzurra che ricopre la tela. Meno cinica ma sempre venata di humor nerissimo anche la scultura “The Acquired Inbility to Escape, Inverted and Divided” (“L’acquisita incapacità di scappare, invertita e divisa”) del ’93. Qui un grande titolo ci introduce ad una gabbia di spesso vetro e barre d’acciaio, al soffitto una scrivania e una sedia per ufficio (la visione è, appunto, invertita) sul tavolo c’è anche un posacenere pieno di mozziconi e un pacchetto di sigarette. Anche tra la seggiola e la scrivania c’è poco spazio, l’atmosfera nell’ufficietto non è proprio ridente, insomma. Le sigarette, poi, tornano spesso nel lavoro di Hirst, che intervistato sull’argomento ha detto che il sono una parabola della vita (il pacchetto la nascita, i mozziconi nel posacenere la morte.

Reaching for the stars”, curata da Arturo Galasino, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 18 giugno 2023. E va vista (almeno il primo capitolo), rigorosamente canticchiando “God save the King”.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great (particolare), 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Cerith Wyn Evans che scolpisce la luce, le parole e persino il suono, va in scena al Pirelli Hangar Bicocca di Milano

Cerith Wyn Evans , Forms in Space...by Light (in Time), 2017. Tate Britain Commission by Cerith Wyn Evans, Duveen Galleries. © Cerith Wyn Evans, courtesy White Cube. Foto: Joe Humphreys © Tate, Londra 2018

Cerith Wyn Evans , Forms in Space...by Light (in Time), 2017. Tate Britain Commission by Cerith Wyn Evans, Duveen Galleries. © Cerith Wyn Evans, courtesy White Cube. Foto: Joe Humphreys © Tate, Londra 2018

Inaugura domani al Pirelli Hangar Bicocca di Milano “....the Illuminating Gas” di Cerith Wyn Evans. La mostra, sarà la più grande esposizione mai dedicata all’artista gallese nato nel ‘58. Paragonata a “ una partitura armonica”, accosterà ben 25 tra opere storiche e lavori recenti. C’è persino una scultura monumentale realizzata per l’occasione (StarStarStar/Steer). E visto che si parla di Wyn Evans non è cosa da niente.

Per quanto poco conosciuto al grande pubblico, Cerith Wyn Evans è considerato uno degli artisti più influenti già da alcuni decenni. Ha vinto il prestigioso Hepworth Prize per la scultura, esposto alla Biennale di Venezia e a Documenta di Kassel. Ma soprattutto è riuscito a portare la scultura in una terra di confine dove è possibile dare forme ricercate e complesse alla luce, modellare il suono e mettere il tempo in modalità stand by. Nelle sue mostre ci sono lampadari in vetro soffiato di Murano che emettono luce intermittente (in realtà sono citazioni in linguaggio morse o melodie). palme che ruotano su giradischi, gigantesche sculture sospese di tubi al neon , colonne immateriali fatte solo di suono. Usa anche i fuochi d’artificio

E si, perchè Wyn Evans è un artista concettuale con lo show nel cuore. Ama la musica, ha cominciato come assistente dello scomparso regista Derek Jarman e un po’ di cinema, di spettacolo con la S maiuscola, c’è in ogni sua mostra. D’altra parte alcune sue sculture di tubi al neon altro non sono che diagrammi dei movimenti degli attori nel teatro Noh giapponese.

Persino i 2 chilometri di luci al neon sospese “Forms in Space...by Light (in Time) “ della Tate Gallery di Londra (verrà riallestita all’Hangar Bicocca in modo diverso) in fondo rappresentavano uno spettacolo pirotecnico.

“....the Illuminating Gas” di Cerith Wyn Evans rimarrà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano fino al 23 febbraio 2020.

Cerith Wyn Evans , Mantra, 2016 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Mantra, 2016 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Mantra, 2016 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Mantra, 2016 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Still life (In course of arrangement...) V, 2017. Piattaforme girevoli con Phoenix roebelenii, Veduta dell’installazione, Museum Haus Konstruktiv, Zurigo, 2017 © Cerith Wyn Evans. Courtesy Museum Haus Konstruktiv Foto: Stefan Alte…

Cerith Wyn Evans , Still life (In course of arrangement...) V, 2017. Piattaforme girevoli con Phoenix roebelenii, Veduta dell’installazione, Museum Haus Konstruktiv, Zurigo, 2017 © Cerith Wyn Evans. Courtesy Museum Haus Konstruktiv Foto: Stefan Altenburger © Museum Haus Konstruktiv

Cerith Wyn Evans , Column (Assemblages) I, 2010 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , Column (Assemblages) I, 2010 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , Column (Assemblages) VIII, 2010 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , Column (Assemblages) VIII, 2010 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , "Talvinder, you'll never guess, It's the Pacific Ocean, again.", 2007 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , "Talvinder, you'll never guess, It's the Pacific Ocean, again.", 2007 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , Neon Forms (after Noh II), 2015 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Neon Forms (after Noh II), 2015 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Still life (In course of arrangement...) V, 2017 (dettaglio). Piattaforme girevoli con Phoenix roebelenii, Veduta dell’installazione, Museum Haus Konstruktiv, Zurigo, 2017 © Cerith Wyn Evans. Courtesy Museum Haus Konstruktiv. Foto…

Cerith Wyn Evans , Still life (In course of arrangement...) V, 2017 (dettaglio). Piattaforme girevoli con Phoenix roebelenii, Veduta dell’installazione, Museum Haus Konstruktiv, Zurigo, 2017 © Cerith Wyn Evans. Courtesy Museum Haus Konstruktiv. Foto: Stefan Altenburger © Museum Haus Konstruktiv

Cerith Wyn Evans , Column (Assemblages) I, 2010 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , Column (Assemblages) I, 2010 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , S=U=P=E=R=S=T=R=U=C=T=U=R=E ('Trace me back to some loud, shallow, chill, underlying motive’s overspill…'), 2010. Veduta dell’installazione, White Cube, Londra, 2010 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Ph…

Cerith Wyn Evans , S=U=P=E=R=S=T=R=U=C=T=U=R=E ('Trace me back to some loud, shallow, chill, underlying motive’s overspill…'), 2010. Veduta dell’installazione, White Cube, Londra, 2010 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Todd-White Art Photography

Cerith Wyn Evans , Mantra, 2016 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , Mantra, 2016 (dettaglio) © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: George Darrell

Cerith Wyn Evans , TIX3, 1994 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Stephen White

Cerith Wyn Evans , TIX3, 1994 © Cerith Wyn Evans. Courtesy White Cube. Foto: Stephen White

Cerith Wyn Evans . Ritratto. Foto: Ali Janka

Cerith Wyn Evans . Ritratto. Foto: Ali Janka