C’ è anche Anish Kapoor tra gli artisti che stanno addestrando l’Intelligenza Artificiale (a loro insaputa)

UNA VERA OPERA DI ANISH KAPOOR IN MOSTRA A FIRENZE

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. Endless Column, 1992; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor, ancora per poco in mostra a Palazzo Strozzi di Firenze (“Untrue Unreal”) è uno degli artisti che hanno contribuito ad addestrare Midjorney e gli altri software che utilizzano l’Intelligenza Artificiale per creare immagini. Kapoor però non ne sapeva nulla. E non è il solo: sono 16mila i nomi di artisti e illustratori di tutte le nazionalità inseriti in un documento parte di una causa legale intentata negli Stati Uniti contro le aziende che operano nel settore dell’IA. Tra gli italiani, molti scomparsi: De Chirico, Botero, Marini (le cui opera sono, tuttavia, ancora coperte da copyright, sia, almeno in parte, negli Stati Uniti, che in Europa) e poi Mario Merz (il cui lavoro è tutelato dall’omonima fondazione) . Oltre ad alcuni in piena attività, come lo street artist di Senigallia Blu – graffiti, l’artista e designer romano Luigi Serafini, il disegnatore livornese Paolo Parente e il fumettista torinese Massimiliano Frezzato.

Lo scorso anno negli Stati Uniti sono state avviate una decina di azioni legali diverse da parte di creativi di vari settori (scrittori, podcasters, artisti visuali, fotografi ecc.) contro le aziende che si occupano di intelligenza artificiale generativa. Tra queste c’è una causa collettiva intentata da una decina di artisti americani in California contro Midjourney, Stability AI, Runway AI e DeviantArt, che contesta alle società di violare il copyright per creare il loro prodotto (l’IA deve visionare migliaia di scritti o immagini, da cui impara, per poi poter svolgere i compiti a lei assegnati). Recentemente l’allegato di 24 pagine, in cui sono contenuti i nomi dei creativi alla cui opera Midjourney e gli altri si sarebbeero ispirati, è stato reso pubblico, accendendo la polemica anche in Europa.

Il Guardian (nella lista sono molti, infatti, i nomi famosi del Regno Unito; tra loro, oltre a sir Kapoor, anche Damien Hirst, David Hockney , Tracy Emin ecc.) ha scritto che diversi artisti britannici avrebbero già contattato gli studi legali statunitensi per discutere l’adesione alla causa collettiva.

Dietro a questa come ad altre azioni legali c’è l’avvocato americano Matthew Butterick che ha commentato: “Abbiamo riscontrato l’interesse di artisti in tutto il mondo.

Designer e programmatore, Matthew Butterick, ha un profilo atipico per un giurista. Al successo è arrivato presto con un azienda di web design che ha presto venduto (si chiamava “Atomic Vision” e negli anni ’90 aveva 20 dipendenti) poi si è iscritto di nuovo a giurisprudenza e si è laureato. A quel punto ha aperto il sito web “Typography for Lawyers” che avrebbe dovuto essere un divertissement e invece si è trasformato in un’attività imprenditoriale a pieno titolo, visto che i tribunali e le aziende di tutti gli Stati Uniti hanno cominciato ad utilizzare caratteri tipografici da lei proposti. Recentemente, Butterick, si è detto che la questione dell’apprendimento dell’IA non gliela raccontava giusta e, insieme ad un altro avvocato americano appassionato di caratteri tipografici (Joseph Saveri), ha costruito quattro cause separate su questo tema (una è, appunto, quella degli artisti contro Midjourney).

L’esito dell’ azione, tuttavia, come spiega ampiamente il sito Wired, è molto incerto, perché le aziende sono decise a vendere cara la pelle e il settore, dopo anni di stallo, adesso macina soldi a palate. Poi c’è da tenere conto dell’aspetto sociale della vicenda: l’IA se adeguatamente addestrata può diventare utile in un’infinità di campi. E se un giudice ordinasse alle aziende di ricominciare da zero escludendo centinaia di voci, o di negoziare con ogni proprietario i diritti di copyright, sarebbe un disastro. Quindi non è detto che nella causa contro Midjourney, Stability AI, Runway AI e DeviantArt la corte non propenderà per la visione delle aziende (secondo le quali, in estrema sintesi, l’algoritmo si limita a visionare il materiale come un qualsiasi utente di un motore di ricerca e, perciò, non viola i diritti di proprietà intellettuale).

Gli artisti però, da un po’ di tempo a questa parte, possono proteggersi con un programma gratuito che mantiene le immagini inalterate alla vista di un umano ma le rende illeggibili ad una macchina (“Glaze” dell’Università di Chicago). Inoltre, esiste un motore di ricerca che promette di scoprire se il proprio lavoro è servito all’apprendimento dell’IA (Haveibeentrained).

Nel frattempo, Anish Kapoor (ancora per meno di due settimane protagonista dell’importante mostra Untrue Unreal”a Palazzo Strozzi di Firenze) che ci ha aiutato a cominciare questo viaggio negli attriti tra creatività umana e macchina, sta per passare il testimone ad Anselm Kiefer (la cui personale, “Angeli Caduti”, inaugurerà il 22 marzo 2024). Inutile dire che, con oltre 100mila visitatori già conteggiati, l’esposizione è stata un successo. Per vederla, o semplicemente per entrare nel cortile del prestigioso spazio espositivo e godersi dal vivo la grande opera pubblica “Void Pavillion VII”, che l’artista indiano-britannico ha creato appositamente per l’occasione, resta tempo fino al 4 febbraio 2024. Mentre il podcast “Quando l’arte riflette il mondo”, in cui il direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, affiancato dalla giornalista Silvia Boccardi, parla di Kapoor e degli altri artisti che sono stati ospiti dello spazio espositivo fiorentino, resterà ascoltabile anche in seguito. Da umani e non umani.

UN IMMAGINE CREATA DALL’IA ISPIRANDOSI ALL’OPERA DI KAPOOR

Opera creata da e con Artvy.ai

“Void Pavillion VII”, la straordinaria opera pubblica di Anish Kapoor colora del nero più nero di un buco nero il cuore rinascimentale di Palazzo Strozzi

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Ideato appositamente per il cortile di Palazzo Strozzi (Firenze) in occasione della mostra “Untrue-Unreal”, “Void Pavillion VII”, (Padiglione del Vuoto) dell’artista anglo-indiano Anish Kapoor, non è solo una straordinaria opera d’arte pubblica (accessibile a tutti gratuitamente per l’intera durata dell’esposizione) ma un vero e proprio concentrato di cultura contemporanea che riempie il cuore tardo- quattrocentesco dell’edificio simbolo del Rinascimento. Più di una sfida, quasi un duello.

C’è la psicanalisi, l’ambiguità del pensiero, le avanguardie storiche (sotto forma del Quadrato nero di Kazimir Malevič definito da molti il “punto zero della pittura" da cui Kapoor trae ispirazione per quest’opera), l’evoluzione della scienza, la ricerca sul colore, l’esplorazione del cosmo, la crisi delle fedi, l’individualismo, la dimensione nomade delle arti visive. E che la volta celeste della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, di Brunelleschi in persona, con tutto il suo ordine e la sua armonia, vada pure in frantumi! Tanto se si entra in mostra, al piano Nobile di Palazzo Strozzi, non si potrà non incontrare, “Angel”, con le sue lastre d’ardesia adagiate a terra come una pigra costellazione di isole ricoperte di pigmento blu, che paiono proprio grandi frammenti di cielo.

Void Pavilion VII- ha detto Kapoor- è una struttura formale che fa rima con il palazzo. È un piccolo edificio realizzato per contenere il vuoto o l’oscurità, per dare spazio al non formato o al nascosto. Un luogo per l’unheimlich (l’inquietante ndr): forse in questo senso l’opposto di ciò che intendevano i costruttori di Palazzo Strozzi”.

Il lavoro, settima opera incentrata sul concetto di padiglione del vuoto ed ennesima a servirsi del discusso super-nero che Kapoor usa in esclusiva, è infatti composto da una stanza di un bianco quasi accecante con ingresso ad est, che contiene tre rettangoli neri (uno per parete). Ognuno di essi ha le stesse proporzioni. ma in scala ridotta, della porta (come fosse appunto la sua proiezione nella griglia prospettica rinascimentale). Una sottigliezza formale che serve a tenere insieme l’opera, certo, ma anche un modo per alludere alle dualità contrapposte che sono una vera e propria fissazione di Kaoor (il vuoto che diventa pieno, la forma che non ha forma ecc.)

L’intera visione indiana della vita è incentrata sulle forze opposte. Una cosa che mi affascinava [durante il viaggio che l’artista fece in India del 1979] erano i piccoli santuari e templi lungo la strada, che si trovavano dappertutto in India, e sono specificamente ispirati da questa concezione dualistica”.

Figlio di un generale cartografo induista nato in Pakistan e immigrato in India prima che il figlio nascesse e di una sarta irachena di religione ebraica, Anish Kapoor, ha visto la luce a Mumbai e ha familiarità con la cultura indiana. Anche se non vi è stato esposto molto a lungo. Infatti, dopo aver vissuto qualche anno in un kibbutz ad Israele e aver passato la maggior parte della sua vita adulta in Occidente (soprattutto il Regno Unito dove l’artista ha studiato e risiede fin dagli anni ’70, ma anche l’Italia dove ha uno studio, una casa, e una fondazione che porta il suo nome e sarà operativa dal prossimo anno) Kapoor è molto lontano dal pensiero della patria scelta dai genitori. E proprio questo suo sentirsi sradicato, apolide, è una delle ragioni che l’ha portato in analisi per un lungo periodo di tempo. Viene da sé che il suo lavoro ne abbia fortemente risentito.

Il vuoto è in realtà uno stato interiore. Ha molto a che fare con la paura, in termini edipici, ma ancora di più con l’oscurità. Non c’è niente di più nero del nero interiore. Nessun altro nero è paragonabile a quello [...]. Questo vuoto non è qualcosa privo di importanza. È uno spazio potenziale, non un non-spazio”.

In “Void Pavilion VII” queste riflessioni dell’artista si percepiscono con forza, e non solo perché i tre rettangoli che i visitatori incontrano nella stanza allestita per accoglierli sono dipinti di nero. Ma perché lo spazio e l’essenzialità dei lavori è lì proprio per spingere a meditare a guardare in faccia l’abisso nascosto nel profondo di ognuno di noi. Kapoor non si accontenta di una singola finestra nera, ne mette tre (un riferimento agli antichi polittici), uno per parete. Costringendoci a girare in cerca di un appiglio.

Questo è ciò che voglio- ha spiegato parlando in generale del suo lavoro- il passaggio da un oggetto nell’architettura a un’architettura in sé”.

C’è da dire che il nero dei rettangoli non è un nero comune ma il discusso Vantablack (inventato nel 2014 dagli scienziati dell’inglese Surrey NanoSystems per uso militare, è stato acquistato da Kapoor in esclusiva e rinominato Kapoorblack suscitando polemiche, tanto accese che l’artista Stuart Semple ha a sua volta brevettato dei colori che tutti potevano comperare tranne Kapoor). Un colore talmente scuro da essere più nero di un buco nero, capace di nascondere qualsiasi cosa ci sia sotto di lui comprese le forme (in questo senso le opere che lo utilizzano si possono leggere come una cupa cosmogonia senza stelle ma anche come un luogo dove le possibilità sono infinite). Una sorta di barriera e uno spazio di meditazione capace di renderci consapevoli degli inganni che ci giocano i nostri sensi, di terrorizzarci con i suoi riferimenti a mancanza e morte, ma anche di riconnetterci con le nostre energie primigenie. D’altra parte è l’artista stesso a chiedersi: “Dov'è lo spazio reale dell’oggetto? È quello che si sta guardando o è lo spazio al di là di quello che si sta guardando?”.

Come il quadrato di Malevič le opere in cui Anish Kapoor usa il suo super-nero hanno qualcosa di profondamente spirituale. Non fa eccezione “Void Pavillion VII”, (Padiglione del Vuoto) che fino al 4 febbraio 2024 occuperà il cortile di Palazzo Strozzi di Firenze. Una straordinaria opera d’arte pubblica nata per celebrare l’importante personale “Untrue-Unreal” (in corso fino alla stessa data) che Kapoor ha impiegato anni a preparare.

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

“Untrue – Unreal”: Anish Kapoor a Palazzo Strozzi si confronta con il Rinascimento tra pugni allo stomaco e pura bellezza

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. Endless Column, 1992; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Già dalla prima mattina il centro di Firenze è gremito, c’è gente di ogni nazionalità. Una coppia di giovani coreani si fa fotografare su Piazza del Duomo: sono eleganti e bellissimi, sembrano i protagonisti di una serie tv e forse lo sono davvero. Chissà se anche Anish Kapoor, durante i giri per le strette vie del capoluogo toscano, è stato scambiato per un comune turista? Anche se lui, nato a Mumbai da padre indiano e madre ebrea- irachena, dopo un periodo trascorso in Israele e una vita vissuta nel Regno Unito, ha trovato nell’Italia una nuova patria (possiede una casa a Venezia, città che da un anno e mezzo ospita il suo studio e, dal 2024, vedrà operativa pure la Fondazione Anish Kapoor a Palazzo Priuli Manfrin).

E poi era a Firenze per presentare la sua ultima, importante, mostra.

Anish Kapoor. Untrue Unreal”, infatti, è stata inaugurata lo scorso fine settimana a Palazzo Strozzi, edificio simbolo del Rinascimento e prestigiosa sede espositiva (prima dell’artista anglo- britannico ci sono state, ad esempio, le personali di: Ai Weiwei, Marina Abramović, Tomás Saraceno, Jeff Koons e Olafur Eliasson). Curata da Arturo Galansino (direttore di Palazzo Strozzi e presidente dell’omonima fondazione), era una mostra attesa, che ha richiesto anni di preparazione e presenta un’attenta selezione di alcune tra le opere più importanti del famoso scultore.

D’altra parte, Sir Anish Mikhail Kapoor, classe 1954, dottore onorario dell’Università di Oxford, dopo aver rappresentato l’Inghilterra alla Biennale di Venezia (che l’ha anche premiato), aver vinto il Turner Prize ed esposto al Tempio Ancestrale Imperiale (alle porte della Città Proibita di Pechino) o in santa sanctorum degli artisti come la Royal Accademy e la Turbine Hall della Tate Modern, ma soprattutto aver completato progetti d’arte pubblica che gli hanno regalato la fama planetaria (come la scultura “Cloud Gate” comunemente chiamata “The Bean”- “Il Fagiolo” ora simbolo di Chicago o “Orbit”, la Torre Archelor Mittal, posizionata al Parco Olimpico di Londra) e un discreto conto in banca (il suo turnover annuo è stimato in oltre 10 milioni di euro), non sembra uomo da accontentarsi con molto meno.

Sulla scia della nostra serie di esposizioni- ha detto Arturo Galansino- dedicate ai maggiori protagonisti dell’arte contemporanea, Kapoor si è confrontato con l’architettura rinascimentale. Il risultato è totalmente originale, quasi una sorta di contrapposizione dialettica, dove simmetria, armonia e rigore sono messi in discussione e i confini tra materiale e immateriale si dissolvono. Nelle geometrie razionali di Palazzo Strozzi, Kapoor ci invita a perdere e ritrovare noi stessi interrogandoci su ciò che è untrue o unreal”.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Minuto, look classico- informale, Anish Kapoor, parla con piglio deciso, ride spesso ma sembra anche capace di spazientirsi velocemente, ha un bell’inglese fluente, garbatamente musicale, da quartieri alti, ma sa anche qualche parola in italiano che non si azzarda però a usare durante un’occasione ufficiale. Il che nel complesso è strano dato che in passato pare abbia sofferto di dislessia.

Il titolo della mostra è ‘Untrue- Unreal’- spiega- Perché ciò che è imperscrutabile e illusorio fa parte dell’essenza di ciò che noi siamo. In fondo in questa vita ci siamo per un tempo molto breve, non sappiamo cosa ci sia prima dell’inizio e cosa dopo a fine e questo fa parte della disperazione della condizione umana che è una costante”.

A Palazzo Strozzi c’è anche un lavoro progettato appositamente per il cortile (“Void Pavillion VII” cioè “Il padiglione del vuoto VII”, realizzato con il sostegno della Fondazione Hillary Merkus Recordati) che è accessibile a tutti gratuitamente.

Si tratta di una stanza totalmente bianca (posta al centro dello spazio delimitato dal loggiato) in cui sono posizionati tre rettangoli più neri del nero. Kapoor li ha dipinti con il famoso Vantablack (ideato dalla ditta britannica Surrey Nanosystems, che poi, suscitando polemiche, lo ha concesso in via esclusiva allo scultore, il quale lo ha rinominato Kapoorblack). Il colore, assorbe fino al 99,965% della luce, ed è più nero di un buco nero. Ne consegue che sia impossibile capire se si stà osservando una superficie bidimensionale, un oggetto o un precipizio.

Come fossero finestre sulla fallibilità dei nostri sensi, sulla piccolezza e inadeguatezza della nostra specie, gli scuri rettangoli, ci conducono in uno spazio psichico sull’orlo dell’abisso. D’altra parte, la paura della morte, le domande sull’esistenza, insieme alla sessualità, sono i temi ricorrenti alla base dell’intera opera di Kapoor (da decenni pratica la meditazione zen oltre ad essere stato a lungo in analisi, cose che l’hanno di sicuro influenzato). Così come la ritualità, i simboli e gli oggetti ideali (quelli che ci sono sempre stati senza bisogno che qualcuno li creasse).

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. To Reflect an Intimate Part of the Red. 1981; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Ma, nel frattempo, Kapoor si interroga anche su altre questioni. Ad esempio, su come sovvertire l’armonica simmetria del palazzo rinascimentale (proiezione di un mondo ideale che non lascia spazio alla sofferenza ma nemmeno alla passione e ai colpi di testa). Dimensione, quindi, poco adatta a tutti gli abitanti della contemporaneità e men che meno a lui che con l’autorità e l’ordine precostituito ha sempre avuto problemi (figlio di un ammiraglio- cartografo e di una sarta- quasi stilista ha avuto prima contrasti con i genitori e poi con l’ambiente provinciale indiano ed israeliano incapace di accettare un apolide).

Void Pavillion VII” ci riesce assecondando la simmetria architettonica, per farla assorbire subito dopo dalle voragini oscure dipinte nelle pareti. Mentre per l’esposizione nel suo complesso l’operazione è stata più complicata. “Ha litigato a lungo con il palazzo!” ha detto con una certa dose di humor, Arturo Galansino.

C’è una successione classica di ambienti- ha, poi, spiegato Kapoor- e la difficoltà nel creare questa mostra è stata proprio nell’assecondare questo flusso, questa successione, ma anche nell’interromperlo o sconvolgerlo. E poi tutta la tematica della mostra è sull’oggetto vuoto ma, essendo io pieno di contraddizioni, gli oggetti che vedete sono pieni. Sono pieni di oscurità, sono pieni di riflessi degli specchi e ovviamente questa è una complicazione. Perché ho voluto crearlo in stanze che sono così classiche anche nel rapporto tra gli oggetti, più o meno piccoli, e l’ampiezza della sala”.

Ad ogni modo gli riesce perfettamente. ll rapporto tra i colori, le superfici, le forme e gli ambienti imprime una curvatura inaspettata al percorso del visitatore, dilatando il tempo, ingannando il colpo d’occhio. La mostra sembra più grande di altre che si sono tenute negli stessi ambienti, pur con un numero uguale o inferiore di opere.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Tuttavia, con attitudine teatrale, Kapoor, cattura l’attenzione del pubblico ma non è indulgente verso di lui. Tanto che la prima opera in mostra è “Svayambhu” (termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente), una massa di cera rossa terribilmente scrivente, montata su una rotaia che si muove lentissimamente ma inesorabilmente da una stanza all’altra, attraversando una porta di poco più grande di lei. Tralasciando i rimandi alla carnalità espliciti e violenti che possono suscitare impressione, l’opera non perdona: il visitatore che si avvicina troppo si macchierà scarpe o abiti e dovrà buttare tutto nell’immondizia.

Lo è di più con l’architettura. Le sale risultano abbellite dai pigmenti vivi di opere come “To Reflect an Intimate Part of the Red” o “Endless Column” (in cui le cromie si accumulano alla base delle sculture facendo pensare di rivestire oggetti invisibili o fatti direttamente con polvere colorata) ma anche quando incontrano le sue sculture riflettenti (in mostra ce ne sono parecchie). Forme, spesso concave, prive di linee di saldatura, che restituiscono la realtà in maniera molto originale (deformano, rovesciano, fanno apparire e scomparire le persone senza motivo) mentre valorizzano invariabilmente gli ambienti in cui vengono esposte.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Vertigo, 2006, acciaio inossidabile cm 225 × 480 × 60; Mirror, 2018, acciaio inossidabile cm 195 × 195 × 25; Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300  ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

E se “Angel”, composta da grandi pietre di ardesia che sembrano leggere ricoperte come sono da strati di un pigmento blu intenso, quasi ultraterreno, suggerisce pace e dà l’impressione di ammirare dei frammenti di cielo caduti, la serie in cui usa resine e pittura abbinata ai titoli (sempre, comunque, centrali nel lavoro di Kapoor) può arrivare a suscitare disgusto. Stesso discorso per la sessuale “A Blackish Fluid Excavation”..

La mostra “ Untrue Unreal” di Anish Kapoor, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 4 febbraio 2024.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Angel, 1990 ardesia, pigmento ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Sala 6: Tongue Memory, 2016 silicone, vernice, cm 250 × 130 × 70 Today You Will Be in Paradise 2016 silicone, vernice cm 250 × 195 × 45 Three Days of Mourning 2016 silicone, tecnica mista, vernice cm 250 × 120 × 70 First Milk, 2015, silicone, fibra di vetro, vernice ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Gathering Clouds, 2014 fibra di vetro, vernice cm 188 × 188 × 39 ciascuno ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Gathering Clouds, 2014 fibra di vetro, vernice cm 188 × 188 × 39 ciascuno ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Vertigo, 2006, acciaio inossidabile cm 225 × 480 × 60; Mirror, 2018, acciaio inossidabile cm 195 × 195 × 25; Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300  ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Sala 6: A Blackish Fluid Excavation, 2018 acciaio, resina cm 150 × 140 × 740 Tongue Memory, 2016 silicone, vernice, cm 250 × 130 × 70 Today You Will Be in Paradise 2016 silicone, vernice cm 250 × 195 × 45 Three Days of Mourning 2016 silicone, tecnica mista, vernice cm 250 × 120 × 70 First Milk, 2015, silicone, fibra di vetro, vernice ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio