Sono esattamente le 10 e 40 di giovedì mattina quando a Palazzo Strozzi arriva Jeff Koons. Nel cortile dell’edificio cinquecentesco troneggia la sua monumentale “Baloon Monkey (Blue)” con il suo rivestimento scintillante, l’illusione di leggerezza e le 5 tonnellate di peso. Parla con qualcuno, si fa fotografare. La conferenza di presentazione della mostra “Jeff Koons Shine” è fissata per le 11 all’ex-cinema Odeon, una sfarzosa sala in stile littorio, a pochi passi dalla sede dell’esposizione.
Conosciuto per la precisione (che diventa maniacale, dicono, quando c’è di mezzo la realizzazione delle sue sculture) non si smentisce. Stile classico-elegante con tocco casual (non porta la cravatta). Non un capello fuori posto. Lo sguardo empatico, i modi gentili e il largo sorriso (che i suoi detrattori hanno definito “di plastica”) sono d’ordinanza: pare che non si scomponga mai in pubblico. Nemmeno se provocato.
D’altra parte adesso ha tutte le ragioni per essere allegro: la grande mostra “Jeff Koons Shine” si inaugurerà domani dopo una preparazione durata anni. E stasera per consolidare ancora di più il rapporto della città di Firenze e dell’Italia con un artista che è anche una star internazionale, la Palazzo Strozzi Foundation Usa (e sì la fondazione che finanzia la prestigiosa sede espositiva fiorentina ha anche una pertinenza oltreoceano) lo premierà nel corso di una cena esclusiva.
Il riconoscimento si chiama “Palazzo Strozzi Renaissance Man of the Year Award 2021”, la Fondazione gli dà molta importanza e lo sta valorizzando per regalargli quella notorietà che sta conquistando di volta in volta. Ma soprattutto non lo consegna al primo che passa. Dal 2011 quando è stato istituito l’hanno ricevuto, ad esempio, Ted Turner (fondatore di CNN), Michael Bloomberg (politico e uomo d’affari) e il Principe Carlo. Certo non è il primo premio che Koons riceve. Anzi si potrebbe quasi dire che li collezioni. E’ stato persino Cavaliere della Legion d’Onore della Repubblica Francese (poi l’hanno promosso Ufficiale).
Tra le motivazioni del premio: la sua Factory, che raccoglie l’eredità dei laboratori rinascimentali (nei tempi d’oro è arrivato ad avere fino a 120 dipendenti, ora ha ridotto il personale e automatizzato, ma comunque non tocca mai nessuna delle sue opere). E la filantropia. Koons, infatti, ha sostenuto, soprattutto ma non solo, la fondazione che porta il nome della sua famiglia e che finanzia progetti contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Gli ha donato in totale 4, 3 milioni di dollari. Del resto, al benessere dei bambini deve tenere sul serio: ha avuto ben 8 figli.
Alla presentazione della mostra, seduto in modo composto ma informale, parla del suo lavoro. Nel discorso ricorrono le parole: gioia, luminosità (è il tema principale della mostra insieme al rapporto con gli antichi maestri) e generosità. Sembra, infatti, sinceramente convinto che le sue opere con le loro superfici specchianti, insieme agli oggetti di uso comune che nel corso degli anni ha scelto di rappresentare, siano generosi perché accolgono le persone che li osservano e la vita intorno a loro in modo acritico. Oltre a donare almeno un sorriso.
E’ sempre garbato. Bravissimo a parlare in pubblico. Così come a eludere le domande che non gradisce senza un segno di cedimento. Quello che sembra mancare, giura chi l’ha sentito spesso, è la spontaneità. O forse Koons è semplicemente sempre così. “(…) Koons è una specie di Ronald Regan dell’arte- ha scritto di lui il critico Jerry Saltz- sempre sorridente, educato e piacevole (…). Quello che vedi è quello che è: una creatura il cui cuore corrisponde alla superficie (…)”
Qualche giornalista cerca di rubargli una risposta originale da scrivere sulla sua testata ma non ci riesce. Il tempo è poco, e poi come si possono superare le decine di massime che ha già pronunciato? Per esempio: “Guardate Rabbit (a proposito della sua famosa scultura arrivata in asta alla cifra record di 91,1 milioni di dollari ed esposta nelle sale di Palazzo Strozzi n.d.r.). Ha una carota in bocca. Che cos’è? E’ uno che si masturba? E’ un politico che fa un proclama? E’ il coniglietto di Playboy? ...Sono tutti loro”. Oppure: “Baloon Dog (di nuovo record d’asta con i 58,4 milioni pagati; anche in questo caso inclusa nel percorso di “Shine” n.d.r.) è un pezzo molto ottimista, è un palloncino che un pagliaccio potrebbe annodare per te a una festa di compleanno. Ma allo stesso tempo è un cavallo di Troia. Qui ci sono dentro altre cose: forse la sessualità del pezzo”.
La centralità che dà a sesso nelle sue dichiarazioni, probabilmente serve ad aggiungere un allure provocatorio alle opere (fatta salva la serie Made in Heaven, dove appare in pose esplicite insieme all’allora moglie e pornostar, Ilona Staller), che dalla cultura di massa discendono ed alla cultura di massa ritornano attraverso il personaggio- Koons e il lavoro dei media, ma che nascono per sembrare banali. Altrimenti come si farebbe a dire, in totale sincerità, di una scultura (Lobster, anche lei in mostra) che riproduce in modo mimetico un materassino a forma d’aragosta con tanto di maniglie: “Sono davvero molto, molto orgoglioso di come si affronti il tema maschile/femminile e di come venga comunicato (…)”?
Le opere incluse nel percorso espositivo sono notevoli. La scelta è stata accurata. Sostengono egregiamente il racconto di una carriera ultra-trentennale (dai primi successi fino ad oggi). Non sono moltissime, ma bastano. Anche l’installazione e il dosaggio della luce non fanno una grinza. Nella terza sala in cui è esposto “Ballon Dog (Red)”, il colore che irradia dalla superficie in acciaio si infrange sul grande olio su tela “Bread with Egg”, in uno scintillio di toni propri e riflessi che ben sintetizza l’intero spirito della mostra. Le sculture che prendono a modello i gonfiabili sono talmente perfette da instillare un incontenibile desiderio di toccarle: sai che sono pesanti ma sembrano leggerissime. Davvero.