Parte del programma d’arte pubblica Riyadh Art, l’edizione 2023 del festival di light art Noor Riyadh, tornerà ad illumminare la capitale saudita dalla fine di questo mese fino alla prima metà di dicembre.
Anche questa volta i numeri saranno impressionanti (anche se meno di quelli del 2022): 120 opere su larga scala, oltre 100 artisti (alcuni di loro famosissimi) proveninti da 35 nazioni. Tra gli artisti sono, ad esempio, presenti: Refik Anadol, Carsten Höller, Ange Leccia, Bruno Ribeiro, Chris Levine, Christopher Bauder, Dana -Fiona Armour, Diana Thater, Drift, Janet Echelman, Iván Argote, Laurent Grasso, Muhannad Shono, Philippe Parreno e Ugo Schiavi. Oltre a designer stranoti come Random International, Shoplifter e Superflex. Tutti guidati dal curatore frencese di lungo corso Jérôme Sans (che sarà affiancato dal messicano- statunitense Pedro Alonzo e dai sauditi Fahad Bin Naif e Alaa Tarabzouni). Al festival si aggiungerà, poi, una mostra di rilievo internazionale e un’infinità di micro-eventi (in teoria destinati alla comunità locale).
D’altra parte la manifestazione parte di Vision 2030 (il progetto con cui lo sceicco intende ridisegnare l’Arabia Saudita , anche e soprattutto, attraverso l’arte contemporanea), che lo scorso anno si è guadagnata ben sei guinness dei primati, è la più grande del mondo nel suo genere (a comprovarlo c’è uno dei record collezionati dall’evento). E viene da se che i costi siano altrettanto importanti. C’è da credere che pure le ricadute positive siano altrettanto rilevanti, anche se stabilire il quanto e il per chi è sempre difficile, visto come questi fattori si spingano in terre incerte, influenzati come sono dai venti capricciosi dell’opportunità politica e dalla capacità di una struttura sociale nel suo complesso di cogliere un certo tipo di opportunità.
Tuttavia, lo scorso anno, France 24 ha riportato, che la curatrice Jumana Ghouth ha detto di aver trovato "sorprendente" come i cittadini sauditi provenienti da diversi contesti socio-economici interagissero con le opere dato che "non siamo realmente una nazione cresciuta con l'arte".
Anche se è più che altro nel cono d’ombra dei diritti umani in Arabia Saudita che si concentrano le critiche a Noor Riyadh, così come agli altri progetti artistici di recente varo (tra cui spicca Desert X). Nel paese mussulmano, infatti, le donne solo fino al 2018 non potevano neppure guidare senza un accompagnatore. Da allora, proprio grazie alle riforme introdotte da Vision 2030, la situazione sarebbe migliorata (le signore, ad esempio, possono ora intraprendere professioni anche prestigiose o passeggiare per strada). Nonostante ciò gli attivisti per i diritti umani riferiscono che le discriminazioni di genere sono tutt’altro che terminate, come testimonia l’aumento delle carcerazioni di donne per aver compiuto azioni considerati innocenti e quotidiane in quasi tutti i paesi del mondo (come non indossare il costume tradizionale o esprimere opinioni su qualsiasi argomento, pure se innocuo, sui social media).
Forse per questo, il materiale ufficiale di Noor Riyadh sottolinea che nel 2023 alla manifestazione parteciperà un nutrito gruppo di artiste sia straniere che saudite (tra loro: Angelika Markul , Claudia Comte, Huda Alnasir, Marinella Senatore, Nevin Aladağ, Sarah Abu Abdallah, Shilpa Gupta, Sophie Laly e Vivian Caccuri).
In genere i partecipanti a questi eventi, per quanto famosi, rifuggono dall’esprimere messaggi di tipo politico. Anche se il co-curatore dell’edizione dello scorso anno, Herve Mikaeloff, ha dichiarato all’agenzia AFP che nessun artista internazionale con cui ha lavorato ha ricevuto pressioni dalle autorità locali sui contenuti. Eppure qualcuno di loro si sarebbe mostrato preoccupato all’idea di lavorare sul suolo saudita. Mikaeloff, ha poi affermato: "Di sicuro, se accetti un lavoro qui, devi accettare le regole e la situazione giuridica e politica del posto".
A proposito di contenuti, il tema molto aperto e suggestivo di Noor Riyadh 2023 sarà "Il lato positivo della luna del deserto". Comprensibilmente, visto che l’evento intende mettere in luce le bellezze storiche, paesaggistiche e l’evoluzione talvolta avveniristica della capitale saudita (della città è simbolo il Kingdom Centre, un grattacielo dalla caratteristica forma ad ago, disegnato dallo studio statunitense di Ellerbe Becket in collaborazione ai sauditi di Omrania), accompagando il pubblico in giro per cinque distretti cittadini che vanno dal centro degli affari al principio del deserto.