Figurarsi “Noor Riyadh 2023” senza averlo visto dal vivo risulta davvero difficile. Anche consultando l’ampio materiale foto-video messo a disposizione ai media di tutto il mondo il rischio di perdere gran parte di quanto si dovrebbe invece raccontare del più grande festival di light art esistente è dietro l’angolo. Restano saldi i grandi numeri (120 opere oltre 100 artisti tra internazionali e sauditi provenienti nel complesso da 36 paesi), i nomi, talvolta molto importanti, dei partecipanti (Mariko Mori, Carsten Höller, Janet Echelman, Muhannad Shono, Shilpa Gupta, Laurent Grasso ecc.), del curatore capo, Jérôme Sans (noto critico francese, tra le altre cose co-fondatore del museo d’arte contemporanea Palais de Tokyo di Parigi) e i buoni propositi dei promotori (in primis il governo saudita) come quello di rendere la capitale una galleria d’arte diffusa, “una galleria senza muri”, coinvolgendo l’intero tessuto sociale cittadino in un circolo virtuoso di rinascita economico-culturale.
“Con una straordinaria selezione di opere d'arte- ha dichiarato il direttore esecutivo, Khaled Al-Hazani, del programma Riyadh Art di cui la manifestazione fa parte- e un ricco programma di coinvolgimento della comunità, Noor Riyadh 2023 promette di portarci un altro passo avanti verso l'ambizione di Riyadh Art di trasformare la città in una galleria senza muri."
Così come restano le cautele verso un paese discusso come l’Arabia Saudita, che, tuttavia, sembra avere il vento in poppa (nel momento in cui questo testo viene redatto, ad esempio, si è aggiudicata Expo 2030, Biden ha fatto marcia indietro sull’affaire Khashoggi, mentre è stata scelta Manal AlDowayan, un’artista donna che parla di donne, per rappresentare il paese alla prossima Biennale di Venezia). E in cui un reale cambiamento sembra in atto.
D’altra parte anche la manifestazione di Light Art attualmente in corso è fuori dall’ordinario per diversi motivi. Prima di tutto il fatto che vanti alcuni primati mondiali regolarmente conseguiti durante la scorsa edizione (come quello di più grande festival di luci d’artista del mondo). Persino definire “Noor Riyadh 2023” festival di Light Art è riduttivo, perché affronta il vincolo della luce in maniera poliedrica. Ci sono artisti che si sono limitati a creare delle sculture luminose, altri hanno inteso la luce come sinonimo di video installazione, altri ancora ne hanno fatto un elemento capace di modificare profondamente la natura dell’opera fino a trasfigurarla (viene da sé che quelli che se la sono cavata meglio sono gli artisti che da sempre ne fanno una colonna portante della loro opera come: Chris Levine, Janet Echelman, Bruno Ribeiro e Christophere Bauder). Alcuni sono intervenuti con la luce direttamente sul tessuto urbano e sul paesaggio circostante mentre altri hanno lavorato in interni.
“Noor Riyadh 2023” è stato inaugurato con lo spettacolare volo di centinaia di droni luminosi degli olandesi dello studio Drift (“Desert Swarm”) che si sono esibiti in evoluzioni del tutto simili a quelle di uno stormo di uccelli. Infatti, per il festival è stato scelto un tema leggero, “Il lato positivo della luce del deserto”, e gli artisti si sono astenuti dall’esprimere commenti politici ma si sono soffermati spesso sul rapporto tra uomo e ambiente. E’ per esempio il caso della tedesca Dana-Fiona Armour che ha creato un arido paesaggio distopico con sculture ispirate a una specie di serpente originario dell’Arabia Saudita che secondo le leggende è in grado si rubare il sole e la luna. Armour usa spesso i serpenti come ispirazione della sua pratica arrivando a indagarne i veleni. Sempre in bilico tra arte e scienza anche un altro artista tedesco, il famoso Carsten Höller, che qui è presente con un complessissimo orologio fatto di tubi al neon in cui cerca di fondere i vari sistemi di misurazione del tempo nelle epoche e nel mondo (“Decimal Clock”). Di sicuro impatto pure il lavoro della veterana delle sculture fluttuanti e luminose, Janet Echelman, che l’americana ottiene sulla base di dati scientifici. Non meno spettacolare l’opera del tedesco Christopher Bauder che a Riyadh che ha costruito uno scambio dinamico tra i due grattacieli simbolo della città, il Kingdom Center e le Al Faisaliah Towers, il pezzo basato sulla luce e il movimento si intitola appunto “Dialogue”. Poetiche e raffinate, invece, le riflessioni sullo scorrere del tempo e sul pesaggio della saudita, Shaikha Al Mazrou, e del francese Ugo Schavi.