Marina Abramović: The Cleaner dopo Palazzo Strozzi va in Polonia tra manifestazioni di preghiera in segno di protesta e performers pagati una miseria

Marina Abramovic, Portrait with Lamb (white), 2010. Wilde | Geneva, Switzerland

Marina Abramovic, Portrait with Lamb (white), 2010. Wilde | Geneva, Switzerland

La mostra itinerante “Marina Abramović: The Cleaner”, dopo aver fatto tappa a Palazzo Strozzi (Firenze) lo scorso anno, è sbarcata al CSW (Center of Contemporary Art) di Toruń in Polonia. ma il film che va in scena è sempre lo stesso: successone della retrospettiva, paghe miserabili per i performers che hanno reso possibile l’evento. Di diverso c’è solo una nota di colore locale, che quasi fa sfigurare la tela rotta in testa all’ Abramović nei giorni dell’inaugurazione fiorentina. In Polonia, infatti, un gruppo di cattolici ha salutato l’apertura dell’esposizione con una manifestazione di preghiera in segno di protesta. Il motivo? Secondo loro l’artista serba sarebbe una satanista.

Un’accusa curiosa (e divertente) lanciata da un gruppo facebook che si suppone abbia fatto crescere ulteriormente l’interesse attorno all’evento. Tuttavia, gli oppositori, secondo quanto riportato dalla stampa di settore e dai media polacchi, erano si e no una quarantina.

Interesse, che dai primi dati sembra confermarsi altissimo. Del resto “Marina Abramović: The Cleaner” a Palazzo Strozzi, già prima del ‘periodo caldo’ delle festività natalizie. aveva superato i 100mila visitatori (che, anche al prezzo popolare di 12 euro a biglietto, significa oltre un milione di euro nelle casse del museo, escluso merchandising ed eventi extra-biglietto). Numeri da blockbuster per una personale d’arte contemporanea, che si può immaginare toccheranno l’apice il prossimo autunno al Museum of Contemporary Art di Belgrado (città natale dell'artista).

La personale, nata nel 2017 al the Moderna Museet di Stoccolma, e riallestita in Danimarca, Norvegia e Germania, prima di arrivare in Italia e in Polonia, ripercorre trent’anni di carriera di Marina Abramović mettendo in scena le sue performance dagli anni ‘70 fino ad oggi. Spettacoli, potenti e spesso molto faticosi da eseguire, a tratti persino pericolosi e umilianti per chi li mette in scena. Non a caso in ogni tappa della mostra i performers (in genere ballerini e attori professionisti) hanno dovuto affrontare una settimana di intenso training formativo prima della retrospettiva.

Training non pagato. Ma non è stato tanto questo particolare quanto il trattamento complessivo a innescare il dissenso. In Italia, durante la fase della contrattazione Linkiesta scriveva: “Per Luminosity, in cui Marina Abramovic siede nuda su un sellino all’interno di un quadrato luminoso per 30 minuti, il pagamento proposto è di 25 euro lordi. Per Cleaning The Mirror, che prevede che il performer nudo pulisca uno scheletro umano per quattro ore, la paga è di 72 euro lordi. A conti fatti, ciascun artista arriverebbe così a uno stipendio di 500-600 euro al mese, senza peraltro avere la possibilità di lavorare su altri progetti, visto l’impegno che la mostra richiede.”

Ai polacchi, secondo quanto riportato dal sito Hyperallergic sarebbe andata un po’ meglio: Per le recite da meno di un'ora 25€ a prestazione, 40€ l'ora, invece, per lavori superiori a un'ora.

Non è la prima volta d’altronde che Marina Abramović viene accusata di non tener in alcuna considerazione gli attori che lavorano per lei. In una lettera aperta una di loro ha affermato di aver ricevuto l’offerta di rievocare una performace della serba al MOCA di Los Angeles in occasione della cena annuale dei finanziatori del museo per 150 dollari. Intorno a lei i commensali avevano sborsato 100mila dollari a testa

Abramović dice che la sua compagnia, Abramović LLC sp. ZOO, con sede a New York, affida in modo efficace le formalità organizzative e finanziarie alla galleria con cui stipula un contratto. Insomma, scarica la reponsabilità sui musei. (via Artnet, Artsy)

Marina Abramovic photo courtesy CSW

Marina Abramovic photo courtesy CSW

Le vulcaniche esplosioni di colore e consistenza nelle ceramiche astratte di Brian Rochefort

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Le ceramiche astratte dell’artista statunitense Brian Rochefort a volte ricordano traboccanti: boccali di birra, vaschette di gelato, barattoli di vernice. Altre sembrano ecosistemi sottomarini, rocce ricoperte di muschio, crateri, piume di uccelli esotici. Fanno pensare persino al pongo. Sono una tale festa di forme incontenibili e colori vivaci da accendere ricordi sempre diversi.

Brian Rochefort vive a Los Angeles e nella sua scultura c’è di sicuro l’amore per i colori vibranti della sua città. Ma mixato con il diario di un viaggi in mezzo alla natura incontaminata del Sud America.

Per farla breve, questi vasi astratti, caratterizzati da un’importante dimensione tattile, fondono scampoli di immagini della città (cartelloni pubblicitari, vetrine dei negozi ecc) con quelle di luoghi remoti

Le ceramiche di Rochefort sono disseminati di particolari che già di per se hanno una loro completezza. I materiali fanno la differenza: lavora con il gres porcellanato e la terracotta (oltre alla ceramica, poi, usa smalto e vetro). E la tecnica: crea i pezzi, li rompe, li ricompone, li cuoce più e più volte.

Compie rigorose indagini su processi e materiali-dice di lui il materiale della galleria Vandoren Waxter di New York- Il lavoro di Rochefort sposta i confini formali e tecnici della ceramica come mezzo legato alla tradizione; si espande oltre i suoi limiti in nuovi territori di libertà, invenzione e gioco.”.

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Le installazioni immersive di Oscar Oiwa, create disegnando dal pavimento al soffitto con un pennarellone

Oscar Oiwa, Black and Light, Cadillac House

Oscar Oiwa, Black and Light, Cadillac House

Pittore abilissimo, Oscar Oiwa, affianca alla sua produzione delle installazioni sorprendenti, che danno l’impressione di passeggiare dentro un quadro. Le realizza con dei pennarelloni neri all’interno di strutture gonfiabili a cupola, che disegna interamente (e fittamente) dal pavimento al soffitto.

L’anno scorso, per esempio, per completare Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral alla Japan House di San Paolo lui e i suoi assistenti hanno avuto bisogno di diversi giorni e 120 pennarelloni per finire il lavoro.

Nato in Brasile da genitori giapponesi, Oscar Oiwa, dopo essere tornato nella terra d’origine dei suoi antenati e aver soggiornato per un periodo a Londra, si è trasferito a New York . La sua opera è influenzata dai fumetti e dai cartoni animati. Nelle sue grandi installazioni immersive l’elemento magico, presente in tutta la sua produzione, si fonde con lo spaesamento del visitatore, repentinamente calato in un ambiente che confonde i sensi.

"Mi è sempre piaciuto disegnare, lo considero il modo più semplice per esprimermi visivamente", ha detto recentemente Oiwa "Una matita e un foglio bianco - non esiste un mezzo più semplice di quello."

Oscar Oiwa ha appena completato una nuova installazione alla Cadillac House di New York (l’organizzazione è dell’agenzia Visionare). Intitolata Black and Light, l’opera, ha richiesto 100 ore di lavoro e occupa ben 823 metri quadri. Rappresenta paesaggi immaginari che fanno pensare al mare, agli alberi, ma anche ai coralli e ad un terreno desertico visto dall’alto. Nascosti nel fitto reticolo di tratti, vi compaiono anche due nuovi personaggi dell’artista (Light Rabbit e Shadow Cat). Black and Light rimarrà aperta fino al 30 marzo; Oscar Oiwa ha un account facebook che permette di seguire il suo lavoro

19 Likes, 4 Comments - @milaxnyc on Instagram: "▫️◾️▫️◾️▫️"

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

139 Likes, 7 Comments - Sarah Suzuki (@suzukiinthecity) on Instagram: "an immersive maelstrom of a drawing: black and light by #oscaroiwa courtesy of @visionaireworld on..."

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral

Oscar Oiwa in Paradise – Drawing the Ephemeral