Il paesaggio minuscolo e fuggente delle nuove opere di Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

E’ il principio dell’estate sull’Isola di Hokkaido (a nord del Giappone): i piedistalli dalle forme minimali dell’installazione ricorrente “Snow Pallet”, che Toshihiko Shibuya usa per monitorare l’accumularsi della neve durante la stagione fredda (sottolineando così il mutare del paesaggio a seconda del mese, del giorno, e persino dell’ora), sono ancora in mezzo alla natura. I semi bianchi e lanugginosi di un gruppo di piante li ha ricoperti, persino i colori vividi, che l’artista applica alla base delle scarne sculture, si proiettano su di loro come farebbero con la neve. Un piccolo miracolo che Shibuya non manca di ammirare e pubblicare su Instagram:

La lanugine dei salici si accumula come neve- scrive- Il carico di neve estiva è un carico semplicemente soffice”.

Queste minuscole ed inaspettate modifiche dell’ambiente naturale che ci circonda e che si fa sentire sia in città che in campagna, sono per lui fonte di continuo stupore. Oltre a costituire momenti di trasformazione della sua opera.

Quasi leggendario per rigore e cautela, Toshihiko Shibuya, infatti, da anni ormai basa la sua pratica, su due serie scultoree che documentano lo svolgersi e il succedersi delle stagioni piene (“Snow Pallet” in inverno, “Generation” in estate). Lavori minimali, pensati per mettere al centro la natura, intervenendo il meno possibile su di essa (supporti per sostenere le nevicate d’inverno, puntine a testa sferica da posizionare direttamente nei boschi sul finire dell’estate). Preferendo una scarna forma di scultura, mutevole ed effimera, alle opere ideate come commento o interpretazione.

Tuttavia, l’artista originario di Sapporo, oltre a rileggere il classico tema del paesaggio in chiave contemporanea e a rinfrescare il canovaccio ormai datato della Land Art introducendo elementi nuovi (manufatti di derivazione industriale e colori ‘kawaii’), gioca gran parte del suo lavoro sulla memoria. Si fanno sentire sia l’idea di celebrare e preservare la vibrante bellezza della vita che quella di mappare i cambiamenti del clima (e di conseguenza dell’ambiente) nel corso del tempo.

La legge dei cicli naturali-ha affermato più volte - ha cominciato a perdersi a poco a poco”.

Proprio per questo alle sue installazioni affianca anche degli oggetti volti a preservare l’ineffabile bellezza del paesaggio estivo o invernale. Più spesso si tratta di tronchi ricoperti di muschio. prelevati direttamente dal sottobosco, su cui l’artista interviene con puntine da disegno colorate che simulano la vita minuscola di funghi, mucillaggini e insetti.

E’successo pure nella sua ultima infornata di opere, intitolata “Between Art and nature” (parte della serie “Birth-Origin"). Ci sono, appunto, cortecce punteggiate da elementi bianchi (pochissimi) e tramutate in giardini mobili su cui continuano a prosperare fili d’erba e piante selvatiche. Ma anche oggetti trovati, accostati tra loro (come un lapislazzulo grezzo, messo accanto al corallo e ad pezzo di legno macchiato di blu dal fungo Chlorosplenium aeruginosum), che ricordano le collezioni botaniche di un museo di storia naturale, così come quelle di un Gabinetto delle Curiosità. Di diametralmente opposto rispetto ad una Wunderkammer c’è la ricerca della quotidianità su cui l’artista orienta ogni sua scelta: quelle che ritroviamo al centro del suo lavoro sono specie botaniche o di funghi comunissime. Talmente diffuse da comparire, a prima vista, inalterate, da una parte all’altra del Pianeta; forme di vita semi- apolidi, cui siamo tutti talmente abituati da rivolger loro raramente lo sguardo. Eppure antichissime e che restano in gran parte territorio inesplorato dal sapere umano (la maggior parte dei muschi, per esempio, sono dei veri e propri fossili viventi: esistono da almeno 200miioni di anni).

L’artista ha anche sistemato un tipo particolarmente armonioso di muschio in un vaso da bonsai e ha usato delle puntine a testa sferica rosa corallo per sottolinearne la bellezza:

Raffigura- ha spiegato- lo sviluppo della formazione del corpo fruttifero della muffa melmosa (fungo deformato) Lycogala epidendrum. Quando l'epidendro è giovane è rosa e piccolo con un diametro di circa 5 mm”.

Questo interesse per l’ecosistema del sottobosco nella sua declinazione più minuscola, allude ai nostri limiti sensoriali e all’inarrestabilità del ciclo vitale. In qualche modo suggerisce che il vuoto non esiste. Ma cerca anche di porre rimedio alla miopia umana, congelando i piccoli-grandi miracoli che si consumano ogni giorno, talmente in fretta, da non riuscire a coglierli. Così, le fotografie del momento in cui i semi dei soffioni prendono il volo (ingranditi e in bianco e nero), diventano poetici giochi di ombre e luci, un elegante proliferare di segni, in bilico tra rappresentazione e trasfigurazione della realtà. Che in un momento sovrappongono registri comunicativi diversi, quasi indecise se raccontare una storia, documentare un fenomeno, citare la Storia dell’Arte o permettere alla mente di disegnare una propria, intima, cosmogonia del quotidiano.

Toshihiko Shibuya ha un sito internet che tiene sempre aggiornato e, in genere, condivide sia su Facebook che su Instagram le evoluzioni della sua opera.

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, “Between Art and nature” 2023 (Birth-Origin; Generation serie). Images © Toshihiko Shibuya

Il mondo antico e avveniristico di Lu Yang, che cerca l’anonimato e va in estasi durante una spaventosa turbolenza aerea

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

Ispirata alla religione e alla scienza ma anche alla fantascienza, ai videogiochi e ai manga l’opera dell’artista cinese, Lu Yang, è psichedelica, energica, inquietante, un po’ horror un po’ gioiosa e, occasionalmente, raccapricciante. Si tratta per lo più di corti, mediometraggi e immagini in CGI (anche se non è estranea alla pittura), che oscillano dall’impianto narrativo di un vero e proprio film, a quello di un video musicale, senza dimenticare di fare un salto per il format dei giochi elettronici. C’è tanta musica (molto coinvolgente) e i protagonisti (che hanno tutti il volto di Lu Yang) ballano parecchio. Oltre a trovarsi ad affrontare situazioni strane, paradossali e grottesche (per esempio: un camion decorato che sfreccia nell’aldilà; un paziente che si fa fare un esorcismo con la stimolazione magnetica transcranica; un supereroe su un assorbente alato cerca di salvare il mondo, usando un neonato attaccato al cordone ombelicale, come mazza). Sono tutti senza genere e hanno trucco, acconciatura ed abbigliamento appariscenti; a volte sono vestiti come divinità induiste (ma con rifiniture al neon per un tocco sci-fi che non può mancare).

Tuttavia, malgrado il gusto marcatamente vistoso, l’opera di Lu Yang, non deve ingannare. L’artista, in fondo, si occupa di temi vecchi come il mondo: la vita, la morte, la decadenza e l’impossibilità di controllare le trasformazioni biologiche, la sede dell’anima. Spesso inserita in mostre sul post-umano, Lu, aggiunge a questo canovaccio interrogativi più contemporanei come quelli sull’esistenza digitale, sul corpo, l’identità e il tempo nel quadro pixelato di uno schermo. Oltre a riflessioni estemporanee, che la sua curiosità e il suo vulcanico genio creativo le suggeriscono.

Ed è proprio questo matrimonio tra passato e presente, uno dei punti forti del suo lavoro. In cui l’influenza della cultura buddista, elementi di medicina cinese, studi sulle neuroscienze, informatica, estetica e divinità induiste, oltre a un’infinità pressoché illimitata di cenni pop, coesistono armoniosamente.

41 anni, Lu Yang, vive e lavora a Shangai con il suo carlino Biabia (di cui condivide spesso immagini sul suo account instagram), dice di non uscire frequentemente e di sentirsi a disagio nelle occasioni di ritrovo che la sua professione richiede. Non le piace stare sotto i riflettori, anzi ricerca l’anonimato ed è per questo che non ama rilasciare interviste, farsi fotografare e dare un genere ai suoi avatar digitali. Preferisce passare il tempo al computer. Anche se ultimamente si è trovata a dover abbandonare sempre più spesso la sua confort zone. Perché Lu Yang stà diventando un artista famosa; anche in occidente, dopo aver conquistato un vasto pubblico in patria.

Una volta- ha scritto di recente- ho letto una teoria da un libro, parla di come cerchi di ottenere le cose essendo molto più dedicato e determinato di chiunque altro. Con quella quantità di dedizione e determinazione, l'universo sarà sincronizzato con te e il potere della tua volontà, quindi l'universo utilizzerà ogni risorsa che può comandare per aiutarti a raggiungere il tuo obiettivo”.

Lo scorso anno ha partecipato alla 59esima Biennale di Venezia, ha esposto in vari musei in giro per il mondo ma si è anche aggiudicata l’undicesima edizione del premio “Artist of the Year” della Deutsche Bank, che le ha fruttato una mostra al Palais Populaire di Berlino. Oltre a una personale che ha inaugurato lo scorso 14 settembre al Mudec di Milano.

Si intitola “DOKU Experience Center”, dal nome del nome dell’avatar digitale prediletto dell’artista (Dokusho Dokushi, o DOKU in breve), o meglio, dalla reincarnazione digitale che la rappresenta in maniera più completa. Ma ci sono anche gli altri:

L’esposizione- spiega il Mudec- mette così in scena insieme e per la prima volta i sei diversi avatar creati da Lu Yang – Human, Heaven, Asura, Animal, Hungry Ghost, Hell – che incarnano i sei regni di rinascita del Samsara, la ruota karmica della vita che simboleggia l'eterno ciclo di nascita, morte e reincarnazione”.

Tra le opere c’è anche il video “DOKU the Self”, che è stato presentato l’anno scorso alla Biennale. Un vero e proprio film, marcatamente narrativo, di cui Lu Yang ha raccontato la genesi in un’intervista rilasciata alla rivista artnet: “(…) Nel 2020 ho fatto un'esperienza di volo in cui ho provato una meravigliosa estasi così forte da ripercuotersi ancora oggi su ogni momento del mio presente. L'aereo ha attraversato un temporale. Vidi fulmini vicini e lontani, che formavano un angolo verticale rispetto alla città. L'aereo si muoveva su e giù tra tuoni e forti piogge. Ho sentito il fulmine proprio accanto a me, apparire e scomparire tra le nuvole. Altri passeggeri sono stati presi dal panico o hanno urlato, ma io ho guardato fuori dal finestrino, stupita. Ho sperimentato l'estasi, osservando sia il soggetto che l'oggetto. Il tempo era fermo, o non c'era affatto tempo. Lo spazio sembrava non essere più quello che avevo usato per concettualizzarlo. (…) È stato così meraviglioso che volevo saperne di più, quindi ho cercato online per vedere se altri avevano esperienze simili. E ho scoperto che quello che ho provato è molto simile al cosiddetto ‘effetto panoramica’, anche se di solito è sperimentato dagli astronauti nell'universo molto più distante (…)”.

DOKU the Self”, così come in genere le opere dell’artista, si può vedere anche sulla piattaforma Vimeo e sul suo sito (lo trovate anche qui, dopo questo testo, nella versione hd). Durante le esposizioni, però, grazie ai dispositivi messi a disposizione del pubblico e all’altissima risoluzione, l’esperienza dei film è infinitamente migliore. Senza contare che in mostra c’è anche materiale recentissimo.

L’esposizione di Lu Yang, “DOKU Experience Center”, curata da Britta Färber (Global Head of Art di Deutsche Bank ) è in corso al Mudec di Milano /dal 14 settembre a 22 ottobre 2023). Inoltre è possibile curiosare sul sito dell’artista o seguirla attraverso i vari social.

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Heaven, 2022 From the series Bardo #1, UV Inkjet Print on Aluminum Dibond, LED light system Diameter 120 x 4 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Human, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Asura, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Animal, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Hungry Ghost, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Self, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 36 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang, 2023 Foto / Photo: © Wang Shenshen

“Untrue – Unreal”: Anish Kapoor a Palazzo Strozzi si confronta con il Rinascimento tra pugni allo stomaco e pura bellezza

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. Endless Column, 1992; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Già dalla prima mattina il centro di Firenze è gremito, c’è gente di ogni nazionalità. Una coppia di giovani coreani si fa fotografare su Piazza del Duomo: sono eleganti e bellissimi, sembrano i protagonisti di una serie tv e forse lo sono davvero. Chissà se anche Anish Kapoor, durante i giri per le strette vie del capoluogo toscano, è stato scambiato per un comune turista? Anche se lui, nato a Mumbai da padre indiano e madre ebrea- irachena, dopo un periodo trascorso in Israele e una vita vissuta nel Regno Unito, ha trovato nell’Italia una nuova patria (possiede una casa a Venezia, città che da un anno e mezzo ospita il suo studio e, dal 2024, vedrà operativa pure la Fondazione Anish Kapoor a Palazzo Priuli Manfrin).

E poi era a Firenze per presentare la sua ultima, importante, mostra.

Anish Kapoor. Untrue Unreal”, infatti, è stata inaugurata lo scorso fine settimana a Palazzo Strozzi, edificio simbolo del Rinascimento e prestigiosa sede espositiva (prima dell’artista anglo- britannico ci sono state, ad esempio, le personali di: Ai Weiwei, Marina Abramović, Tomás Saraceno, Jeff Koons e Olafur Eliasson). Curata da Arturo Galansino (direttore di Palazzo Strozzi e presidente dell’omonima fondazione), era una mostra attesa, che ha richiesto anni di preparazione e presenta un’attenta selezione di alcune tra le opere più importanti del famoso scultore.

D’altra parte, Sir Anish Mikhail Kapoor, classe 1954, dottore onorario dell’Università di Oxford, dopo aver rappresentato l’Inghilterra alla Biennale di Venezia (che l’ha anche premiato), aver vinto il Turner Prize ed esposto al Tempio Ancestrale Imperiale (alle porte della Città Proibita di Pechino) o in santa sanctorum degli artisti come la Royal Accademy e la Turbine Hall della Tate Modern, ma soprattutto aver completato progetti d’arte pubblica che gli hanno regalato la fama planetaria (come la scultura “Cloud Gate” comunemente chiamata “The Bean”- “Il Fagiolo” ora simbolo di Chicago o “Orbit”, la Torre Archelor Mittal, posizionata al Parco Olimpico di Londra) e un discreto conto in banca (il suo turnover annuo è stimato in oltre 10 milioni di euro), non sembra uomo da accontentarsi con molto meno.

Sulla scia della nostra serie di esposizioni- ha detto Arturo Galansino- dedicate ai maggiori protagonisti dell’arte contemporanea, Kapoor si è confrontato con l’architettura rinascimentale. Il risultato è totalmente originale, quasi una sorta di contrapposizione dialettica, dove simmetria, armonia e rigore sono messi in discussione e i confini tra materiale e immateriale si dissolvono. Nelle geometrie razionali di Palazzo Strozzi, Kapoor ci invita a perdere e ritrovare noi stessi interrogandoci su ciò che è untrue o unreal”.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Minuto, look classico- informale, Anish Kapoor, parla con piglio deciso, ride spesso ma sembra anche capace di spazientirsi velocemente, ha un bell’inglese fluente, garbatamente musicale, da quartieri alti, ma sa anche qualche parola in italiano che non si azzarda però a usare durante un’occasione ufficiale. Il che nel complesso è strano dato che in passato pare abbia sofferto di dislessia.

Il titolo della mostra è ‘Untrue- Unreal’- spiega- Perché ciò che è imperscrutabile e illusorio fa parte dell’essenza di ciò che noi siamo. In fondo in questa vita ci siamo per un tempo molto breve, non sappiamo cosa ci sia prima dell’inizio e cosa dopo a fine e questo fa parte della disperazione della condizione umana che è una costante”.

A Palazzo Strozzi c’è anche un lavoro progettato appositamente per il cortile (“Void Pavillion VII” cioè “Il padiglione del vuoto VII”, realizzato con il sostegno della Fondazione Hillary Merkus Recordati) che è accessibile a tutti gratuitamente.

Si tratta di una stanza totalmente bianca (posta al centro dello spazio delimitato dal loggiato) in cui sono posizionati tre rettangoli più neri del nero. Kapoor li ha dipinti con il famoso Vantablack (ideato dalla ditta britannica Surrey Nanosystems, che poi, suscitando polemiche, lo ha concesso in via esclusiva allo scultore, il quale lo ha rinominato Kapoorblack). Il colore, assorbe fino al 99,965% della luce, ed è più nero di un buco nero. Ne consegue che sia impossibile capire se si stà osservando una superficie bidimensionale, un oggetto o un precipizio.

Come fossero finestre sulla fallibilità dei nostri sensi, sulla piccolezza e inadeguatezza della nostra specie, gli scuri rettangoli, ci conducono in uno spazio psichico sull’orlo dell’abisso. D’altra parte, la paura della morte, le domande sull’esistenza, insieme alla sessualità, sono i temi ricorrenti alla base dell’intera opera di Kapoor (da decenni pratica la meditazione zen oltre ad essere stato a lungo in analisi, cose che l’hanno di sicuro influenzato). Così come la ritualità, i simboli e gli oggetti ideali (quelli che ci sono sempre stati senza bisogno che qualcuno li creasse).

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. To Reflect an Intimate Part of the Red. 1981; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Ma, nel frattempo, Kapoor si interroga anche su altre questioni. Ad esempio, su come sovvertire l’armonica simmetria del palazzo rinascimentale (proiezione di un mondo ideale che non lascia spazio alla sofferenza ma nemmeno alla passione e ai colpi di testa). Dimensione, quindi, poco adatta a tutti gli abitanti della contemporaneità e men che meno a lui che con l’autorità e l’ordine precostituito ha sempre avuto problemi (figlio di un ammiraglio- cartografo e di una sarta- quasi stilista ha avuto prima contrasti con i genitori e poi con l’ambiente provinciale indiano ed israeliano incapace di accettare un apolide).

Void Pavillion VII” ci riesce assecondando la simmetria architettonica, per farla assorbire subito dopo dalle voragini oscure dipinte nelle pareti. Mentre per l’esposizione nel suo complesso l’operazione è stata più complicata. “Ha litigato a lungo con il palazzo!” ha detto con una certa dose di humor, Arturo Galansino.

C’è una successione classica di ambienti- ha, poi, spiegato Kapoor- e la difficoltà nel creare questa mostra è stata proprio nell’assecondare questo flusso, questa successione, ma anche nell’interromperlo o sconvolgerlo. E poi tutta la tematica della mostra è sull’oggetto vuoto ma, essendo io pieno di contraddizioni, gli oggetti che vedete sono pieni. Sono pieni di oscurità, sono pieni di riflessi degli specchi e ovviamente questa è una complicazione. Perché ho voluto crearlo in stanze che sono così classiche anche nel rapporto tra gli oggetti, più o meno piccoli, e l’ampiezza della sala”.

Ad ogni modo gli riesce perfettamente. ll rapporto tra i colori, le superfici, le forme e gli ambienti imprime una curvatura inaspettata al percorso del visitatore, dilatando il tempo, ingannando il colpo d’occhio. La mostra sembra più grande di altre che si sono tenute negli stessi ambienti, pur con un numero uguale o inferiore di opere.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Tuttavia, con attitudine teatrale, Kapoor, cattura l’attenzione del pubblico ma non è indulgente verso di lui. Tanto che la prima opera in mostra è “Svayambhu” (termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente), una massa di cera rossa terribilmente scrivente, montata su una rotaia che si muove lentissimamente ma inesorabilmente da una stanza all’altra, attraversando una porta di poco più grande di lei. Tralasciando i rimandi alla carnalità espliciti e violenti che possono suscitare impressione, l’opera non perdona: il visitatore che si avvicina troppo si macchierà scarpe o abiti e dovrà buttare tutto nell’immondizia.

Lo è di più con l’architettura. Le sale risultano abbellite dai pigmenti vivi di opere come “To Reflect an Intimate Part of the Red” o “Endless Column” (in cui le cromie si accumulano alla base delle sculture facendo pensare di rivestire oggetti invisibili o fatti direttamente con polvere colorata) ma anche quando incontrano le sue sculture riflettenti (in mostra ce ne sono parecchie). Forme, spesso concave, prive di linee di saldatura, che restituiscono la realtà in maniera molto originale (deformano, rovesciano, fanno apparire e scomparire le persone senza motivo) mentre valorizzano invariabilmente gli ambienti in cui vengono esposte.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Vertigo, 2006, acciaio inossidabile cm 225 × 480 × 60; Mirror, 2018, acciaio inossidabile cm 195 × 195 × 25; Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300  ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

E se “Angel”, composta da grandi pietre di ardesia che sembrano leggere ricoperte come sono da strati di un pigmento blu intenso, quasi ultraterreno, suggerisce pace e dà l’impressione di ammirare dei frammenti di cielo caduti, la serie in cui usa resine e pittura abbinata ai titoli (sempre, comunque, centrali nel lavoro di Kapoor) può arrivare a suscitare disgusto. Stesso discorso per la sessuale “A Blackish Fluid Excavation”..

La mostra “ Untrue Unreal” di Anish Kapoor, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 4 febbraio 2024.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Angel, 1990 ardesia, pigmento ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Sala 6: Tongue Memory, 2016 silicone, vernice, cm 250 × 130 × 70 Today You Will Be in Paradise 2016 silicone, vernice cm 250 × 195 × 45 Three Days of Mourning 2016 silicone, tecnica mista, vernice cm 250 × 120 × 70 First Milk, 2015, silicone, fibra di vetro, vernice ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Gathering Clouds, 2014 fibra di vetro, vernice cm 188 × 188 × 39 ciascuno ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Gathering Clouds, 2014 fibra di vetro, vernice cm 188 × 188 × 39 ciascuno ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Vertigo, 2006, acciaio inossidabile cm 225 × 480 × 60; Mirror, 2018, acciaio inossidabile cm 195 × 195 × 25; Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300  ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Sala 6: A Blackish Fluid Excavation, 2018 acciaio, resina cm 150 × 140 × 740 Tongue Memory, 2016 silicone, vernice, cm 250 × 130 × 70 Today You Will Be in Paradise 2016 silicone, vernice cm 250 × 195 × 45 Three Days of Mourning 2016 silicone, tecnica mista, vernice cm 250 × 120 × 70 First Milk, 2015, silicone, fibra di vetro, vernice ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio