Tra colori acidi e momenti da incubo sci-fi Luisa Gagliardi al MASI di Lugano

Louisa Gagliardi Night Caps 2022 Pittura gel e inchiostro su PVC Collezione privata, Basilea © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

 In un quadro (“Deluge”) una donna si guarda riflessa nel soffione metallico della doccia, mentre le gocce d’acqua le piovono addosso: l’atmosfera è disturbante, lo spettatore viene messo (a viva forza) nei panni della protagonista e non gli calzano affatto. In un’altra (“Night Caps”), chi guarda si trova sovrastato da funghi altissimi, con ogni probabilità velenosi (e allucinogeni), sulla cui sommità si chinano tre volti, sovrastati dalla luna; anche qui non se la passa bene: perché quei tre sguardi puntati su di lui non promettono niente di buono.

D’altra parte Luisa Gagliardi, l’artista svizzera che ha pazientemente composto queste e molte altre opere dello stesso tenore, ha spesso dichiarato che considera l’osservatore parte fondamentale della sua poetica. L’unico in grado di attivarne l’universo.

Non che la signora Gagliardi abbia una vena sadica ma ritiene fondamentale alzare la soglia di attenzione del pubblico; coinvolgendolo direttamente nell’atmosfera misteriosamente contemporanea, sapientemente tinta di note sci-fi, di quelli che potrebbero sembrare dipinti ma che in realtà sono elaborazioni digitali. Con espedienti da fim o da serie TV di alto livello (pure se il mix di riferimenti a cui attinge è ben più vasto e spazia fino alla storia dell’arte meno recente).

Nata a Sion (nel cantone vallese, non lontanissimo dal confine italiano della Val d’Aosta) nell’89, Luisa Gagliardi (che adesso vive a Zurigo), dalla scorsa settimana è protagonista di una mostra al Museo della Svizzera Italiana di Lugano (il MASI). La personale, intitolata “Many Moons”, si dipana negli ampi ed immacolati spazi del LAC (la sede in vetro e cemento affacciata direttamente sul lago), e comprende due nuovi cicli pittorici monumentali oltre ad una serie di sculture create per l’occasione. E’ pure un’iniziativa importante, persino sontuosa, da dedicare ad un’artista ancora relativamente giovane. E, malgrado non costituisca una mossa inconsueta per l’istituzione svizzera, dimostra l’interesse (anche commerciale) suscitato dal suo lavoro.

Louisa Gagliardi Roundabout 2023 Smalto per unghie, pittura gel e inchiostro su PVC Ringier Collection, Switzerland © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

Le scene immaginate dalla signora Gagliardi piacciono. Un po’ metafisiche un po’ surreali, un po’ psicologiche un po’ fantascientifiche, possono sembrare fin troppo accondiscendenti verso il gusto dei più. Tant’è vero che ad Art Basel (la famosa fiera svizzera che lei conosce e frequenta fin da bambina perché figlia di appassionati d’arte e di cui ha detto: "Si tratta di 7 giorni di importanti momenti condensati e tutti, galleristi, collezionisti e critici, sono lì. E sei circondata da tutti i tuoi idoli") lo spazio a lei concesso non ha fatto altro che crescere (come le sue quotazioni, non stratosferiche ma già piuttosto sostenute). Tuttavia in lei c’è di più. Sia nei soggetti che introducono soluzioni innovative (stranamente, visto quanto le atmosfere messe in scena siano state sfruttate nel tempo), che nello stile. L’artista, infatti, non si limita a dipingere ma simula la pittura con i media digitali (estendendone il campo d’applicazione e mettendone in discussione il concetto). Come prima cosa fa un bozzetto, poi sviluppa digitalmente un’immagine che raffina e completa passo a passo fino a stamparla su vinile, a quel punto interviene con gel trasparenti, vernici, glitter e smalti per unghie economici. A finire un singolo lavoro ci mette circa un anno.

La curatrice di “Many Moons”, Francesca Benini, ha spiegato: “La qualità ibrida delle opere di Louisa Gagliardi rappresenta in fondo perfettamente lo spazio in cui oggi avviene l’esperienza umana, nel quale i confini tra concreto e virtuale, tra intimità e visibilità, tra appartenenza e alienazione, tra voyeurismo ed esibizionismo, si confondono

Storicamente le innovazioni tecnologiche sono accolte in modo ambiguo: da una parte stupiscono, confortano persino, dall’altra suscitano apprensione e paura. Forse per questo le opere della signora Gagliardi, mentre lucide di smalto per unghie su PVC sfoggiano una tavolozza acida applicata a bizzarri soggetti sovradimensionati, sono così cariche d’inquietudine. Probabilmente sono proprio la digitalizzazione di massa e l’imporsi dell’intelligenza artificiale (che hanno accompagnato il percorso dell’artista svizzera dai primi anni 2000 fino ad oggi), la chiave di lettura di un mondo che riesce a sovrapporre momenti degni di “Black Mirror” alla quotidianità.

Non a caso parla spesso del confine che separa il sé riflesso dallo schermo dello smartphone da quello reale. Altri lavori, invece, evocano la catastrofe ecologica o semplicemente il conflittuale rapporto che passa tra una società civilizzata e natura. Mentre il campo del controllo attraverso la tecnologia si insinua in un ampio numero di opere.

In merito Benini ha aggiunto: “L'ambiguità tra realtà e rappresentazione è un tema centrale nella ricerca artistica di Louisa Gagliardi. L’atto di creare un mondo alternativo attraverso la pittura, nel quale entrare visivamente, si lega inevitabilmente alla capacità dei mezzi digitali di estendere lo spazio vitale e generare una realtà parallela, quest’ultima abitabile non solo idealmente

C’è poi un aspetto psicologico atemporale che attinge a paure varie come quella dell’ignoto, o quella di attrarre l’attenzione di potenziali predatori, fino ad una vaga minaccia al senso d’identità dell’osservatore. Oltre al fatto che i dipinti dell’artista svizzera sono fotogrammi di storie a noi sconosciute e non necessariamente destinate ad avere un happy end.

La mostra “Many Moons” di Luisa Gagliardi rimarrà al MASI di Lugano fino al 20 luglio 2025.

Louisa Gagliardi Birds of a Feather 2023 Smalto per unghie e inchiostro su PVC Collezione privata, Austria © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

Veduta dell’allestimento, “Louisa Gagliardi: Many Moons”, MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © the artist

Louisa Gagliardi Chaperons 2023 Pittura gel e inchiostro su PVC Ringier Collection, Switzerland © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

Veduta dell’allestimento, “Louisa Gagliardi: Many Moons”, MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © the artist

Louisa Gagliardi Cascade 2023 Pittura gel e inchiostro su PVC Collection Pictet © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

Veduta dell’allestimento, “Louisa Gagliardi: Many Moons”, MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © the artist

Louisa Gagliardi Visitors 2024 Pittura gel e inchiostro su PVC Galerie Eva Presenhuber, Eva Presenhuber, Zürich © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

Veduta dell’allestimento, “Louisa Gagliardi: Many Moons”, MASI Lugano, Svizzera. Foto Luca Meneghel © the artist

Louisa Gagliardi Revealing 2022 Pittura gel, smalto per unghie e inchiostro su PVC Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano. Collezione Città di Lugano © the artist Foto: Stefan Altenburger Photography, Zürich

Luisa Gagliardi fotografata accanto a una sua opera Courtesy the artist and Galerie Eva Presenhuber Photo: Gertraud Presenhuber

Vera Molnar, la donna che ha anticipato di oltre 50 anni l'uso dell'intelligenza artificiale nell'arte

Vera MOLNAR (1924-2023) Hypertransformation /Diptyque I-II/ (Hypertransformation /Diptych I-II/) 1974-1979 canvas, vinyl 147 × 150 cm; 147,5 × 150 cm courtesy of the Hungarian Museum of Fine Arts – Hungarian National Gallery

Pioniere dell’arte generativa e della computer-art, Vera Molnar, morta a Parigi il 7 dicembre scorso avrebbe compiuto 100 anni nemmeno un mese dopo (il 5 gennaio 2024). Malgrado a Molnar interessasse poco o niente delle questioni socio-politiche e degli interrogativi fantascientifico- filosofici di cui siamo abituati a sentir parlare in merito all’intelligenza artificiale, il suo lavoro anticipa largamente l’uso dell’IA nel campo delle arti visive. Molnar, infatti, si è servita di un computer per fare arte dal 1968 (per riuscirci ha dovuto imparare a programmare), ma già prima utilizzava delle “macchine immaginarie” (cioè semplici algoritmi che guidavano il posizionamento manuale di linee e forme sulla carta a quadretti). Questa spinta all’innovazione non l’avrebbe mai abbandonata: nel 2022, quando ha ideato il suo primo NFT aveva 98 anni.

Eppure diceva spesso: “La cosa che più mi piace è vedere una matita correre su un foglio di carta e seguirla. Di tanto in tanto puoi fermarti e cancellarla”.

A febbraio due importanti mostre celebreranno la sua arte: “A’ La Recherche de Vera Molnar” nella sede di Budapest del Ludwing Museum e “Speaking to the eye” al Centre Pompidou di Parigi.

Vera MOLNAR (1924-2023) Lent Mouvement Giratoire (Slow Circular Motion), 1957-2013 acrylic on canvas 80 x 80 cm courtesy of MNB Arts and Culture

Le sedi delle esposizioni non sono casuali ma frutto della biografia dell’artista, che, nata in Ungheria da una famiglia benestante, si trasferisce a Parigi nel’47 (dopo aver trascorso sei mesi a Roma per una borsa di studio). Non se ne sarebbe mai andata.

D’altra parte l’idea di abbandonare il suo paese natale ce l’aveva da parecchio: “Ricordo- ha detto in un’intervista alla Brown University- che una mattina, quando avevo 16 anni, dissi: ‘Mamma, ci sono alcune cose che voglio dirti: primo, non voglio suonare il piano, voglio dipingere. Non voglio andare in chiesa. Non voglio indossare gli occhiali. E infine… voglio rifarmi la vita in Francia’. La mia povera madre, è stata colpita tutto in una volta. Ma era una donna intelligente. Mi ha detto: ‘Va bene, c'è una cosa che non è negoziabile, sono gli occhiali. Hai una brutta miopia e verrai schiacciata da un'auto. Del resto parleremo al tuo ritorno da scuola. Ora mettiti gli occhiali’.” E poi Parigi non sarebbe stata avara con lei: lì conoscerà artisti che sarebbero stati centrali per la sua formazione, come Michel Seuphor , Félix del Marle , Georges Vantongerloo , Constantino Brancusi , Auguste Herbin , Étienne Hadju e soprattutto Sonia Delaunay (da cui avrebbe ricevuto dei preziosi incoraggiamenti); sempre nella capitale francese sarà l’unica co-fondatrice donna tra gli esponenti del GRAV (Group de Recherche d’Art Visuel), tra il 1961 e il 1968.

Vera MOLNAR (1924-2023) Electra, 1983 ink on paper 29,5 x 42 cm courtesy of MNB Arts and Culture

In Ungheria, invece, si era laureata in estetica e storia dell’Arte presso l’Università Ungherese di Belle Arti, e aveva incontrato il marito François Molnàr (psicologo e ricercatore, per un periodo era stato artista a sua volta e occasionalmente aveva collaborato con la moglie), di cui aveva scelto di usare il cognome quando faceva arte. Lei però si chiamava Vera Gacs e aveva deciso di dipingere già da bambina, mentre guardava un suo zio, pittore a tempo perso. In seguito avrebbe detto, che però, la sua vera epifania, sarebbe arrivata solo con la scoperta del Cubismo (Picasso rimarrà un suo idolo e il Mont Saint-Victoire di Cézanne comparirà in intere serie di sue opere).

Vera MOLNAR (1924-2023) Un Carré Round (Squaring the Circle) 1962-1964 oil on canvas 110 x 110 cm courtesy of MNB Arts and Culture

Malgrado Molnar fosse affascinata dalle forme create dall’uomo e si servisse di un computer per lavorare, la sua opera è molto varia e visivamente piacevole. Usava per lo più colori primari.

Al centro della sua ricerca il tentativo di razionalizzare il caos, destrutturarlo, aumentarlo gradualmente in un ambiente controllato (come se i lavori fossero esperimenti veri e propri), trovare il perfetto equilibrio tra ordine e disordine. Questo dà alla sua opera una forte valenza simbolica (il caos rappresenta la vita, il fato, i sentimenti, mentre le forme o l’ordine delle linee a cui viene applicato sono il cerebrale, l’idea, l’ideale ecc.). Non a caso Molnar amava molto anche le trasformazioni e cercava di individuare il preciso momento in cui accadevano (per esempio, quello in cui un rettangolo diventa un trapezio, o un quadrato un rettangolo). Il suo lavoro però, a momenti, lascia filtrare anche scampoli della vita, delle passioni e dei sentimenti di Vera. E’ il caso di “Lettres à ma mère” (1981-1990) in cui l’artista rievoca attraverso i disegni del computer le forme della calligrafia della madre e il loro variare nel corso degli anni (il non detto, la forza dei legami a prescindere dalle parole, l’effetto dello scorrere del tempo sulle persone, sono tutti argomenti che quest’opera tratta).

In genere, ad ogni modo, il lavoro di Vera Molnar non è affatto freddo ma anzi in qualche modo profondamente poetico, perché ha (anche) a che fare con le parole non pronunciate, le stravaganze, e con quella parte dell’esperienza che non si tramuta in memoria consapevole.

Vera MOLNAR (1924-2023) Electra, 1983 ink on paper 29,5 x 42 cm courtesy of MNB Arts and Culture

La sua opera fin dall’inizio si situa nel solco dell’arte concreta e affonda le radici nel vivace ambiente artistico parigino di quegli anni (lo aveva ricordato lo scomparso maestro dell’Op Art Carlos Cruz-Diez, di origini venezuelano ma a sua volta parigino per scelta). Mentre l’impegno pionieristico nell’arte generativa non solo è straordinario ma ai tempi venne accolto con non poco scetticismo. Infatti, quando nel ’68 Molnar si è presentata al capo del laboratorio informatico da cui avrebbe ottenuto l’accesso al suo primo computer, dicendogli che intendeva usarlo per fare arte, l’uomo (ha ricordato più volte l’artista): “Mi ha dato un’occhiata e ho avuto la sensazione che stesse valutando se chiamare un’infermiera per sedarmi o rinchiudermi”.

Va infine detto che ai tempi usare un computer era tutt’altro che semplice: era necessario imparare i primi linguaggi informatici come Fortran e Basic e inserire i dati nella macchina con schede perforate. Nonostante ciò Molnar ha affermato: “Il grande giorno della mia vita è stato quando abbiamo ricevuto un computer a casa. Ci siamo addormentati la notte al rumore del tavolo del plotter, qualcuno lavora al tuo posto, uno schiavo che non è iscritto al sindacato, che non vuole andare in vacanza e che fa tutto quello che gli chiedo!

A’ La Recherche de Vera Molnar” nella sede di Budapest del Ludwing Museum curata da Richard Castelli  e Zsófia Máté, si inaugurerà il 10 febbraio (fino al 14 aprile 2024). La mostra sarà la prima di un tour internazionale di esposizioni dedicate ai più influenti pionieri della computer-art dal polo museale tedesco. “Speaking to the eye” al Centre Pompidou di Parigi si terrà, invece, dal 28 febbraio al 26 agosto 2024

Vera MOLNAR (1924-2023) Hypertransformation /Diptyque I-II/ (Hypertransformation /Diptych I-II/) 1974-1979 canvas, vinyl 147 × 150 cm; 147,5 × 150 cm courtesy of the Hungarian Museum of Fine Arts – Hungarian National Gallery

Vera MOLNAR (1924-2023) Portrait © Horváth László

Ludwig Museum Budapest Outside view Photo: Balázs GLÓDI © Ludwig Museum – Museum of Contemporary Art

Il mondo antico e avveniristico di Lu Yang, che cerca l’anonimato e va in estasi durante una spaventosa turbolenza aerea

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

Ispirata alla religione e alla scienza ma anche alla fantascienza, ai videogiochi e ai manga l’opera dell’artista cinese, Lu Yang, è psichedelica, energica, inquietante, un po’ horror un po’ gioiosa e, occasionalmente, raccapricciante. Si tratta per lo più di corti, mediometraggi e immagini in CGI (anche se non è estranea alla pittura), che oscillano dall’impianto narrativo di un vero e proprio film, a quello di un video musicale, senza dimenticare di fare un salto per il format dei giochi elettronici. C’è tanta musica (molto coinvolgente) e i protagonisti (che hanno tutti il volto di Lu Yang) ballano parecchio. Oltre a trovarsi ad affrontare situazioni strane, paradossali e grottesche (per esempio: un camion decorato che sfreccia nell’aldilà; un paziente che si fa fare un esorcismo con la stimolazione magnetica transcranica; un supereroe su un assorbente alato cerca di salvare il mondo, usando un neonato attaccato al cordone ombelicale, come mazza). Sono tutti senza genere e hanno trucco, acconciatura ed abbigliamento appariscenti; a volte sono vestiti come divinità induiste (ma con rifiniture al neon per un tocco sci-fi che non può mancare).

Tuttavia, malgrado il gusto marcatamente vistoso, l’opera di Lu Yang, non deve ingannare. L’artista, in fondo, si occupa di temi vecchi come il mondo: la vita, la morte, la decadenza e l’impossibilità di controllare le trasformazioni biologiche, la sede dell’anima. Spesso inserita in mostre sul post-umano, Lu, aggiunge a questo canovaccio interrogativi più contemporanei come quelli sull’esistenza digitale, sul corpo, l’identità e il tempo nel quadro pixelato di uno schermo. Oltre a riflessioni estemporanee, che la sua curiosità e il suo vulcanico genio creativo le suggeriscono.

Ed è proprio questo matrimonio tra passato e presente, uno dei punti forti del suo lavoro. In cui l’influenza della cultura buddista, elementi di medicina cinese, studi sulle neuroscienze, informatica, estetica e divinità induiste, oltre a un’infinità pressoché illimitata di cenni pop, coesistono armoniosamente.

41 anni, Lu Yang, vive e lavora a Shangai con il suo carlino Biabia (di cui condivide spesso immagini sul suo account instagram), dice di non uscire frequentemente e di sentirsi a disagio nelle occasioni di ritrovo che la sua professione richiede. Non le piace stare sotto i riflettori, anzi ricerca l’anonimato ed è per questo che non ama rilasciare interviste, farsi fotografare e dare un genere ai suoi avatar digitali. Preferisce passare il tempo al computer. Anche se ultimamente si è trovata a dover abbandonare sempre più spesso la sua confort zone. Perché Lu Yang stà diventando un artista famosa; anche in occidente, dopo aver conquistato un vasto pubblico in patria.

Una volta- ha scritto di recente- ho letto una teoria da un libro, parla di come cerchi di ottenere le cose essendo molto più dedicato e determinato di chiunque altro. Con quella quantità di dedizione e determinazione, l'universo sarà sincronizzato con te e il potere della tua volontà, quindi l'universo utilizzerà ogni risorsa che può comandare per aiutarti a raggiungere il tuo obiettivo”.

Lo scorso anno ha partecipato alla 59esima Biennale di Venezia, ha esposto in vari musei in giro per il mondo ma si è anche aggiudicata l’undicesima edizione del premio “Artist of the Year” della Deutsche Bank, che le ha fruttato una mostra al Palais Populaire di Berlino. Oltre a una personale che ha inaugurato lo scorso 14 settembre al Mudec di Milano.

Si intitola “DOKU Experience Center”, dal nome del nome dell’avatar digitale prediletto dell’artista (Dokusho Dokushi, o DOKU in breve), o meglio, dalla reincarnazione digitale che la rappresenta in maniera più completa. Ma ci sono anche gli altri:

L’esposizione- spiega il Mudec- mette così in scena insieme e per la prima volta i sei diversi avatar creati da Lu Yang – Human, Heaven, Asura, Animal, Hungry Ghost, Hell – che incarnano i sei regni di rinascita del Samsara, la ruota karmica della vita che simboleggia l'eterno ciclo di nascita, morte e reincarnazione”.

Tra le opere c’è anche il video “DOKU the Self”, che è stato presentato l’anno scorso alla Biennale. Un vero e proprio film, marcatamente narrativo, di cui Lu Yang ha raccontato la genesi in un’intervista rilasciata alla rivista artnet: “(…) Nel 2020 ho fatto un'esperienza di volo in cui ho provato una meravigliosa estasi così forte da ripercuotersi ancora oggi su ogni momento del mio presente. L'aereo ha attraversato un temporale. Vidi fulmini vicini e lontani, che formavano un angolo verticale rispetto alla città. L'aereo si muoveva su e giù tra tuoni e forti piogge. Ho sentito il fulmine proprio accanto a me, apparire e scomparire tra le nuvole. Altri passeggeri sono stati presi dal panico o hanno urlato, ma io ho guardato fuori dal finestrino, stupita. Ho sperimentato l'estasi, osservando sia il soggetto che l'oggetto. Il tempo era fermo, o non c'era affatto tempo. Lo spazio sembrava non essere più quello che avevo usato per concettualizzarlo. (…) È stato così meraviglioso che volevo saperne di più, quindi ho cercato online per vedere se altri avevano esperienze simili. E ho scoperto che quello che ho provato è molto simile al cosiddetto ‘effetto panoramica’, anche se di solito è sperimentato dagli astronauti nell'universo molto più distante (…)”.

DOKU the Self”, così come in genere le opere dell’artista, si può vedere anche sulla piattaforma Vimeo e sul suo sito (lo trovate anche qui, dopo questo testo, nella versione hd). Durante le esposizioni, però, grazie ai dispositivi messi a disposizione del pubblico e all’altissima risoluzione, l’esperienza dei film è infinitamente migliore. Senza contare che in mostra c’è anche materiale recentissimo.

L’esposizione di Lu Yang, “DOKU Experience Center”, curata da Britta Färber (Global Head of Art di Deutsche Bank ) è in corso al Mudec di Milano /dal 14 settembre a 22 ottobre 2023). Inoltre è possibile curiosare sul sito dell’artista o seguirla attraverso i vari social.

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Heaven, 2022 From the series Bardo #1, UV Inkjet Print on Aluminum Dibond, LED light system Diameter 120 x 4 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Human, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Asura, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Animal, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Hungry Ghost, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Self, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 36 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang, 2023 Foto / Photo: © Wang Shenshen