Perché festeggiare l’incoronazione di Re Carlo III guardando le opere degli Young British Artists

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

A volte per affrontare il futuro è necessario guardare al passato. E forse, per festeggiare in Italia l’incoronazione di Re Carlo III (avvenuta sabato), una buona idea potrebbe essere quella riguardare i cattivi ragazzi dell’arte contemporanea britannica degli anni ’90. Nella mostra “Reaching for the stars”, che celebra il trentennale della Fondazione Re Rebaudengo di Torino con una sontuosa selezione di opere esposte a Palazzo Strozzi di Firenze, ce ne sono ben cinque (o meglio quattro più uno): Anish Kapoor (Turner Prize del ’91, ha fatto una importante mostra pochi anni fa alla Royal Academy of Arts di Londra fondata da Re Giorgio III nel 1768), Sarah Lucas, Glenn Brown, Cerith Wyn Evans. E naturalmente Damien Hirst che, tra le altre cose, ha realizzato un ritratto della Regina Elisabetta II (conservato alla Government Art Collection, è uno dei suoi pochi ritratti, si intitola “Beautiful Portrait, The Queen”).

Potrebbe essere una buona idea, perché l’ormai Re Carlo III, che oltre ad avere un Bachelor of Arts, è un pittore paesaggista dilettante (non vende mai gli originali, ma da molti anni raccoglie denaro per la sua fondazione di beneficenza con delle stampe firmate in edizione limitata, ad un prezzo che, tempo fa, arriva fino a 15mila sterline; si stima che ne abbia vendute per diversi milioni). Ma soprattutto perché la parabola degli Young British Artists, a tratti e in qualche misura, si intreccia a quella della monarchia britannica. Non a caso, molti di loro sono poi diventati accademici reali (cioè membri a vita della Royal Academy of Arts) .

Una delle tappe fondamentali nella consacrazione degli YBAs (Young British Artists), anche se la loro prima esposizione è dell’88, sarà la mostra “Sensation”, alla Royal Accademy of Arts, del ’97 (lo stesso in cui morì Lady Diana). Ma i parallelismi, tutti per fortuna meno drammatici, sono molti di più, visto che gli YBAs sono diventati famosi a tutti i livelli (dal circuito dell’arte, alla televisione, fino ai pubs ed alle strade) proprio mentre il futuro Re e la monarchia affrontavano una serie di vicissitudini ormai passate alla Storia. E dopo gli scossoni è venuto il tempo della stabilizzazione sia per la famiglia reale che per il manipolo di artisti di rottura capitanati da Damien Hirst.

Reaching for the stars” ha una sezione a loro dedicata (si intitola “Good Save the Queen, visto che le opere in mostra sono tutte precedenti alla morte della sovrana), che ha il pregio di condensare, almeno in parte, il fermento della scena artistica inglese di quegli anni. D’altra parte la passione per il collezionismo di Patrizia Sandretto Rerebaudengo (creatrice e presidente dell’omonima fondazione) nasce proprio a Londra negli anni ’90.

Sarah Lucas (Londra, UK, 1962, dove vive e lavora) Nice Tits, 2011 collant, lanugine, rete metallica, cemento; cm 208 x 160 x 60 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Tra loro Sarah Lucas, che ha rappresentato la Gran Bretagna alla 56a Biennale di Venezia. Adesso vive nella pacifica campagna inglese, ma agli esordi della carriera era una figura trasgressiva dalla vita tumultuosa e la sbronza facile. Amica di Damien Hirst, per cui tutt’oggi spende parole di elogio, ha un lavoro focalizzato sugli stereotipi di genere e la loro sovversione. Decisamente femminista, accosta momenti della scultura tradizionale ad elementi apparentemente fuori contesto e provocatori. Alcune sue opere sono conservate alla National Portrait Gallery di Londra, dove l’anno di ognuna è accostato agli eventi più salienti nazionali ed internazionali, comprese le vicende della Royal Family.

Glenn Brown (Hexham, UK, 1966, vive e lavora a Londra) Ariane 5, 1997 olio su tela, montato su cartone; cm 91 x 72 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Maurizio Elia

Glenn Brown, nominato Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico (CBE) per il suo servizio nelle arti, in occasione del compleanno della Regina Elisabetta II del 2019, è un pittore virtuoso e geniale. Le sue opere, a volte inquietanti spesso macabre, sono rielaborazioni di famosi dipinti degli antichi maestri. Lui, infatti, le riproduce in maniera maniacale, attraverso un controllo del gesto pittorico che ha dell’incredibile. Oggi, con l’aiuto di photoshop, tra le altre cose è riuscito a trasformare in scultura delle tele di Baselitz a cui ha poi applicato i colori delle ballerine di Degas (i risultati, dopo vari e sottili rimaneggiamenti, cambiano il registro delle immagini al punto di farle scivolare nel macabro). In mostra a Firenze però c’è un lavoro precedente: “Ariane 5”, del ’97. Qui Brown, si ispira alla tela del 1875 in cui il pittore romantico ungherese, Bertalan Székely, ritrae il figlioletto Armin morto prematuramente. Brown, pur nella paziente riproduzione di ogni singola pennellata di Székely, modifica il dipinto (è alla rovescia, il tono è freddo, le sopracciglia e lo sguardo del bimbo sono diversi) rendendolo non macabro, questa volta, ma inquietante.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Sull’indiano-britannico, Anish Kapoor, c’è poco da aggiungere se non che ha progettato il memoriale per lady Diana al centro del Serpentine Lake in Kensington Gardens. A Palazzo Strozzi c’è un’opera di una delle sue serie più famose (“1000 Names”). Kapoor, ispirato da un viaggio in India in cui vede l’Holi, la festa primaverile dei colori, applica pigmenti dai colori primari vivi e intensissimi (qui il rosso) su forme astratte, posizionate in maniera apparentemente instabile nello spazio, per generare riflessioni su temi diversi spesso universali.

Cerith Wyn Evans (Llanelli, UK, 1958, vive e lavora a Londra) In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni, 1999 neon, plexiglass; cm 13 x 142 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Andrea Rossetti

Di Cerith Wyn Evans, alla National Portrait Gallery, c’è un ritratto (gliel’ha fatto il fotografo Johnnie Shand Kydd) scattato quando l’allora principe Carlo e Lady Diana finalizzarono il loro divorzio. D’altra parte Wyn Evans, diverso dagli altri sia nello stile di vita che nel lavoro, non è uno YBAs. E’ comunque anche lui in mostra a Firenze (il Pirelli Hangar Bicocca gli ha dedicato un’importante personale nel 2019) dove presenta uno dei suoi neon circolari con scritti dei palindromi (frasi che si possono leggere sia in un senso che nell’altro). E’ un opera concettuale, che si guarda dal basso girandogli attorno, che apre varie riflessioni non ultima quella sulla passione per l’arte.

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great, 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

E poi c’è Damien Hirst.

Il controverso e famosissimo artista inglese (recentemente è stato al centro di un fatto di cronaca e ha presentato una nuova serie di Nft), alla fine di aprile, ad un passo dal coronation day, ha installato “Demon with Bowl” la più grande opera della serie “Treasures from the wreck of the unbelievable” sul percorso panoramico londinese The Tide, qui è presente con due opere del suo periodo d’oro. C’è, infatti, un bel dipinto delle serie Butterfly (“Love is Great” del ’94) in cui le fragili ali delle farfalle (vere) mentre a noi sembrano volteggiare, sono inesorabilmente imprigionate dalla vischiosa vernice azzurra che ricopre la tela. Meno cinica ma sempre venata di humor nerissimo anche la scultura “The Acquired Inbility to Escape, Inverted and Divided” (“L’acquisita incapacità di scappare, invertita e divisa”) del ’93. Qui un grande titolo ci introduce ad una gabbia di spesso vetro e barre d’acciaio, al soffitto una scrivania e una sedia per ufficio (la visione è, appunto, invertita) sul tavolo c’è anche un posacenere pieno di mozziconi e un pacchetto di sigarette. Anche tra la seggiola e la scrivania c’è poco spazio, l’atmosfera nell’ufficietto non è proprio ridente, insomma. Le sigarette, poi, tornano spesso nel lavoro di Hirst, che intervistato sull’argomento ha detto che il sono una parabola della vita (il pacchetto la nascita, i mozziconi nel posacenere la morte.

Reaching for the stars”, curata da Arturo Galasino, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 18 giugno 2023. E va vista (almeno il primo capitolo), rigorosamente canticchiando “God save the King”.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great (particolare), 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

David Popa, che realizza giganteschi ed effimeri graffiti sulle lastre di ghiaccio alla deriva

“Mirage” All images © David Popa via Colossal

Di orgini newyorkesi, l’artista David Popa, vive in Finlandia, dove ha sviluppato un modo del tutto personale di fare street-art. Realizza, infatti, dei grandi graffiti in mezzo alla natura selvaggia del nord Europa. Su scogli, campi, ma soprattutto lastre di ghiaccio alla deriva.

Popa, sul suo sito web, ha scritto di essere figlio di uno dei primi a scrivere del Graffitsmo. Cresciuto con la passione per la street-art, ha finito per coniugarla con l’amore per gli spazi aperti e l’avventura. Le opere di Popa, in particolare quelle tracciate sul ghiaccio, richiedono una buona dose di coraggio. Dopo una ricognizione attraverso un drone, infatti, l’artista, si muove direttamente sulla superficie ghiacciata sul punto di sciogliersi.

Su instagram ha raccontato, a proposito di un lavoro recente: "L'anno scorso in Finlandia abbiamo avuto alcune sporadiche settimane fredde con alcuni giorni molto più caldi, causando la frattura del ghiaccio e la formazione di bellissime forme intorno alla costa. Questo giorno specifico (quello in cui ha realizzato l’opera in questione ndr) è stato impegnativo poiché la temperatura era sopra lo zero, causando lo scioglimento della superficie e la formazione di ristagni d'acqua mentre lavoravo. Tuttavia è stato questo tipo di tempo che ha fatto sì che l'acqua si accumulasse un po' al di fuori delle varie fratture nel ghiaccio, consentendo alla neve alla deriva di aderire al bordo delle fessure, così si è verificato un fenomeno molto simile (almeno in apparenza) a ciò che succede alla pietra e che viene chiamato venatura. Un processo in cui le vene sono formate da minerali cristallizzati depositati dall'acqua che scorre attraverso la pietra ed evapora. Quando ho fatto volare il mio drone, sapevo che ci sarebbe stata la possibilità di utilizzare queste bellissime striature lungo il ghiaccio per delineare un ritratto, quasi come se uno spirito stesse attraversando la superficie del ghiaccio".

Popa usa solo colori naturali, per non alterare in alcun modo l’acqua, a cui i suoi graffiti ritornano velocemente. In genere si tratta di gesso bianco della regione di Champagne-Ardenne in Francia, ma anche ocre francesi ed italiane. Oltre al carbone in polvere che produce lui stesso e che purifica l’acqua anzichè inquinarla.

D’altra parte è cmprensibile che Popa si preoccupi di non alterare l’ecosistema in cui lavora, visto che le sue opere non possono fare a meno di parlarci della bellezza della natura, dei ritmi ineludibili della ciclicità stagionale a cui tutti gli esseri (umani compresi) sono legati. Ed anche ovviamente di ecologia e cambiamenti del clima.

Un’altra caratteristica delle opere dell’artista di origine statunitense, è la fragilità, il loro essere estremamente effimere. Nel giro di un giorno, se non di poche ore, dei graffiti non restano che fotografie scattate dall’alto (con un drone). Come sottolinea Popa stesso: "Quando lavoro sul ghiaccio spesso mi sembra di lavorare in una capsula del tempo, come se potessi assistere all'erosione del tempo davanti ai miei occhi, dove persino il grande dio del sole Apollo è ridotto a resti al calare della notte".

L’opera, durante la sua breve vita, è anche permeabile ai cambiamenti dell’ambiente circostante, alle condizioni di luce nel momento in cui vengono scattate le fotografie ed alle sollecitazioni incontrate dall’artista nell’atto di dipingere. In questo modo, è talmente legata al paesaggio da divenatarne parte integrante.

Spesso l’artista usa il nome di antiche divinità per intitolare le sue opere. In questo modo fa riferimento all’inarrestabile scorrere del tempo, a volte all’immutabile forza degli elementi, ma soprattutto al modo diverso in cui viene percepita la bellezza oggi rispetto ad altre epoche.

David Popa, vende le stampe delle fotografie delle sue fragili opere in edizione limitata (una nuova sarà disponibile il mese prossimo) e degli Nft che catturano il lavoro dell’artista stesso. Si possono vedere altre sue opere sul sito internet ma anche sull’account instagram.

“Fractured”

“Redemption”

“Bemuse.”

Da domani tra paradosso e meraviglia “Oltre la Soglia” la grande mostra di Leandro Erlich a Palazzo Reale di Milano

Leandro Erlich, Changing rooms (2008) Paneling, stools, golden frames, mirrors, curtains, carpet and lights Dimensions variable

Ingannevole, ironica e poetica, l’arte di Leandro Erlich, tramuta l’ordinario in straordinario, inverte il rapporto reale-immaginario e rende il pubblico elemento imprescindibile dell’opera. Dal 22 aprile al centro della mostra “Leandro Erlich Oltre la Soglia” a Palazzo Reale di Milano. La più grande esposizione monografica mai dedicatagli in Europa.

Nato in Argentina nel ’73, Erlich, che adesso vive tra Parigi, Buenos Aires e Montevideo, crea delle installazioni su larga scala capaci di rendere incredibili delle scene di tutti i giorni. Ad esempio, chiude le nuvole in teche di vetro, appende una casa (a grandezza naturale ma con le radici al posto delle fondamenta) a mezz’aria, aggroviglia delle scale mobili tra loro. O ancora, crea code di auto immaginarie sulla spiaggia. Ma ha anche permesso alle persone di camminare tranquillamente sul fondo di una piscina, con tanto di vestiti addosso (“Swimming Pool”, 1999, con cui ha rappresentato l’Argentina alla 49esim Biennale di Venezia). O di arrampicarsi sulla facciata di un palazzo, apparentemente in barba alla legge di gravità (“Bâtiment” 2004).

E proprio il pubblico, nelle opere di Erlich, ha un ruolo molto importante. Se sono tanti gli artisti che vogliono rendere gli spettatori parte delle loro opere, lui lo fa in maniera radicale. Tanto per cominciare, le sue installazioni sono enormi giocattoli, che invitano ad essere provate. E poi le opere di Erlich, senza l’interazione dei visitatori non svelerebbero il loro segreto e rimarrebbero comuni paesaggi architettonici (nuvole a parte, lui rappresenta soprattutto case, palazzi, ascensori e quant’altro costituisca lo spazio urbano).

I lavori dell’artista argentino, con un gusto decisamente scenografico, introducono la magia nella quotidianità e mentre lo fanno, con sensibilità, abbattono l’equazione: realtà uguale percezione. Ci spingono a mettere in discussione la nostra interpretazione del mondo, basata su una lettura delle cose. se non erronea quanto meno parziale.

"L'ordinario è una delle mie principali fonti di ispirazione, ma non sono una persona interessata a dipingere l'ordinario- ha detto tempo fa- Sono qualcuno che è interessato a guardare all'ordinario come ad un modo per mettere in discussione la nostra concezione della – o comprensione della – realtà.”

Leandro Erlich è stato un enfant prodige dell’arte contemporanea (la sua prima mostra l’ha fatta quando aveva 18 anni). Adesso le sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private (tra cui la Tate Modern di Londra, il Musée National d'Art Moderne, Centre Georges Pompidou, di Parigi, il MACRO di Roma e il 21st Century Museum of Art di Kanazawa in Giappone). Ha vinto anche diversi premi ed è particolarmente famoso nei paesi asiatici. Non stupisce, quindi, che la mostra dedicatagli dal MORI Art Museum di Tokyo nel 2017 abbia avuto un importante successo di pubblico (800mila visitatori) e che sia stato il primo artista non cinese ad occupare l’intero spazio espositivo al CAFAM di Pechino(Central Academy of Fine Arts).

Oltre la Soglia” metterà insieme tutte le sue installazioni più importanti create da Leandro Erlich. A curarla sarà Francesco Stocchi (tra le altre cose curatore di arte Moderna e Contemporanea del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam). Si potrà visitare, a Palazzo Reale di Milano, da domani fino al 4 ottobre 2023.

Leandro Erlich, Bâtiment (2004) A building facade laid flat under a mirror suspended at a 45-degree angle Dimensions variable Fourteen different facades each specific to the city that hosted the temporary installation

Leandro Erlich, Classroom (2017) Two rooms of identical dimensions, wood, windows, desk, chairs, door, glass, lights, blackboard, school supplies and other classroom decorations, and black boxes Dimensions variable

Leandro Erlich, The cloud (2012) Digital ceramic ink printed on ultra-clear glass, wooden case, and LED lights Dimensions variable and different series