“We” di Maurizio Cattelan procede ma al Leeum Museum of Art di Seul il clima si è fatto teso

La notizia di uno studente (Noh Huyn-soo della Seoul National University, dove sta approfondendo Estetica e Religione), che è riuscito ad eguagliare l’impresa dell’artista David Datuna, mangiandosi “Comedian” di Maurizio Cattelan perché “aveva fame”, ha fatto il giro del mondo. Un contrattempo da poco per il Leeum Museum of Art dov’è in corso l’importante retrospettiva “We” dedicata al famoso artista di origine italiana, che ha prontamente rimpiazzato il frutto. E una bella pubblicità.

 Il giovane, che non è stato denunciato, c’ha guadagnato un video (girato da un suo amico e poi rimbalzato sui media globali) e persino qualche intervista, il museo ha di sicuro massimizzato gli ingressi alla mostra che già prima procedeva col vento in poppa (anche perchè oltre ad essere un’indagine davvero esaustiva sull’opera di Cattelan, è ad ingresso gratuito). Tuttavia, come già riportava il Washiton Post giorni fa, sui tre piani del moderno edificio nell’elegante quartiere di Hannam dove si svolge l’evento, il clima si è fatto teso. Gli addetti alla vigilanza delle sale adesso sanno di dover intervenire se qualcuno si avvicinasse con aria decisa al frutto appiccicato col nastro adesivo alla parete. O, peggio, agli altri lavori. Dopo tutto recentemente anche “L.O.V.E.”, l’enorme dito medio in piazza della Borsa a Milano, è stata vandalizzata (in questo caso dagli attivisti del clima).

Già quando l’opera venne presentata ad Art Basel Miami Beach 2019 e poi mangiata dallo scomparso David Datuna (l’artista statunitense è mancato l’anno scorso), la fiera aveva dovuto combattere con la calca di curiosi che si erano assiepati intorno allo stand della Galleria Perrotin dov’era stata esposta l’appetitosa opera, fino a dichiarare persa la partita. Rimetterla in visione avrebbe potuto diventare pericoloso. La fiera arrivò a dire che sarebbe stato “un serio rischio per la salute e la pubblica sicurezza

Apparentemente scultura deperibile, “Comedian”, è un’opera concettuale di Maurizio Cattelan, di cui esistono 3 esemplari più due prove d’artista. I tre lavori sono stati tutti vendute nel corso della fiera di Miami nel 2019 (i primi due per 120 mila dollari mentre l’ultimo per 150). Le prove d’artista invece, nonostante le numerose richieste (tra cui quella di Damien Hirst), sono rimaste alla Galleria Perrotin. I proprietari di quest’opera devono farsi carico dell’acquisto dei frutti (durante una mostra è tassativo sostituirli ogni due o tre giorni) e del nastro adesivo, ma ricevono un certificato di proprietà del lavoro e un dettagliato manuale di istruzioni (pare di 14 pagine) con le specifiche sulla maniera corretta di installarlo (l’altezza da terra e l’angolazione del nastro, per esempio, sono chiaramente codificati).

Per questo Cattelan, avvertito del siparietto verificatosi a Seul, è rimasto imperturbabile.

Ma perché “Comedian” è quello che è? Maurizio Cattelan crea lavori iperrealisti, più spesso sculture, immediatamente riconoscibili dal pubblico, che come le cipolle nascondono più strati di significato, via via sempre più profondi. “Comedian” prende spunto dai ready-made duchampiani (oggetti trovati trasformanti in opere d’arte perché collocati in un museo da un artista) ed è contemporaneamente un’autocitazione. In “A Perfect Day” del ’99, infatti, Cattelan aveva appeso a una parete con il nastro adesivo, il suo gallerista milanese e amico Massimo De Carlo. L’opera, poi, fa riferimento a “Banana 10” di Andy Warhol (ideata come la cover di un album dei Velvet Underground la rappresentazione serigrafica della buccia del frutto poteva essere staccata) e ad altre immagini simili del pioniere della Pop Art. Il significato più evidente del lavoro è contenuto nel titolo: la banana, con una sintesi disarmante, riporta alla mente una grande quantità di pièce comiche, facendo un salto nei cartoni animati e attingendo a piene mani dai film muti. L’altro importante indizio per interpretarla è il contesto: una fiera d’arte. Cattelan non presentava più opere in fiera da 15 anni ed è ritornato a farlo con una critica graffiante ed umoristica al mercato dell’arte e dei rischi che cela. Il gallerista Emmanuel Perrotin, ai tempi, descrisse così l’opera: "un simbolo del commercio globale, un doppio senso, nonché un classico oggetto di humor".

We”, da gennaio in corso al Leeum Museum of Art, con 38 opere che vanno dagli anni ’90 fino ai giorni nostri, è la più grande retrospettiva mai dedicata all’artista nato a Padova dopo quella del Guggenheim di New York nel 2011. E la prima in Corea. In mostra quasi tutte le opere iconiche di Cattelan, come la “La Nona Ora” (il papa colpito da un meteorite), “All” (le salme coperte da un sudario in marmo bianco), “Him” (Hitler inginocchiato con aria contrita e completo grigio). Ma anche tante altre, a cominciare da “We” che dà anche il titolo alla mostra (doppio autoritratto a grandezza naturale di Cattelan sdraiato su un letto). C’è persino lo scoiattolino suicida di “Bibidibobidiboo” (quest’ultimo è attualmente in mostra anche a Palazzo Strozzi di Firenze, incluso insieme ad altre quattro opere di Maurizio Cattelan nella splendida collettiva “Reaching for the stars”).

Un uomo ha spruzzato vernice su "Fuck Abstration" la contestatissima opera Miriam Cahn al Palais de Tokyo di Parigi

Miriam Cahn, fuck abstraction! (2007-2022). Courtesy the artist, Galerie Jocelyn Wolff and Meyer Riegger Berlin/Karlsruhe. Particolare del lavoro danneggiato

C’era mancato poco che la mostra chiudesse in tranquillità. Attenuatesi le polemiche, respinti i ricorsi, “Ma Pensée Sérielle” di Miriam Cahn, al Palais de Tokyo di Parigi, domenica scorsa si avviava alla conclusione (prevista per il 14 maggio), quando un uomo, dopo aver regolarmente pagato il biglietto, si è avvicinato al grande dipinto “Fuck abstration!” e l’ha deturpato con della vernice spray viola.

L’opera, che rappresenta una possente figura maschile con il pene eretto, che tiene una mano sulla testa di una fragile figura inginocchiata e legata di fronte a lui, è stata al centro di contestazioni fin dal principio dello show, tributato dall’importante museo di arte contemporanea della Ville Lumière all’artista settantatreenne. Dopo una carriera ultra-trentennale e dopo aver ricevuto un rilevante spazio alla Biennale di Venezia dello scorso anno (“Il Latte dei Sogni” di Cecilia Alemani).

Anzi, “Fuck abstration!” ha scatenato un putiferio. L’immagine, malgrado l’artista e il Palais abbiano spiegato che non è affatto così, secondo alcuni, sarebbe pedopornografica. Così, contro l’opera sono stati presentati un ricorso al Tar di Parigi e uno al Consiglio di Stato (il più alto tribunale in grado di Parigi). Entrambi li hanno respinti. Il Consiglio di Stato ha argomentato la sua scelta scrivendo: "Il Consiglio di Stato ha rilevato oggi che l'esposizione del dipinto ‘Fuck abstraction!’ al Palais de Tokyo, luogo dedicato al design contemporaneo, non tende a ledere seriamente e illegittimamente l'interesse superiore del minore o la dignità della persona umana (...)" Nonostante ciò. il 2 maggio, un gruppo composto da sedici associazioni per la difesa dei diritti dell'infanzia ha inviato una lettera aperta ai “membri, amici e amministratori del Palais de Tokyo” chiedendo il ritiro del dipinto, mentre una petizione online ha raccolto 14mila firme allo stesso scopo. E adesso l’opera è stata seriamente danneggiata.

Eppure, per evitare l’ingresso alla mostra a minori o persone particolarmente suscettibili, un cartello, ben leggibile, recita chiaramente : “Alcune opere potrebbero urtare la sensibilità del pubblico”. E dopo le prime polemiche il museo d’arte contemporanea parigino, ha anche messo un cartellino che spiega “Fuck Abstraction!”. E’ l’unico lavoro in tutta l’esposizione, che pure conta oltre 200 opere dagli anni ‘80 fino ad oggi, ad avere un cartellino. Per gli altri non sono indicati nemmeno titolo, tecnica, dimensioni ed anno, giacchè l’artista voleva che “Ma Pensée Sérielle” sembrasse un flusso ritmico e semi-ininterrotto e che generasse nuovi punti di vista e considerazioni, accostando semplicemente lavori vecchi e nuovi.

Pensata per denunciare la violenza dei conflitti armati e gli stupri di guerra, “Fuck abstraction!” (anche se in questo caso l’artista aveva in testa l’Ucraina, questo tipo di denunce sono tipiche del lavoro di Cahn, e riguardano le guerre in genere), vuole essere un dipinto forte. Non è certamente adatto ai bambini e può urtare anche gli adulti. Ma la sproporzione tra le due figure rappresentate e il fatto che la vittima sembri asessuata, non servono ad altro che a sottolineare l’universalità della sofferenza e l’indicibile brutalità della violenza. Le persone che hanno cercato, con pervicacia e uno spreco d’energie che potrebbe persino essere ammirevole se non fosse mal indirizzato, di far rimuovere il quadro, avrebbero potuto semplicemente guardarsi intorno per fugare i loro dubbi. In oltre 200 opere non c’è una sola rappresentazione di bambino. Senza contare che, i volti dei molti ritratti, sono tutti indeterminati, spesso ridotti a maschere (la sofferenza così come la solitudine o lo smarrimento sono universali).

Cahn, non è nota per avere un carattere accomodante ed arrendevole. Femminista convinta, ha anzi posizioni radicali, e si è rifiutata di prendere in mano colori e pennelli per oltre trent’anni (nel frattempo disegnava in modo performativo) perchè riteneva che astrattismo e minimalismo, allora imperanti, fossero forme espressive maschili. Ma quando l’ha fatto ha creato delle opere potenti e magistrali. Adesso è da molti considerata come uno degli artisti viventi occidentali più rappresentativi. E le sue quotazioni di mercato, dopo aver lungamente languito, sono cresciute considerevolmente: dai 50mila ai 105mila dollari per opere di medie dimensioni, fino ad oltre1 milione i grandi lavori.

E questa non è una buona notizia per l’uomo, che, domenica ha deliberatamente deturpato il quadro esposto, perchè “scontento della rappresentazione sessuale di un bambino e di un adulto presentata nel dipinto” come ha detto il museo all'agenzia France Press. Il Palais de Tokyo intende, infatti, procedere con la denuncia per danni e intralcio alla libertà d’espressione.

Nel frattempo “Ma Pensée Sérielle” di Miriam Cahn, al Palais de Tokyo di Parigi (se volete saperne di più leggete l’approfondimento dedicato alla grande e bella mostra da Artbooms), continua, forte degli 80mila visitatori già conteggiati. E “Fuck abstraction!” resta fermo al suo posto di combattimento.

Miriam Cahn, RAUM-ICH/ räumlich-ich : gelblichich, 2010, oil on canvas, 42 x 31 cm , courtesy of the artist and galeries Jocelyn Wolff and Meyer Riegger, photo : François Doury

Vues d’exposition, Miriam Cahn Ma pensée sérielle - Palais de Tokyo (17/02/2023 – 14/05/2023) Crédit photo : Aurélien Mole

Perché festeggiare l’incoronazione di Re Carlo III guardando le opere degli Young British Artists

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

A volte per affrontare il futuro è necessario guardare al passato. E forse, per festeggiare in Italia l’incoronazione di Re Carlo III (avvenuta sabato), una buona idea potrebbe essere quella riguardare i cattivi ragazzi dell’arte contemporanea britannica degli anni ’90. Nella mostra “Reaching for the stars”, che celebra il trentennale della Fondazione Re Rebaudengo di Torino con una sontuosa selezione di opere esposte a Palazzo Strozzi di Firenze, ce ne sono ben cinque (o meglio quattro più uno): Anish Kapoor (Turner Prize del ’91, ha fatto una importante mostra pochi anni fa alla Royal Academy of Arts di Londra fondata da Re Giorgio III nel 1768), Sarah Lucas, Glenn Brown, Cerith Wyn Evans. E naturalmente Damien Hirst che, tra le altre cose, ha realizzato un ritratto della Regina Elisabetta II (conservato alla Government Art Collection, è uno dei suoi pochi ritratti, si intitola “Beautiful Portrait, The Queen”).

Potrebbe essere una buona idea, perché l’ormai Re Carlo III, che oltre ad avere un Bachelor of Arts, è un pittore paesaggista dilettante (non vende mai gli originali, ma da molti anni raccoglie denaro per la sua fondazione di beneficenza con delle stampe firmate in edizione limitata, ad un prezzo che, tempo fa, arriva fino a 15mila sterline; si stima che ne abbia vendute per diversi milioni). Ma soprattutto perché la parabola degli Young British Artists, a tratti e in qualche misura, si intreccia a quella della monarchia britannica. Non a caso, molti di loro sono poi diventati accademici reali (cioè membri a vita della Royal Academy of Arts) .

Una delle tappe fondamentali nella consacrazione degli YBAs (Young British Artists), anche se la loro prima esposizione è dell’88, sarà la mostra “Sensation”, alla Royal Accademy of Arts, del ’97 (lo stesso in cui morì Lady Diana). Ma i parallelismi, tutti per fortuna meno drammatici, sono molti di più, visto che gli YBAs sono diventati famosi a tutti i livelli (dal circuito dell’arte, alla televisione, fino ai pubs ed alle strade) proprio mentre il futuro Re e la monarchia affrontavano una serie di vicissitudini ormai passate alla Storia. E dopo gli scossoni è venuto il tempo della stabilizzazione sia per la famiglia reale che per il manipolo di artisti di rottura capitanati da Damien Hirst.

Reaching for the stars” ha una sezione a loro dedicata (si intitola “Good Save the Queen, visto che le opere in mostra sono tutte precedenti alla morte della sovrana), che ha il pregio di condensare, almeno in parte, il fermento della scena artistica inglese di quegli anni. D’altra parte la passione per il collezionismo di Patrizia Sandretto Rerebaudengo (creatrice e presidente dell’omonima fondazione) nasce proprio a Londra negli anni ’90.

Sarah Lucas (Londra, UK, 1962, dove vive e lavora) Nice Tits, 2011 collant, lanugine, rete metallica, cemento; cm 208 x 160 x 60 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Tra loro Sarah Lucas, che ha rappresentato la Gran Bretagna alla 56a Biennale di Venezia. Adesso vive nella pacifica campagna inglese, ma agli esordi della carriera era una figura trasgressiva dalla vita tumultuosa e la sbronza facile. Amica di Damien Hirst, per cui tutt’oggi spende parole di elogio, ha un lavoro focalizzato sugli stereotipi di genere e la loro sovversione. Decisamente femminista, accosta momenti della scultura tradizionale ad elementi apparentemente fuori contesto e provocatori. Alcune sue opere sono conservate alla National Portrait Gallery di Londra, dove l’anno di ognuna è accostato agli eventi più salienti nazionali ed internazionali, comprese le vicende della Royal Family.

Glenn Brown (Hexham, UK, 1966, vive e lavora a Londra) Ariane 5, 1997 olio su tela, montato su cartone; cm 91 x 72 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Maurizio Elia

Glenn Brown, nominato Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico (CBE) per il suo servizio nelle arti, in occasione del compleanno della Regina Elisabetta II del 2019, è un pittore virtuoso e geniale. Le sue opere, a volte inquietanti spesso macabre, sono rielaborazioni di famosi dipinti degli antichi maestri. Lui, infatti, le riproduce in maniera maniacale, attraverso un controllo del gesto pittorico che ha dell’incredibile. Oggi, con l’aiuto di photoshop, tra le altre cose è riuscito a trasformare in scultura delle tele di Baselitz a cui ha poi applicato i colori delle ballerine di Degas (i risultati, dopo vari e sottili rimaneggiamenti, cambiano il registro delle immagini al punto di farle scivolare nel macabro). In mostra a Firenze però c’è un lavoro precedente: “Ariane 5”, del ’97. Qui Brown, si ispira alla tela del 1875 in cui il pittore romantico ungherese, Bertalan Székely, ritrae il figlioletto Armin morto prematuramente. Brown, pur nella paziente riproduzione di ogni singola pennellata di Székely, modifica il dipinto (è alla rovescia, il tono è freddo, le sopracciglia e lo sguardo del bimbo sono diversi) rendendolo non macabro, questa volta, ma inquietante.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Sull’indiano-britannico, Anish Kapoor, c’è poco da aggiungere se non che ha progettato il memoriale per lady Diana al centro del Serpentine Lake in Kensington Gardens. A Palazzo Strozzi c’è un’opera di una delle sue serie più famose (“1000 Names”). Kapoor, ispirato da un viaggio in India in cui vede l’Holi, la festa primaverile dei colori, applica pigmenti dai colori primari vivi e intensissimi (qui il rosso) su forme astratte, posizionate in maniera apparentemente instabile nello spazio, per generare riflessioni su temi diversi spesso universali.

Cerith Wyn Evans (Llanelli, UK, 1958, vive e lavora a Londra) In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni, 1999 neon, plexiglass; cm 13 x 142 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Andrea Rossetti

Di Cerith Wyn Evans, alla National Portrait Gallery, c’è un ritratto (gliel’ha fatto il fotografo Johnnie Shand Kydd) scattato quando l’allora principe Carlo e Lady Diana finalizzarono il loro divorzio. D’altra parte Wyn Evans, diverso dagli altri sia nello stile di vita che nel lavoro, non è uno YBAs. E’ comunque anche lui in mostra a Firenze (il Pirelli Hangar Bicocca gli ha dedicato un’importante personale nel 2019) dove presenta uno dei suoi neon circolari con scritti dei palindromi (frasi che si possono leggere sia in un senso che nell’altro). E’ un opera concettuale, che si guarda dal basso girandogli attorno, che apre varie riflessioni non ultima quella sulla passione per l’arte.

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great, 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

E poi c’è Damien Hirst.

Il controverso e famosissimo artista inglese (recentemente è stato al centro di un fatto di cronaca e ha presentato una nuova serie di Nft), alla fine di aprile, ad un passo dal coronation day, ha installato “Demon with Bowl” la più grande opera della serie “Treasures from the wreck of the unbelievable” sul percorso panoramico londinese The Tide, qui è presente con due opere del suo periodo d’oro. C’è, infatti, un bel dipinto delle serie Butterfly (“Love is Great” del ’94) in cui le fragili ali delle farfalle (vere) mentre a noi sembrano volteggiare, sono inesorabilmente imprigionate dalla vischiosa vernice azzurra che ricopre la tela. Meno cinica ma sempre venata di humor nerissimo anche la scultura “The Acquired Inbility to Escape, Inverted and Divided” (“L’acquisita incapacità di scappare, invertita e divisa”) del ’93. Qui un grande titolo ci introduce ad una gabbia di spesso vetro e barre d’acciaio, al soffitto una scrivania e una sedia per ufficio (la visione è, appunto, invertita) sul tavolo c’è anche un posacenere pieno di mozziconi e un pacchetto di sigarette. Anche tra la seggiola e la scrivania c’è poco spazio, l’atmosfera nell’ufficietto non è proprio ridente, insomma. Le sigarette, poi, tornano spesso nel lavoro di Hirst, che intervistato sull’argomento ha detto che il sono una parabola della vita (il pacchetto la nascita, i mozziconi nel posacenere la morte.

Reaching for the stars”, curata da Arturo Galasino, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 18 giugno 2023. E va vista (almeno il primo capitolo), rigorosamente canticchiando “God save the King”.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great (particolare), 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio