Una banana venduta da Sotheby’s per 6 milioni di dollari è come latte e miele per un mercato dell’arte malaticcio

Comedian di Maurizio Cattelan venduta per 6.2 milioni di dollari da Sotheby's a New York. Courtesy of Sotheby's.

Dalla pandemia il mercato dell’arte moderna e contemporanea ha subito una contrazione dopo anni di spensieratezza. Per questo la supposizione che, mercoledì notte (secondo l’orario italiano), la vendita di quella banana appiccicata col nastro adesivo alla parete della sede newyorkese di Sotherby’s fosse scontata, era una scommessa. O meglio alla vendita in sé di “Comedian”, l’opera prettamente concettuale più recente (2019) e discussa di Maurizio Cattelan, credeva la casa d’aste (che ha messo il lotto in evidenza già prima dell’evento), il pubblico, che ha riempito sia la sala reale dell’evento che quella virtuale (le persone commentavano con frasi come: “Siamo qui per quello delle banane!”) e in generale gli addetti ai lavori, ma rimaneva da vedere come. E alla fine, battuta a 5,2 milioni di dollari più commissioni, per un totale di 6.2 milioni di dollari, sestuplicando la stima più bassa (era valutata tra il milione e il milione e mezzo), l’opera, definita dal suo stesso acquirente “un fenomeno culturale che unisce il mondo dell'arte, dei meme e della comunità delle criptovalute" ha superato le aspettative.

Non ci credeva invece lo stesso sign. Cattelan, che ha dichiarato ad un quotidiano italiano di aver ricevuto l’offerta di ricomprare “Comedian” per 500 mila dollari. Era il 2019, appena una settimana dopo la presentazione dell’opera: “Ho detto di no. Ieri ho pensato: che stupido”.

C’è da dire che si trattava anche dell’unico lotto che accettava un pagamento in criptovalute (che dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane hanno registrato record su record) e che ad aggiudicarselo è stato proprio, Justin Sun, un imprenditore del settore, di origine cinese. Sun, che ha vinto contro altri sei offerenti in un duello serratissimo durato solo una manciata di minuti, raggiunto telefonicamente da un quotidiano statunitense ha previsto un aumento dell’acquisto di opere d’arte da parte di chi si occupa di criptovalute durante la presidenza di Donald Trump.

Ed Ruscha, “Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half,” 1964, venduto per 68.2 milioni di dollari. Ed Ruscha, via Christie's

Uno dei motivi per cui le aste di novembre da Sotheby’s e Christie's erano sotto stretta osservazione era proprio l’avvenuta elezione del sig. Trump. Si ritiene infatti che le sue politiche fiscali potrebbero avere un impatto positivo sul mercato dell’arte. Prima che le aste avessero luogo Abigail Asher, una consulente d'arte di New York ha detto a un gruppo di giornalisti che hanno firmato un approfondimento sull’argomento per un quotidiano statunitense: “Ora le persone stanno improvvisamente provando un senso di sicurezza. Aspettavano dopo le elezioni per premere il grilletto sui grandi dipinti". Altri esperti hanno invece fatto notare che, sebbene ci siano stati dei segnali positivi già dall’indomani delle elezioni, è ancora troppo presto per trarre conclusioni.

Come sia messa la situazione, ad aste avvenute o in corso (nel momento in cui viene redatto questo articolo si sono svolte quelle di Christie's e Phillips New York, oltre alla serale Now and Contemporary di Sotheby’s dove è stata venduta l’opera di Maurizio Cattelan), non è affatto chiaro. Qualcuno sostiene che in generale il volume d’affari del contemporaneo sia calato vistosamente rispetto allo scorso anno, e che alcuni pezzi di pregio multimilionari siano rimasti invenduti a fronte di forbici di valutazione prudenti (ad esempio: la ceramica dell’88 di Jeff Koons “Woman in Tub”, stimata tra i 10 e i 15 milioni di dollari da Sotheby’s). Altri che la maggioranza dei committenti non ha voluto vendere prima che i “tumulti elettorali” non si fossero esauriti, insomma a passaggio di consegne avvenuto. Questo naturalmente avrebbe influito anche sulla qualità e la vendibilità delle opere.

Quel che è certo è che oltre allo splendido olio su tela di René Magritte, “L'impero della luce” (1954) la cui vendita da Christie’s era già certa (aveva una garanzia che lo copriva per 95 milioni) ma che è andato meglio del previsto arrivando a 121,2 milioni di dollari (incluse commissioni), se la sono cavata egregiamente tutte le opere, se così si può dire, patriottiche. Come lo studio di Roy Lichtenstein per “Oval Office” che, stimato tra il milione e il milione e mezzo, è stato battuto per ben 4 milioni e 200 mila dollari. O “Georges’ Flag” del ’37 di Ed Ruscha che, stimato tra gli 8 e i 12 milioni, è andato a casa di un’acquirente che ne ha offerti 13 e 650 (anche se di Ruscha a fare veramente faville è stato “Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half” del ’64 venduto ad oltre 68 milioni).

Benissimo anche la surrealista messicana di origine britannica, Leonora Carrington (1917-2011), che da dopo essere stata esposta alla Biennale di Venezia due anni fa (la più femminista) da Cecilia Alemani, aveva già macinato cifre a sette zeri, e con la scultura “La Grande Dame” (The Cat Woman) del ’51, si è superata: stimata tra i 5 e i 7 milioni è stata aggiudicata per 11, 4 milioni!

Altro successo che ha scavalcato le previsioni più rosee è stato appunto il frutto più costoso di sempre firmato da Maurizio Cattelan. “Comedian, apparsa per a prima volta nello stand della Perrotin Gallery di una fiera di Miami nel 2019, dove aveva causato trambusto, attirando curiosi su curiosi per il clamore che aveva suscitato, ai tempi era stata venduta per una cifra che oscillava tra i 120 e 150 mila dollari (ne esistono 3). Si tratta di un’opera concettuale, il cui valore non è ovviamente determinato dalla banana in sé, ne dal nastro adesivo (un rotolo del quale viene comunque fornito al compratore), ma dall’idea dell’artista che si concretizza in un certificato d’acquisto autenticato e in un dettagliatissimo manuale di istruzioni di 14 pagine con tanto di diagrammi che spiegano come sostituire il frutto una volta marcito.

Il signor Cattelan ha tratteggiato così la genesi di “Comedian”: “Nel 2019, lavoravo a un contributo per il New York Magazine e pensai alla banana come simbolo di New York (…) L’idea rimase lì, finché non arrivò la fiera di Miami. Mi trovavo di fronte a un mercato saturo, pieno di opere eccessive e poco sperimentali. Così decisi di fare un gesto essenziale, quasi assurdo: comprai una banana per 25 centesimi e la fissai al muro con del nastro adesivo”. Ha anche detto: “È il mercato che ha deciso di prendere sul serio una banana attaccata al muro. Se il sistema è così fragile da cadere su una buccia di banana, forse era già scivoloso di suo”. Tuttavia, è pure possibile che l’autore sia stato ingiusto con la sua opera, che, a distanza di anni, potrebbe apparire nei libri di storia dell’arte come un commento irrinunciabile alla nostra epoca, e con il mercato che, anziché respingere la critica feroce di un insider, la ha fatta sua e trasformata in salutare autoironia, come una battura, espressa con l’unica lingua che il mercato può conoscere: quella del denaro.

Leonora Carrington, “La Grande Dame (The Cat Woman),” olio su legno, 1951, venduta per 11.4 millioni di dollari. Leonora Carrington; via Sotheby's

Cattelan in versione top gun è tornato a New York dopo 20 anni (ed è subito polemica)

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Sunday” (“Domenica”) la prima personale di Maurizio Cattelan a New York da oltre 20 anni, che segna anche il suo debutto nelle sale della Gagosian Gallery, ha fatto discutere. Quei 64 pannelli d’acciaio placcati d’oro 24 carati e crivellati di colpi di arma da fuoco a qualcuno sono piaciuti mentre altri li hanno criticati aspramente. Senza contare che oltre un artista si è lamentato rivendicando la primogenitura dell’idea (il britannico Anthony James si è spinto addirittura a far mandare una lettera legale all’artista originario di Padova accusandolo di aver copiato i suoi “Bullet Paintigs”). Di certo l’esposizione, curata dal critico di origine fiorentina, Francesco Bonami che fa anche parte del cda della mega galleria internazionale (la cui collaborazione e amicizia con Cattelan è ormai storica), parla di violenza, ricchezza, morte, ricordo e (come quella al Pirelli Hangar Bicocca di Milano nel ’21-‘22) è più seria rispetto alla produzione precedente. Cupa e sfavillante allo stesso tempo, vuole essere un ritratto graffiante della società americana. E forse non solo.

Sfavillante, appunto, come i pannelli placati in oro zecchino, accostati l’uno all’altro sulla grande parete della galleria newyorkese, che sono stati segnati dai colpi di oltre 20mila proiettili sparati in un poligono di tiro da un gruppo di professionisti anche durante un evento esclusivo antecedente l’esposizione. Pare alla performance fosse presente anche Jeff Koons e che abbia commentato: “Celestiale!” riferendosi al risultato. Al di là dell’impeccabile (e imperturbabile) gentilezza di Koons, ben documentata dalle cronache durante la sua lunga carriera, in questo caso è comprensibile l’apprezzamento dell’americano: l’installazione che dà il nome alla mostra osservata da vicino richiama la sua produzione: ogni piccolo cratere “accoglie”, l’immagine del “visitatore all’interno dell’opera d’arte” (come dice Koons parlando del proprio lavoro); peccato che in questo caso ci si specchi in quel che resta di una pioggia di proiettili. D’altra parte all’inaugurazione della personale (avvenuta lo scorso 30 aprile) al pubblico veniva timbrato su una mano “Beware of Yourself” (diffida di te stesso!).

Ovviamente le citazioni e gli influssi che ritroviamo in “Sunday” non si fermano a Koons. C’è innanzitutto la storia delle armi nel contesto dell’arte, come spiega Bonami: “Le immagini (di violenza armata ndr) non sono una novità nell'arte; si passa da L'esecuzione dell'imperatore Massimiliano (1867-69) di Manet a Il 3 maggio 1808 (1814) di Goya, da William Burroughs che spara a tutto e a chiunque intorno a lui a Chris Burden che spara a un aereo in volo, dall'attentato di Valerie Solanas di Andy Warhol nel 1968 all'iconica fotografia di Richard Avedon (1969) delle cicatrici che lasciò sul corpo di Warhol”. C’è l’approccio distruttivo al Minimalismo (sia perché i pannelli sono stati bersaglio di una pioggia di proiettili, sia perché gli acquirenti si potranno comperare i pannelli separatamente, di fatto, decostruendo l’installazione come fosse una forma di formaggio). Poi ci sono i riferimenti all’arte astratta (è lo stesso Cattelan ad affermare: “E’ la prima volta che faccio un’opera astratta.”) da Pollock ai tagli di Fontana. Qui va detto che i tiratori al poligono non si sono limitati a sparare a caso contro i pannelli, ma hanno usato vari tipi di armi (automatiche e semiautomatiche; fucili e pistole) per raggiungere l’immagine desiderata dall’artista, Cattelan, al quotidiano britannico The Guadian, ha spiegato: “Deve essere attraente e, allo stesso tempo, inquietante”. La giornalista Adrian Horton che ha redatto lo stesso articolo ha descritto “Sunday” in questo modo: “E bellissima (…) ammaccature, crateri, impronte, strappi, colpi netti che ricordano pugni.”

In disaccordo il famoso critico statunitense, Jerry Saltz, che, pur spendendo lodi per l’opera di Cattelan in generale e per l’acume critico di Francesco Bonami, non ha amato lo show in corso da Gagosian e ha definito “Sunday: “Enorme pezzo kitch”. Ha anche scritto: “Sunday dice molto poco, a voce alta. L’America è un paese violento con le armi e un paese affamato di ricchezza, e se guardi in quelle superfici lucide, puoi vedere te stesso. L’idea è così semplicistica che (…) Queste mediocrità dicono la stessa cosa a tutti allo stesso modo. Filosoficamente, tremolano e muoiono”.

Di tenore diametralmente opposto (e come poteva essere, altrimenti!?) il testo pubblicato da Bonami sul sito di Gagosian: “Un pannello dorato ricoperto di segni di arma da fuoco è come una domenica (sunday, ndr): lo sfondo di una festa andata male, molto male (..) Sunday (2024) di Cattelan si spinge un po' oltre, rimuovendo la presenza di chi ha sparato e trasformando la violenza in una sorta di pattern, una decorazione, un ricordo della follia umana. Il suo muro potrebbe essere quello di un casinò di Las Vegas crivellato di proiettili da un giocatore scontento. C'è bellezza nel periodo successivo alla tragedia(...) Cattelan apre una strada attraverso questo possibile malinteso, parlando delle contraddizioni irrisolvibili tra libertà e violenza, divertimento e orrore. (…) Non che respinga l'orrore, ma ne vede l'altro lato: il divertimento. Ovviamente non il divertimento delle vittime ma il divertimento inimmaginabile ma sicuramente presente nella mente dell'autore dell'omicidio di massa”.

Cattelan a New York Times ha invece detto: “L’oro e le armi sono il sogno americano”, per poi sottolineare che l’opera è stata prodotta negli Stati Uniti per la permissiva legislazione sulle armi: “In quale altro posto al mondo potresti farlo?” (anche se, pur nel contesto meno rigido in materia, sono stati necessari mesi per organizzare le sessioni di tiro superando ostacoli logistici e legali).

Di fronte a “Sunday” c’è “November” (sempre 2024), cioè una fontana in marmo di Carrara che rappresenta un uomo coricato su una panchina mentre, tenendosi il pene in mano e coprendosi gli occhi, fa pipì per terra (manca il drenaggio quindi l’acqua finisce sul pavimento per davvero). Bonami la paragona a “Manneken Pis (1619; a lungo simbolo incontrastato di Bruxelles) e commenta: “Qual è la differenza tra un bambino piccolo che fa pipì in una fontana e un uomo adulto che fa pipì sul pavimento? È solo una questione di convenzione.”

Benchè il protagonista di “November” sia Lucio Zotti, amico e socio in affari di Cattelan di lunga data morto il settembre scorso, la stampa ha definito l’opera la “rappresentazione di un senzatetto” o una “figura ai margini” e l’artista ha lasciato aperta questa interpretazione (anche se Zotti non si avvicinava nemmeno lontanamente a un senzatetto) definendo la scultura “un monumento della marginalità”. E se così è, come non pensare alle “Shot Marilyns” di Andy Warhol (nel ’64 la performer, Dorothy Podber, chiese a Warhol se poteva “to shoot them”, riferensosi alla pila di opere che l’artista aveva appena completato; visto che in inglese il verbo significa sia sparare che fotografare lui equivocò il senso della frase e acconsentì, allora Podber si mise un paio di guanti, tirò fuori una pistola e sparò alle serigrafie) e al rialzo di prezzi che nel tempo si sarebbe scatenato intorno a questi lavori (l’ultima vendita di una delle “Shot Marylin” è avvenuta da Christie’s, proprio a New York, per ben 195 milioni di dollari).

Il sessantatreenne star indiscussa dell’arte contemporanea, Maurizio Cattelan, infatti, si è a lungo rifiutato di esporre da Gagosian, perché la mega galleria è il simbolo stesso della mercificazione dell’arte e lui ha in più occasione criticato il consumismo. Recentemente però ha detto ridendo (sempre a The Guardian): “Chiamo Gagosian il lato oscuro del mercato. Ho esitato per molto, molto tempo, ma è stata una buona partnership.” Cattelan è anche sostenitore di una vita il più possibile spartana (si sposta in bicicletta, va a nuotare tutti i giorni in una piscina comunale). E come si può, quindi, non pensare che la giustapposizione, il confronto diretto delle due opere in mostra a New York, non sia anche una critica al mercato dell’arte?

I 64 pannelli ricoperti d’oro che compongono l’installazione statunitense, secondo vari media, sono attualmente in vendita per 375mila dollari l’uno, per un totale di 24milioni di dollari per l’intero set. Gagosian non ha per ora rilasciato stime delle vendite.

Sunday” di Maurizio Cattelan, a cura di Francesco Bonami, si potrà visitare nella sede della Gagosian Gallery di New York fino al 15 giugno 2024. Nel frattempo l’artista è anche protagonista della mostra “The Third Hand” al Moderna Museet di Stoccolma (fino al 12 gennaio 2025) ed espone una foto fuori dal Padiglione Santa Sede della Biennale di Venezia 2024.

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Installation view, Maurizio Cattelan: Sunday, Gagosian, West 21st Street, New York. Artwork © Maurizio Cattelan. Photo: Maris Hutchinson

Photo Courtesy: Maurizio Cattelan

“The Third Hand” una riflessione sul potere di Maurizio Cattelan al Moderna Museet di Stoccolma

Maurizio Cattelan, HIM (2001) © Maurizio Cattelan 2024, Roy Lichtenstein, Finger Pointing. (1973) © Roy Lichtenstein. Photo: My Matson/Moderna Museet

Inaugurata il 24 febbraio scorso al Moderna Museet di Stoccolma, “The Third Hand”, grande retrospettiva che il museo nord europeo ha dedicato a Maurizio Cattelan, è una sfilata di capolavori (come si addice all’occasione, del resto). C’è il papa colpito dal meteorite de “La Nona Ora” (1999), l’Hitler in versione bimbo che dice le preghiere di “Him” (2001), una copia a grandezza naturale della mano con le dita mozzate (tutte tranne una) che si può osservare in Piazza degli Affari a Milano (L.O.V.E., 2010), fino a lavori più recenti, più riflessivi, in cui un senso di sorda contemplazione, se non un’eco di tragedia imminente, prendono il sopravvento sull’anima provocatoria e vitale della sua opera. Tutti sono stati inseriti direttamente nelle gallerie del museo, fondato nel 1958 e collocato sull’Isola di Skeppsholmen, per creare un dialogo tra loro e il ricco patrimonio storico conservato nelle sale progettate dall’architetto spagnolo Rafael Moneo.

Il titolo enigmatico, “The Third Hand” (“La Terza Mano”), Cattelan, l’ha spiegato in questo modo sulle pagine di Living CorriereForse perché la terza mano è quella che non sai di avere, quella che sa fare cose che le altre due non sono in grado di fare o che arriva in soccorso quando le altre sono occupate”. L’artista originario di Padova, infatti, è stato restio a rilasciare interviste per un lungo periodo ma ormai lo fa abbastanza spesso, conservando, però, un certo grado di elusività nelle risposte. Ed anche in questo caso ha aggiunto un po’ di mistero all’idea di mettere in scena una riflessione sul concetto di potere, che, invece, è stata sviluppata in maniera molto puntuale, sia attraverso le opere scelte che l’interessante installazione dei lavori. Il protagonista di “Him”, ad esempio, se ne sta in ginocchio di fronte a “Finger Point” (del ’73) di Roy Lichtenstein; la stanza è completamente rossa, l’illuminazione discreta e il pubblico può vedere le opere attraverso una finta cornice, che crea un gioco di specchi su chi voglia veramente indicare la mano con l’indice puntato dell’artista Pop statunitense (Hitler o noi?). La collocazione scelta per “Him” rafforza il paradosso e i doppi sensi su cui si basa la scultura e dà vigore al racconto.

In giustapposizione a Cattelan, anche diverse artiste nord e mitteleuropee, del passato e del presente, come la svizzera Eva Aeppli, le svedesi Cecilia Edefalk e Lena Svedberg, oltre alla famosa tedesca Rosemarie Trockel (appena due anni fa c’è stato modo di ammirarla alla Biennale di Venezia). I lavori, sono stati, infine, accostati pure alle pagine ingiallite della rivista underground della Svezia anni ’60, PUSS.

La curatrice della mostra, la direttrice del museo Gitte Ørskou, ha detto: “Questa è la seconda volta che invitiamo un artista ad approfondire la nostra vasta collezione. La pratica di Maurizio Cattelan affonda le sue radici nell'arte concettuale e pone domande sulla e sulla nostra realtà. Come curatore e fondatore di riviste d'arte, è stato in costante dialogo con l'arte. La sua visione critica e penetrante della nostra collezione restituisce all’arte il suo potere”.

Il Moderna Museet, che si estende per 5mila metri quadri, nella propria collezione ha, tra gli altri, anche dipinti e sculture di: Edvard Munch, Pablo Picasso, Salvador Dalí, Giorgio de Chirico, Alberto Giacometti, Henri Matisse, Marcel Duchamp, Louise Bourgeois, Jean Tinguely, Niki de Saint Phalle e Robert Rauschenberg. E le opere di Cattelan sono collocate lungo ben sei gallerie del vasto spazio espositivo a contatto con molte di queste.

Nato nel 1960 da una famiglia umile, Maurizio Cattelan, che ha raggiunto il successo già negli anni ’90, è da tempo considerato il più importante artista italiano vivente. Non fornisce mai un’interpretazione delle sue opere (che, per altro, sono aperte a diverse riflessioni), per lasciare allo spettatore la libertà di contribuire con la propria personale spiegazione. In un’altra recente intervista ha detto: “Ho sempre creduto che se qualcosa può essere ridotto a un concetto chiaro, è sicuramente artisticamente morto. L'arte non ha un intento diretto e univoco, altrimenti è un problema già risolto, e in questo non c'è niente di interessante”. Tuttavia, il suo lavoro accoglie lo spettatore con un’apparente chiarezza d’intenti, per poi intrappolarlo attraverso provocazione, paradosso e ironia. Uno dei punti di partenza ricorrenti delle sue installazioni è il cambio di dimensione: ciò che normalmente è piccolo diventa grande, quello che normalmente sarebbe troppo vasto diventa a misura d’uomo, Così la Cappella Sistina, meticolosamente riprodotta e miniaturizzata in “Untitled” (2018), diventa accessibile, smette di incutere timore, ci rassicura e ci fa sentire importanti (in questo caso, Cattelan, con la consueta ironia si interroga sia sul rapporto dell’uomo con la fede, sia con l’arte stessa). I piccioni tassidermizzati di “Ghosts”, invece, sono a grandezza naturale ma mettono disagio con il loro sguardo puntato su di noi dal loro punto d’osservazione esterno al teatro in cui ci muoviamo (qui Cattelan fa anche riferimento a tutti quelli che non hanno voce, umani e non umani). In mostra a Stoccolma c’è, infine, la poetica e struggente Breath”, presentata solo lo scorso anno al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, che rappresenta un uomo e un cane (scolpiti in marmo bianco) vicini e raggomitolati su se stessi.

Maurizio Cattelan, con la sua retrospettiva “The Third Hand”, rimarrà al Moderna Museet di Stoccolma fino al 12 gennaio 2025. Ma quest’anno sarà possibile godersi almeno una sua opera anche al Padigione della Santa Sede della Biennale di Venezia.

Maurizio Cattelan, Untitled, 2018 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, La Nona Ora, 1999 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, Breath, 2023 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Installation view with full-sized copy of Maurizio Cattelan’s monumental sculpture L.O.V.E. Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, Untitled, 2018 (Detail) Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, Breath, 2023 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, L.O.V.E. Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024 (Full-sized copy of the artist's monumental sculpture L.O.V.E.)

Maurizio Cattelan, 2024 Photo: My Matson/Moderna Museet