Le più grande opera fatta coi lego da Ai Weiwei, riproduce "Le Ninfee" di Claude Monet

Ai Weiwei, “Water Lilies #1” (2022), LEGO. All images © the artist, courtesy of Galleria Continua. All photos by Ela Bialkowska/OKNO Studio

Ai Weiwei ha ricreato il munumentale capolavoro, “Le Ninfee” (“Water Lilies”) di Claude Monet, coi Lego. L’opera si intitola, “Water lilies #1” ed è il più grande lavoro, mai realizzato coi mattoncini dall’artista cinese, fino ad oggi.

Ai Weiwei ha cominciato ad utilizzare i Lego nel 2014, per copiare (e contemporaneamente modificare), i ritratti dei prigionieri politici. Un mezzo, che nel tempo, ha più volte riutilizzato per dupplicare dipinti famosi, come "Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte" di Georges Seurat o "San Giorgio e il drago" di Carpaccio. Ma “Water lilies #1”, oltre ad essere il più grande lavoro fatto di Lego da Ai Weiwei, è davvero enorme. Lungo 15 metri, il quadro, che verrà presentato in anteprima al Design Museum di Londra in occasione della mostra "Ai Weiwei: Making Sense”, occuperà un’intera parete della galleria. Senza contare che per completarlo sono serviti ben 650mila mattoncini in 22 diversi colori .

L’originale “Le Ninfee” (1914-26, conservato al Moma di New York), dipinto da Monet nell’ultima decade della sua vita, quando la vista dell’artista francese era sempre più debole, è un’opera ricerca dal punto di vista pittorico e in bilico tra il paesaggio e l’astrazione. La sensibilità per luce e colore di Monet, nell’opera di Ai Weiwei si capovolge, in un alfabeto di colori vivi e artificiali, piatta, senza il gioco sottile delle pennellate, ferma tuttavia nella volontà di non tradire nella sostanza il suo punto di riferimento. L’idea alla base, gioca con le polarità che caratterizzano la produzione di Weiwei fin dai suoi esordi. Cioè le tensioni che si generano tra passato e presente, naturale e artefatto, artiginale ed industriale, costruzione e distruzione, prezioso e senza valore.

Water lilies #1”, infatti, per prima cosa parcelizza l’opera immersiva immaginata da Monet e, oltre a negarle la sublime fluidità della pittura, la riporta in vita in un mondo dove i piexel sono un elemento costituente e dove la grazia della natura può anche far pensare alla cieca precisione della macchina. Ma, come fa notare Weiwei, lo stagno delle ninfee nel giardino di Giverny che Monet amava dipingere, era esso stesso artificiale. perchè era stato lo stesso pittore parigino a progettarlo e costruirlo. Facendo persino deviare parzialmente il fiume Epte, per perseguire il proprio obbiettivo.

Ai Weiwei ha infine aggiunto una porta al dipinto di Monet. Una soglia onirica, immaginata dall’artista di origine cinese, per lacerare la bellezza della natura e trasportare lo spettatore nella provincia dello Xinjiang dove Ai e suo padre, Ai Qing, vivevano in esilio forzato negli anni '60. Un modo come un’altro per dire che i capolavori ci avvicinano a noi stessi e ci permettono di cogliere l’anima dell’artista, ma anche che la Storia influenza la nostra percezione del mondo.

"Con Water Lilies #1- ha detto Justin McGuirk, capo curatore del Design Museum e curatore di Ai Weiwei: Making Sense- Ai Weiwei ci presenta una visione alternativa: un giardino paradisiaco. Da una parte l'ha personalizzata inserendo la porta della sua casa d'infanzia nel deserto, dall'altra l'ha spersonalizzata utilizzando un linguaggio industriale di mattoncini Lego modulari. Si tratta di un'opera monumentale, complessa e potente e siamo orgogliosi di essere il primo museo a mostrarla”.

Mentre Ai Weiwei ha così commentato: "In Water Lilies #1 integro la pittura impressionista di Monet, che ricorda lo Zenismo in Oriente, e le esperienze concrete di mio padre e me in un linguaggio digitalizzato e pixelato. Mattoncini giocattolo come materiale, con le loro qualità di solidità e potenziale di decostruzione, riflettono gli attributi del linguaggio nella nostra era in rapido sviluppo in cui la coscienza umana è in continua divisione."

Water lilies #1”, insieme a molte altre opere di Ai Weiwei, sarà esposta in anteprima al Design Museum di Londra, in occasione di "Ai Weiwei: Making Sense". L’esposizione, che sarà la prima dell'artista a concentrarsi sul design e l'architettura, si inaugurerà il prossimo 7 aprile (fino al 30 luglio 2023).

Ai Weiwei, “Water Lilies #1” (2022), LEGO. All images © the artist, shared with permission courtesy of Galleria Continua. All photos by Ela Bialkowska/OKNO Studio

Ai Weiwei, “Water Lilies #1” (2022), LEGO. All images © the artist, shared with permission courtesy of Galleria Continua. All photos by Ela Bialkowska/OKNO Studio

A Palazzo Strozzi una scultura vivente canta una canzone per ogni visitatore di "Reaching for the stars"

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Ad ogni vistatore della mostra “Reaching for the stars” viene cantata una canzone diversa. Un brano scelto solo per lui, che si spegnerà nel momento in cui avrà finito di varcare un corridoio. Sembra un’esagerazione, una sorta di inganno, e invece è l’opera “This is you” dell’artista tedesco Tino Sehgal.

Fatta della materia delle emozioni, “This is you” (2006) di Tino Sehgal, è l’opera più effimera tra quelle esposte a Firenze in occasione di “Reaching for the stars”. L’esposizione che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, a Palazzo Strozzi, con una selezione di settanta pezzi, tra i lavori collezionati a partire dagli anni ‘90 da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo.

In “This is you” una donna comincia a cantare appena i visitatori le passano accanto. Una canzone per ognuno. L’opera è pensata come una serie di ritratti impalpabili. Infatti, la scelta del brano è ispirata alla cantante dallo stato d’animo di chi incontra. Si tratta di un lavoro poetico e sensibile, in cui l’infrazione delle regole di comportamento in un determinato contesto (in questo caso un museo) e l’interazione inconsueta con lo spettatore, generano delle sensazioni che sono l’anima dell’opera.

This is you” è anche venata d’umorismo, se si pensa alla cantante come a una scultura vivente. Un’aspetto che si ritrova più o meno sempre nella produzione di Seghal e che ne bilancia l’emotività ma anche il rigore formale. L’artista, infatti, è molto attento alla costruzione visiva delle sue opere, così come nell’attuazione dell’intricato sistema di regole che lui stesso ha creato per normarne la messa in scena.

Nato a Londra nel ‘76 da padre indiano a madre tedesca, Tino Sehgal, che adesso vive in Germania, ha studiato economia e danza per poi approdare all’arte contemporanea, con quelle che lui definisce “situazioni costruite” (per distinguerle dalle performances). Il successo per lui arriva in fretta: dopo pochi anni dal suo esordio, nel 2005, Sehgal sarà l’artista più giovane a rappresentare la Germania alla Biennale di Venezia, nel 2013 vincerà il Leone d’oro, senza contare la partecipazione a documenta e le numerose presenze in sedi espositive prestigiose.

Una delle sue situazioni più famose è “Kiss” (un’edizione della quale è stata acquistata dal Moma) in cui una coppia di attori si abbraccia e si bacia, ripercorrendo contemporaneamente tutti i baci iconici della storia dell’arte (da quello scolpito da Auguste Rodin fino a Made in Heaven di Jeff Koons). In altre opere, Sehgal ha fatto saltare e sbracciarsi i custodi del museo mentre annunciavano il titolo dell’opera, istruito gli attori a coinvolgere il pubblico in conversazioni personali e messo i bimbi a giocare senza oggetti.

Il lavoro di Sehgal, tuttavia, non è facilissimo da vedere. L’unico modo, infatti, è dal vivo, perchè l’artista rifiuta ogni forma di riproduzione. Niente foto (con buona pace di chi ha la passione per Instagram), niente video e niente targhette con le spiegazioni dell’opera. Pensa che la sovraproduzione di oggetti sia un male per l’umanità e quindi il suo lavoro è onestamente effimero. Esiste, davvero, solo negli occchi e nella memoria dello spettatore. Senza concessioni al mercato.

Eppure Sehgal si vende e costa pure parecchio. Tuttavia la sua’opera è difficilissima da collezionare per le modalità di vendita escogitate dall’artista. Tanto per cominciare Sehgal non rilascia ricevute, ne ogni genere di documentazione scritta dell’avvenuto acquisto. Chi compra il diritto a mettere in scena (con attori pagati a ore) una delle sue situazioni in edizione limitata, deve accontentarsi di una stretta di mano. E per farlo deve ritenersi anche disposto ad andare ad un incontro con i rappresentanti della sua galleria e un notaio. La transazione si svolgerà rigorosamente in forma orale. Di solito sono presenti anche l’artista e i membri del suo studio ma Seghal viaggia il meno possibile, per non contribuire all’inquinamento atmosferico. E questo rende la faccenda ancora più complicata.

Il copione è più o meno lo stesso, se il proprietario di una delle opere di Sehgal decide di prestarne temporaneamente il lavoro.

Questo tortuoso processo di vendita, contribuisce a rendere più difficile incontrare le opere di Sehgal in giro.

Nonostante ciò, “This is you” (negli Stati Uniti acquisita dall'Hirshhorn Museum di Washington, dove ben tre membri dello staff si occupano della sua amministrazione), di proprietà della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, fa parte dei capolavori in mostra a Palazzo Strozzi di Firenze. “Reaching for the stars”, con Tino Seghal e altri 50 fuori classe dell’arte contemporanea, si potrà visitare fino al 18 giugno 2023

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Tutti gli artisti nella nuova pubblicità Coca-Cola a cominciare da Aket

Ambientata in un museo immaginario in cui sembrano concentrati tutti i capolavori iconici della storia dell’arte, la nuova pubblicità Coca-Cola, in realtà, dà spazio anche ad artisti contemporanei meno conosciuti A cominciare dallo street-artist francese Aket che, da un giorno all’altro, è diventato famoso.

Come lo spot. Cuore della campagna Masterpiece (comprende anche una galleria online, cartelloni pubblicitari in 3D e oggetti da collezione digitali), che non ha mancato di diventare virale e accendere un vero e proprio dibattito. D’altra parte, la pubblicità Coca-Cola, è un prodotto raffinato che non si limita a sfruttare la psicologia di chi guarda per raggiungere il consumatore ma mette in campo anche un cocktail visivo all’avanguardia, composto da riprese dal vivo, effetti digitali e intelligenza artificiale (ci hanno lavorato le agenzie: Electric Theatre Collective e Blitzworks).

Lo spot si svolge in uno spazio espositivo di fantasia, che ha caratteristiche architettoniche affascinanti ma ibride. Un po’ fa pensare a un museo europeo (forse il Louvre), un po’ al Moma di New York. Allo stesso modo, le opere tra le quali si svolge la danza virtuale della bottiglietta di Coca-Cola, sono opera di artisti del passato e del presente. Famosi e non. Eppure, accostati a Andy Warhol, William Turner, Edward Munch, Vincent Van Gogh, Utagawa Hiroshige e Johannes Vermeer, tutti sono apparentemente già parte della storia dell’arte.

In realtà, i contemporanei di Coca-Cola, prima di questo spot erano tutti poco conosciuti. Ma dall’uscita della campagna pubblicitaria sono diventati di botto, noti a persone di tutto il mondo. Si tratta del francese Aket, del fotografo idiano-inglese Vikram Kushwah, della pittrice egiziana Fatma Ramadan del pittore sudafricano Wonderbuhle e della pittrice colombiana-francese Stefania Tejada.

Ad aprire le danze è l’opera "Divine Idyll" di Aket, che per questo rimane particolarmente impressa. L’autore è uno street-artist originario di un paese della Piccardia, che adesso vive a Lille. Si fa chiamare anche Aket Kubic, perchè di solito rappresenta personaggi dalle forme ispirate al Cubismo. Al centro dei suoi graffiti: scene di vita quotidiana, combattimenti ma anche una sua versione di soggetti classici (come “le bagnanti”). Ha anche creato un personaggio, “Mr. Tarin”, che ironizza sui difetti dei francesi. Tra gli artisti contemporanei della pubblicità è l’unico occidentale.

Nello spot Coca-Cola, il protagonista del dipinto di Aket, dopo aver rubato una bottiglietta di Coca-Cola dipinta da Warhol nel ‘62 (“Coca-Cola 3”), la lancia a un marinaio de “Il Naufragio” (1804) di Turner. Quest’ultimo la tira alla protagonista di “Falling in Library” di Kushwah, che, con l’aiuto delle signore rappresentate in “The Blow Dryer”, riesce a raggiungere l’eroe de “L’Urlo” di Munch. A sua volta, il disperato protagonista, la passa al ragazzo ritratto da Wonderbuhle che, esce dal quadro, per poi cadere sul letto della famosa “Camera di Vincent ad Arles” di Van Gogh. A questo punto lo spot mette in gioco l’azione, e la protagonista del decoratissimo dipinto di Tejada, si esibisce in una vera e propria acrobazia, per far atterrare la preziosa bibita nel paesaggio innevato de "Il ponte-tamburo di Meguro e collina del tramonto" (parte della serie "Cento vedute famose di Edo") di Hiroshige. Di qui la “Ragazza con l’orecchino di Perla” di Vermeer può prenderla. Ed ecco che, finalmente, quest’ultima la fa avere, con tanto di strizzatina d’occhio, ad uno studente a corto d’ispirazione durante una prova di disegno al museo.

In breve, Coca-Cola ha messo in scena una danza a cui partecipano i soggetti delle opere d’arte. In uno spirito multiculturale molto attuale. A cui altri artisti, di ieri e di oggi, hanno contribuito, secondo la stessa multinazionale americana, che gli ha citati come fonte d’ispirazione (da Modigliani o Monet fino a Zena Assi).