Gli arazzi di Melissa Cody che shakerano simboli navajo, colori psichedelici e glitch, al MoMA Ps1

Melissa Cody. 4th Dimension. 2016. 3-ply aniline dyed wool. 26 × 28″ (66 × 71.1 cm). Courtesy the artist

L’artista nativa americana, Melissa Cody, crea dei complessi arazzi dai colori vivaci che mixano abilmente simboli tradizionali Navajo\ Diné (letteralmente Il Popolo, che è il modo in cui i navajo fanno riferimento a se stessi), elementi di storia personale e di cultura pop.

Cody, che lo scorso anno è stata ospite del Museum of Art of São Paulo Assis Chateaubriand (MASP) diretto da Adriano Pedrosa (curatore della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, “Stranieri Ovunque- Foreigners Everywhere”), dal 4 aprile sarà al MoMA PS1 di New York con la personale: “Melissa Cody: Webbed Skies

Nata nell’83 a No Water Mesa in Arizona, Cody, è un’artista tessile di quarta generazione e una fuoriclasse della tessitura Germantown Revival (si chiama così, perché a metà ‘800, quando questa tecnica nacque, i nativi americani disfavano, per poi filarle nuovamente, le coperte fornite loro dai mulini di Germantown in Pennsylvania). Non solo utilizza un telaio tradizionale Navajo, di cui lei stessa ha detto: “una volta che un pezzo è completo, non posso tornare indietro e rifarlo”, ma, a volte, lavora in modo intuitivo (cioè decide cosa rappresentare mentre opera), oltre ad usare colori di origine naturale (dalle tonalità accese, quasi psichedeliche), fatti a mano da lei stessa.

Del resto, Cody, ha cominciato a tessere quando aveva appena 5 anni.

Laureata in arte e studi museali all'Institute of American Indian Arts di Santa Fe e poi stagista al Museum of International Folk Art di Santa Fe e al Museo Nazionale degli Indiani d'America di Washington, si è spostata per gli Stati Uniti e adesso vive a Long Beach in California. Cody, insomma, è una nativa americana contemporanea, fortemente legata alla propria cultura d’origine ma anche una statunitense di oggi. Questo elemento della biografia, spesso si riflette sulle sue opere, creando dei vitali cortocircuiti, come quando la nostalgia per i videogiochi vintage si insinua tra i motivi a rombi tradizionali, oppure: la grafica computerizzata, i glitch delle macchine, l’estetica costruttivista e i tratti del paesaggio, guadagnano un posto d’onore nelle sue creazioni.

A volte, invece, la dualità si manifesta in modo sofferto ed intimo come in “Dopamine Regression” (Regressione della dopamina del 2010), creato per il padre affetto dal morbo di Parkinson, in cui le croci nere nella rappresentazione simboleggiano il profondo dolore della figlia, mentre quelle rosse fanno riferimento sia all’ambito medico che alla dea Navajo, Spider Woman (divinità benevola e forte che insegna l’arte della tessitura). O come in “Deep Brain Stimulation” (Stimolazione cerebrale profonda del 2011) di nuovo dedicato al padre, in cui l’artista trasforma il trattamento neurale per la malattia del genitore in un arcobaleno di colori.

Lei della sua pratica ha detto: “La mia generazione sta portando la tessitura verso un percorso successivo: inserendola in un contesto artistico e utilizzandola anche come strumento per insegnare la storia del nostro popolo

Melissa Cody: Webbed Skies” (dove i cieli del titolo voglio essere elemento unificante delle differenze culturali) al MoMA PS1 di New York, abbraccia l’ultimo decennio di’attività dell’artista nativa americana, con oltre 30 arazzi e presenta tre nuove importanti commissioni. “La mostra- ha scritto il museo statunitense- promuove il dibattito sul futuro indigeno e fornisce un contesto per esplorare la complessità dei materiali, delle tecniche e delle cosmologie indigene”. Organizzata in collaborazione al MASP, è curata da Isabella Rjeille (curatrice MASP) e Ruba Katrib (curatrice e direttrice degli affari curatoriali al MoMA PS1) e si potrà visitare fino al 2 settembre 2024.

Melissa Cody non ha un sito internet ma, a volte, condivide tappe e particolari del suo lavoro su Instagram.

Melissa Cody. World Traveler. 2014. Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes. 90 x 48 7/8 in. (228.6 x 124.1 cm). Courtesy the artist

Melissa Cody. Woven in the Stones. 2018. Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes. 39 1/4 x 23 5/8 in. (99.7 x 60 cm). Courtesy the artist 

Melissa Cody. Deep Brain Stimulation. 2011. Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes. 40 x 30 3/4 in. (101.6 x 78.1 cm). Courtesy the artist 

Melissa Cody. Path of the Snake. 2013. 3-ply aniline dyed wool. 36 × 24″ (91.4 × 61 cm). Courtesy the artist

Melissa Cody. White Out. 2012. 3-ply aniline dyed wool. 17 × 24″ (43.2 × 61 cm). Courtesy the artist


Yulia Nesis che tesse i covoni di grano e usa le capsule del caffè usate per dipingere

Julia Nesis, installazione Rotolacampo all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze. All images courtesy Accademia delle Arti e del Disegno and the artist

Alla giovane artista di origine russa, Yulia Nesis, piacciono gli elementi naturali. Che, nel suo immaginario, si legano indissolubilmente al ricordo nostalgico e mitizzato dell’infanzia. Un paesaggio psicologico in cui civiltà contadina e purezza si fondono al senso di appartenenza, tra passeggiate con il fango alle caviglie, covoni di grano e piante selvatiche. Ma anche le mani della bisnonna che lavorano veloci all’uncinetto. Un universo di ricordi e immagini che lei rielabora in forme semplici, belle e tattili, cariche di segni, che trovano nell’abilità artigianale la loro stella polare.

Perché Nesis è indubbiamente una brava tessitrice e una capace produttrice di carta. Tecniche padroneggiate talmente bene da consentirle di piegarle ad una ricerca creativa plasmata sulla Land Art in generale e su Richard Long in particolare. Di destreggiarsi tra arte e design (tra le altre cose, crea quadri, usando le capsule usate del caffè usate come fossero mattoncini Lego). Di sperimentare gli effetti di dimensioni e materiali inusuali sulla sua opera. Che, per il resto, cerca di disinnescare la malinconia dell’esule, attraverso l’alfabeto magico di una natura capace di abbattere le distanze, aliena eppure sempre familiare, perennemente in grado di stupire ma ciclica.

Quando osservo le opere di Richard Long- ha detto- il modo in cui cammina, mi torna in mente la mia infanzia. (…) ricordo le mie sensazioni, le passeggiate lungo i fiumi in Kuban, i miei piedi che affondano nel fango popolato da rane e girini. Andavamo in giro scalzi. Ovviamente quest'infanzia ‘senza calze né scarpe’ è la mia esperienza. Magari Richard Long parla di tutt'altro (…). Nella mia installazione "Il cammino degli eroi" gli spettatori associano le sfere di gesso alle uova di creature preistoriche, ma quasi nessuno sa che aspetto abbiano le uova dei ragni. Perché non parlare di questo allora? Spesso sono le cose semplici a farci pensare in maniera nuova”.

Nata nell’84, quando l’Unione Sovietica seppur traballante si reggeva ancora in piedi, Yulia Nesis, ha trascorso l’infanzia, coincisa con la rovinosa caduta del regime, nelle campagne pianeggianti e acquitrinose della cittadina portuale di Novorossijsk (affacciata sul Mar Nero si trova nella Russia Meridionale) per poi spostarsi a Mosca (dove ha studiato all'Università Statale delle Arti e dell'Industria) e infine in Europa. La miseria e il costo ambientale di un maggiore benessere del Paese hanno avuto sulla sua poetica un peso determinante. Adesso vive principalmente nel Regno Unito ma torna spesso in Russia.

Ed è proprio da un intervento compiuto direttamente nel paesaggio della sua terra natale che è nata l’installazione scultorea “Rotolacampo”, attualmente in mostra all’ Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. L’opera è composta da sedici elementi cilindrici (in lino, canapa, iuta e metallo con una tecnica di tessitura personalizzata dall’artista) che sembrano covoni di grano. Tuttavia la sala in cui sono installati è immersa nell’oscurità e gli oggetti di Nesis, più che richiamare il ciclico scorrere delle stagioni (normalmente uno dei temi, insieme al costante mutare del paesaggio e all’impermanenza della bellezza, che le sono cari), sembrano alieni e spauriti.

Rotolacampo parla di me(…) Tengo molto a questa mostra. Gli oggetti del progetto Rotolacampo nel 2021 sono stati esposti nel parco del Museo di Tsaritsyno. Hanno già acquisito una certa esperienza dell'effetto esercitato dall'ambiente circostante: dagli elementi naturali, dagli uccelli, dalle persone... Rotolacampo è cambiato, ha vissuto le proprie storie e ora vuole raccontarci qualcosa, condividere con noi la sua esperienza”.

La mostra di Yulia Nesis a Firenze è curata da Inna Khegay e rimarrà all’Accademia delle Arti e del Disegno fino al 30 Novembre.

un particolare dall’installazione

Julia Nesis, Roccia

l’artista accanto alla sua opera a Firenze

I tessuti fatti di mattoni scartati ad Alcova per la Milano Design Week

fotografia dei tessuti via Dezeen

I tessuti, realizzati dai danesi di Natural Material Studio in collaborazione alla designer e ricercatrice polacca Zuzanna Skurka, e presentati allo spazio Alcova in occasione della Miano Design Week, sono fatti di mattoni. Laterizi sovraprodotti o danneggiati, ma soprattutto recuperati da progetti di demolizione, che si sono trasformati in morbidi drappi per l’arredamento della casa. Si chiamano, appunto, “Brick Texiles”.

Il nuovo materiale è impermeabile ed attualmente usato soprattutto come divisorio. Il colore caldo dei mattoni, infatti, se da una parte gli dà una certa monotonia, dall’altra regala atmosfera agli ambienti in cui viene installato. Richiama alla mente tramonti, muffe e piccoli funghi autunnali ma anche terreni e montagne. E poi, forse più per suggestione che per altro, antichi edifici e paesaggi urbani.

Per realizzarlo, oltre ai mattoni polverizzati, è servita una bioplastica creata da Natural Material Studio e composta da proteine, ammorbidente naturale e pigmenti. Quest’ultima, fatta appositamente per i tessuti, è compostabile in casa.

"E' un biotessile- scrivono sul loro sito web i danesi- fatto di ingredienti e pigmenti che si ottengono direttamente dalla natura. È realizzato a mano e sviluppato a Copenaghen da Natural Material Studio. È un materiale vivo: consistenza, colore e forma sono reattivi all'ambiente del materiale e cambiano con la temperatura, l'umidità e il tempo".

Il difetto di questo materiale è la delicatezza: va tenuto lontano da fonti di calore ma soprattutto è nemico giurato dell’acqua. Problema risolto dalla collaborazione con Skurka. I mattoni danno anche corpo e consistenza al tessuto, oltre ad introdurre sfumature e motivi sempre nuovi su ogni drappo.

Nel 2019, Natural Material Studio insieme alla stilista canadese- britannica, Stephanie Moscall-Varey, ha cominciato a elaborare un nuovo tessuto per l’industria della moda (l’obbiettivo è che sia: bello, duratuto e biodegradabile). Lo studio danese si è orientato sulla trasformazione del carbone attivo, perchè è in grando di assorbire le particelle di CO2 dall’atmosfera. Ma ne ha anche studiati altri a base di alghe.

I drappi di tessuto fatti con vecchi mattoni, cioè di “Brick Textiles”, elaborati da Natural Material Studio in collaborazione con Zuzanna Skurka, insieme ad altri progetti, sono esposti nello nello spazio Alcova. Quest’ultimo cambia, ad ogni edizione della settimana del design milanese, e per quella 2023 ha sede in un’edificio a Porta Vittoria. La mostra, insieme a tutti gli altri eventi dentro e fuori salone, si concluderà il prossimo 23 aprile.

fotografia dei tessuti via Dezeen