Nata a Toronto nel’93 ma ormai residente a New York , l’artista di origini giamaicano-canadesi Tau Lewis, ultimamente dà vita a delle monumentali maschere fatte di scampoli di tessuto, pelle e pelliccia, che suscitano sentimenti contrastanti. D’altra parte l’opera di Lewis è un’originale fusione di suggestioni che non sembrano nate per stare insieme. Come quando unisce fantascienza, antichi miti, letteratura nigeriana e maschere yoruba alla 59esima Biennale di Venezia “Il latte dei Sogni”.
"Tau Lewis- scrive la guida della Biennale- trasforma tessuti e artefatti di recupero in talismani immaginari ed esseri magici che popolano mondi fantascientifici. "
Le sue maschere, che Lewis, ha creato cucendo a mano stoffa e pelle recuperati nei mercatini dell’usato, giganteggiano sui pannelli bianchi a cui sono appese nelle sale dell’Arsenale. L’effetto è drammatico, vuoi per i colori decisi delle opere, vuoi per i tratti antotropomorfi, per i volti inespressivi, oppure,appunto, per le dimensioni. Chi gli passa accanto non può fare a meno di senire la loro forza e di interrogarsi sul mistero che evocano. Un po’ fanno paura, un po’ simpatia, morbide e cariche di ricordi metropolitani come sono. Tau Lewis, d’altra parte ha detto, che nel riutilizzare merci scartate trasmuta le loro storie ed energie nelle opere. Spesso, nelle interviste, parla anche del "DNA dei materiali". Una sorta di impronta genetica manipolata che incanala storie di ieri, di oggi e domani (del materiale, dell’artista, del suo lavoro) in un unico oggetto.
Lewis ha spiegato anche, che l’uso dei tessuti nelle sue opere, ha a che vedere con il fatto che siano stati più spesso accostati al lavoro femminile e alle pratiche artigianali delle comunità diasporiche.
Secondo la guida della Biennale la sua scultura evoca: "(...) le opere delle trapuntatrici di Gee’s Bend, i quilt di Faith Ringgold, gli assemblage di Betye Saar, e le oniriche 'casette' di Beverly Buchanan (...)".
Ma è anche intessuta di fili di poesia e passione che poco hanno a che fare con la razionalità e con i commenti sociali o politici. Come testimonia il fatto che l’artista, per combattere il sentimento di abbandono che prova quando si separa da un’opera, abbia preso l’abitudine di nascondere qualcosa dentro di essa ( ad esempio un piccolo oggetto o una poesia)
A “Il latte dei Sogni” (a cura di Cecilia Alemani), l’artista presenta una nuova serie intitolata: Divine Giants Tribunal. Coposta da diverse maschere alte 3 metri.
"Ispirandosi alle maschere Yoruba e agli scritti del drammaturgo nigeriano Wole Soyinka, Lewis mette in scena le mitologie mistiche radicate in queste maschere."