Chiara Camoni, tra paesaggi condensati, poesia e bellezza dell’ordinario, conquista il Pirelli Hangar Bicocca

Chiara Camoni “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Costruita facendo riferimento alla pianta di un giardino tardorinascimentale Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse”, la mostra di Chiara Camoni in corso al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, immerge i visitatori in un mondo misterioso e fiabesco, dove la sapienza artigianale e la bellezza dei materiali non sono il fine ma il mezzo per suscitare interrogativi sullo scorrere del tempo, sulla bellezza, sul mutevole e l’immutabile. Chi scrive l’ha visitata per voi.

Lo Shed, cioè la prima stanza che i visitatori del Pirelli Hangar Bicocca si trovano davanti al loro ingresso, non è affatto uno spazio semplice, con il soffitto alto e la moltitudine di segni che evocano il passato industriale dell’edificio milanese, e per di più, dove dovrebbero esserci candide e rassicuranti pareti ci sono porte e ampie vetrate che legano osmoticamente l’interno all’esterno. Chiara Camoni, quelle grandi finestre, quelle porte, durante “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse”, ha deciso di non oscurarle, anzi, di lasciarle socchiuse, per inondare di luce naturale l’impressionante parata di sculture che compone la sua personale, e di esporre alla brezza primaverile un universo che oscilla tra il fiabesco e il misterioso, tra l’ordinato e il selvaggio, tra il mutevole e l’immutabile, ma soprattutto tra il naturale e il culturale. Questa scelta, come quella di giocare la mostra sull’idea del giardino tardorinascimentale all’italiana, le ha permesso di vincere la sfida con lo spazio a sua disposizione, facendolo raccolto, anzi tramutandolo in un labirinto di siepi invisibili in cui il pubblico rimane intrappolato senza nemmeno accorgersene, abbandonandosi, come sotto l’effetto di un sortilegio, al piacere di continue, minuscole, scoperte.

D’altra parte è lei stessa ad affermare: “Ci sono delle piccole epifanie, momenti di grazia e di bellezza che sembrano rivelare il senso del vivere. Questi attimi, velocissimi, si coagulano intorno all’opera d’arte (…)”.

Chiara Camoni Cani (Bruno e Tre), 2024 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Prodotto da Pirelli HangarBicocca Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio 

Uscita dall’Accademia di Belle Arti di Brera alla fine degli anni ‘90, Chiara Camoni, fa parte di una generazione di artisti che hanno riscoperto l’amore per la Natura e riletto il genere del Paesaggio in modi inaspettati. C’è chi si è affidato alle scoperte scientifiche, Camoni no, tutta la sua opera, adesso esposta a Milano, è esplorazione del territorio a lei vicino, manipolazione di materiali naturali, accentuata fascinazione dell’ordinario tanto da farlo diventare straordinario. E’ quello che succede, per esempio, ai due leoni (anzi leonesse) in pietra serena, dalle forme stilizzate e gli sfavillanti occhi di vetro e labradonite (Leonesse”, 2024) che accolgono i visitatori all’ingresso dello spazio espositivo, mostrando, a chi avrà la pazienza di fermarsi ad osservare, fossili vegetali ed animali nella tessitura della pietra arenaria particolarmente usata nell’architettura toscana. Questo è uno dei riferimenti, che l’artista originaria di Piacenza, fa alle colline in provincia di Lucca dove si è trasferita (vive a Serravezza un paesino di 12 mila abitanti non lontano delle cave di marmo). Ce ne sono tanti altri, perché il lavoro di Camoni è, in buona parte, un’ode alla bellezza fugace della quotidianità e del presente cui alludono i suoi due cani scolpiti in alluminio e adagiati su un tappeto, al termine del percorso espositivo (Cani (Bruno e Tre)”, non a caso il materiale che li compone a tratti sembra sgretolarsi).

Stesso discorso per, Senza titolo (Mosaico), parte della serie dei pavimenti realizzati per lo spazio espositivo (che contribuiscono al labirinto orizzontale ideato per la mostra), è composto da frammenti di marmo ritrovati durante le sue passeggiate in Alta Versilia. Qui però l’artista evoca in maniera più diretta il genere del Paesaggio (attraverso i materiali stessi che lo compongono) e la Land Art (le passeggiate intese come performances, la geografia che si fa mappa mentale ecc.). Ma quello di Camoni non è mai un lavoro freddo, cerebrale, asettico; così, nello stesso tempo, l’artista fa pensare ad antichi siti archeologici e ai vecchi pavimenti delle case, muti testimoni di storie mai raccontate e memorie dimenticate.

Chiara Camoni “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

All’intimità domestica fanno riferimento anche le sete su cui sono state impresse foglie, bacche, fiori. Le sagome che ne sono saltate fuori, sistemate in cerchio su una struttura in ottone, ricordano delle fatine. Camoni di queste opere ha detto: “Sono una mia sintesi di Pasaggio”. Guardandole da vicino si vede la tessitura di motivi vegetali, gli stessi che, a contatto con la stoffa, hanno rilasciato il loro colore.

In mostra c’è pure un tappeto fatto di fiori ed erbe intrecciate (“Living Room), su cui volteggia un gufetto di ceramica dall’aria buffa.

D’altra parte, tutti gli animali selvatici che fanno capolino nell’opera dell’artista, siano essi di grés smaltato (come i “Vasi Farfalla”, con quegli attimi di colore talmente lattiginoso da sembrare liquido denso), o porcellanato, come i “Tre Serpenti” (composti da piccole ciotole fatte a mano, una ad una), hanno tutti un’aria tutt’altro che minacciosa. Nemmeno toppo vagamente disneyani, danno l’impressione di prendere vita a porte chiuse e mettersi a ballare come i personaggi di “Fantasia”.

Chiara Camoni “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Le “Sisters”, invece, con il loro volto (talvolta bifronte) di terracotta nera, le braccia di rami secchi, e le candele colorate come offerte votive (lasciate sciogliere fino a mescolarsi con il corpo dell’opera, o sostituite) e magari con gli occhi di cristalli rossi, sono tutta un’altra storia. Dall’apparenza sia protettiva che malvagia, sembrano depositarie di formule magiche, di un voto remoto che non è possibile sciogliere. Figure ancestrali, un po’ esotiche e un po’ nostrane, ci attirano a sé con i loro manti fatti da migliaia di pezzetti d’argilla lavorati a mano, colorati o al naturale, simili a lunghissimi rosari buddisti, a collane di Paesi lontani, ma anche alla maglia dei braccialetti venduti ai turisti sul lungomare toscano. Del resto nello strascico di una di loro ci sono anche le conchiglie.

Forse per il loro nome, in queste laboriosissime sculture (di solito Camoni crea le parti delle collane che le vestono insieme ad altre persone), qualcuno ha voluto vedere un riferimento al femminismo. Lei le spiega diversamente: “Le Sisters sono delle figure che costellano la mostra che probabilmente fanno parte di una dimensione onirica e inconscia mia personale. Sono figure femminili ma mi verrebbe da dire che comprendono un po’ tutto: comprendono il maschile, l’animale, il vegetale, il minerale. E sono ambigue, accolgono gli opposti e le contraddizioni. Molte di loro hanno anche due facce, due personalità. Ognuna ha un suo portato, ha una sua attitudine e ci chiedono una relazione. Sono nel cambiamento”.

Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” di Chiara Camoni rimarrà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano fino al 21 luglio 2024. Curata da Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, è un’esposizione molto poetica (ma anche soffusa di leggerezza), ben riuscita, perfettamente equilibrata, in cui quando dalla visione d’insieme ci si sposta al particolare (via via sempre più piccolo) l’immagine non va in frantumi ma si rafforza. E sta avendo un grande successo (meritato). Insieme a Camoni in mostra (nelle sale successive dell’edificio in cui un tempo si costruivano e assemblavano locomotive) c’è il giamaicano- newyorkese, Nari Ward, con delle monumentali sculture di rifiuti e dei raffinati video di denuncia sociale, che dal vivo riesce a far mancare il fiato e completa l’esperienza del visitatore introducendolo in un mondo completamente diverso da quello dell’italiana ma complementare.

Chiara Camoni I Tre Serpenti (particolare), 2024 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Prodotto da Pirelli HangarBicocca Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Chiara Camoni Sister (Capanna), 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Nicoletta Fiorucci Collection Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio 

Chiara Camoni Barricata #1, 2016 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca,Milano, 2024 Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Chiara Camoni Sister, 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Prodotta da Biennale Gherdëina Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio 

Chiara Camoni “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Chiara Camoni Sister, 2020 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio 

Chiara Camoni Leonesse, 2024 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Prodotto da Pirelli HangarBicocca Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio 

Chiara Camoni Sister #04, 2021 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Collezione 54, Milano Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Chiara Camoni I Tre Serpenti, 2024 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Prodotto da Pirelli HangarBicocca Courtesy l’artista; SpazioA, Pistoia, e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Le sculture biomorfe di Ranjani Shettar nell’oasi tropicale del Barbican Conservatory di Londra

Ranjani Shettar, In the thick of the twilight, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery.

Per lo più ispirate alle piante, anche se astratte, le grandi sculture sospese dell’artista indiana Ranjani Shettar, mixano materiali industriali e completamente naturali che lei lavora con tenacia, seguendo antichi e desueti metodi artigianali indiani. Nel 2018, ad esempio, ha realizzato una grande opera per il Metropolitan Museum di New York, saldando e modellando la base in acciaio inossidabile del lavoro, colorando la mussola, per poi legare il tessuto all’armatura metallica con pasta di tamarindo: ha detto che questa tecnica l’ha rubata ai fabbricanti di bambole di una piccola città nel sud dell’India.

Da alcuni mesi Ranjani Shettar ha inaugurato una mostra nell’oasi tropicale in stile brutalista del Barbican Conservatory di Londra. Una superficie enorme in cui, tra percorsi labirintici e muri in cemento armato, prosperano ben mille e 500 specie di alberi e piante provenienti da tutto il mondo e che ogni anno accoglie un milione e mezzo di visitatori. L’esposizione, commissionata dal Barbican, si intitola “Cloud Songs on the Horizon” ed è il primo grande show istituzionale dedicato all’artista indiana in Europa. Particolarmente adatto per il tema delle opere, ad una visita primaverile.

Nata nel ’77 a Bangalore, Shettar tuttavia, ha già ricevuto premi e riconoscimenti importanti sia nel suo Paese che negli Stati Uniti. Le sue opere fanno tra l’altro parte delle collezioni permanenti del Met e del MoMA di New York, oltre che del Kiran Nadar Museum of Art di Delhi. La commissione per il Barbican Conservatory, infatti, è stata frutto della collaborazione con quest’ultimo.

Di Shettar, la fondatrice e presidente dell’enorme polo culturale indiano (100mila metri quadri), Kiran Nadar (moglie del miliardario Shiv Nadar, che condivide con lei una collezione faraonica di oltre 6mila opere d’arte), ha detto: “La pratica di Ranjani Shettar è stata di particolare interesse per il Kiran Nadar Museum of Art (KNMA) da quando abbiamo acquisito e installato per la prima volta il suo lavoro al museo nel 2011. Abbiamo osservato da vicino la sua evoluzione artistica che unisce una rara sensibilità ad un lavoro paziente. Il progetto avviato presso il Barbican Conservatory è ben allineato con i nostri sforzi di collaborazione volti a portare visibilità e attenzione critica all’enorme talento degli artisti indiani e dell’Asia meridionale in tutto il mondo”.

Ranjani Shettar per il giardino tropicale londinese ha creato cinque sculture sospese, che ricordano fiori di plumeria ed heliconia, ma anche boccioli, semi, foglie secche, cellule e forme di vita microscopica (ma restituite in grande scala). Tra loro anche un tronco di legno di teak di recupero, modellato fino a trasformarsi in qualcosa di strettamente connesso con la natura ma in qualche modo enigmatico. Il lavoro di Shettar trae ispirazione dal paesaggio per mettere in scena forme astratte biomorfe, che a momenti lasciano intravedere un legame con la maniera di rappresentare degli antichi maestri indiani, e a volte si tingono di una sfumatura vagamente fantascientifica o semplicemente inquietante. Sarà forse per la larga scala dei suoi interventi. In genere, però, a prevalere è una sensazione di ingenua meraviglia, che l’artista sottolinea con un’illuminazione drammatica capace di rendere l’insieme delle opere simile a un cielo stellato o allo spettacolo che si può godere nel subcontinente durante il Diwali (la festa della luce).

Cloud Songs on the Horizon” di Ranjani Shettar rimarrà al Barbican Conservatory di Londra fino a luglio 2024 (si tratta anche di un evento gratuito, perciò, i biglietti vanno prenotati con largo anticipo).

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar, Talwar Gallery, New York | New Delhi © Ranjani Shettar, Talwar Gallery

Ranjani Shettar, On the Wings of Crescent Moons, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songon the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery

Ranjani Shettar, Above the crest, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery

Ranjani Shettar, Moon dancers, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery.

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023 (detail) Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar, Talwar Gallery, New York | New Delhi © Ranjani Shettar, Talwar Gallery

Ranjani Shettar, In the thick of the twilight, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery.

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023 (detail) Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songson the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar, Talwar Gallery, New York | New Delhi © Ranjani Shettar, Talwar Gallery

Yulia Nesis che tesse i covoni di grano e usa le capsule del caffè usate per dipingere

Julia Nesis, installazione Rotolacampo all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze. All images courtesy Accademia delle Arti e del Disegno and the artist

Alla giovane artista di origine russa, Yulia Nesis, piacciono gli elementi naturali. Che, nel suo immaginario, si legano indissolubilmente al ricordo nostalgico e mitizzato dell’infanzia. Un paesaggio psicologico in cui civiltà contadina e purezza si fondono al senso di appartenenza, tra passeggiate con il fango alle caviglie, covoni di grano e piante selvatiche. Ma anche le mani della bisnonna che lavorano veloci all’uncinetto. Un universo di ricordi e immagini che lei rielabora in forme semplici, belle e tattili, cariche di segni, che trovano nell’abilità artigianale la loro stella polare.

Perché Nesis è indubbiamente una brava tessitrice e una capace produttrice di carta. Tecniche padroneggiate talmente bene da consentirle di piegarle ad una ricerca creativa plasmata sulla Land Art in generale e su Richard Long in particolare. Di destreggiarsi tra arte e design (tra le altre cose, crea quadri, usando le capsule usate del caffè usate come fossero mattoncini Lego). Di sperimentare gli effetti di dimensioni e materiali inusuali sulla sua opera. Che, per il resto, cerca di disinnescare la malinconia dell’esule, attraverso l’alfabeto magico di una natura capace di abbattere le distanze, aliena eppure sempre familiare, perennemente in grado di stupire ma ciclica.

Quando osservo le opere di Richard Long- ha detto- il modo in cui cammina, mi torna in mente la mia infanzia. (…) ricordo le mie sensazioni, le passeggiate lungo i fiumi in Kuban, i miei piedi che affondano nel fango popolato da rane e girini. Andavamo in giro scalzi. Ovviamente quest'infanzia ‘senza calze né scarpe’ è la mia esperienza. Magari Richard Long parla di tutt'altro (…). Nella mia installazione "Il cammino degli eroi" gli spettatori associano le sfere di gesso alle uova di creature preistoriche, ma quasi nessuno sa che aspetto abbiano le uova dei ragni. Perché non parlare di questo allora? Spesso sono le cose semplici a farci pensare in maniera nuova”.

Nata nell’84, quando l’Unione Sovietica seppur traballante si reggeva ancora in piedi, Yulia Nesis, ha trascorso l’infanzia, coincisa con la rovinosa caduta del regime, nelle campagne pianeggianti e acquitrinose della cittadina portuale di Novorossijsk (affacciata sul Mar Nero si trova nella Russia Meridionale) per poi spostarsi a Mosca (dove ha studiato all'Università Statale delle Arti e dell'Industria) e infine in Europa. La miseria e il costo ambientale di un maggiore benessere del Paese hanno avuto sulla sua poetica un peso determinante. Adesso vive principalmente nel Regno Unito ma torna spesso in Russia.

Ed è proprio da un intervento compiuto direttamente nel paesaggio della sua terra natale che è nata l’installazione scultorea “Rotolacampo”, attualmente in mostra all’ Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. L’opera è composta da sedici elementi cilindrici (in lino, canapa, iuta e metallo con una tecnica di tessitura personalizzata dall’artista) che sembrano covoni di grano. Tuttavia la sala in cui sono installati è immersa nell’oscurità e gli oggetti di Nesis, più che richiamare il ciclico scorrere delle stagioni (normalmente uno dei temi, insieme al costante mutare del paesaggio e all’impermanenza della bellezza, che le sono cari), sembrano alieni e spauriti.

Rotolacampo parla di me(…) Tengo molto a questa mostra. Gli oggetti del progetto Rotolacampo nel 2021 sono stati esposti nel parco del Museo di Tsaritsyno. Hanno già acquisito una certa esperienza dell'effetto esercitato dall'ambiente circostante: dagli elementi naturali, dagli uccelli, dalle persone... Rotolacampo è cambiato, ha vissuto le proprie storie e ora vuole raccontarci qualcosa, condividere con noi la sua esperienza”.

La mostra di Yulia Nesis a Firenze è curata da Inna Khegay e rimarrà all’Accademia delle Arti e del Disegno fino al 30 Novembre.

un particolare dall’installazione

Julia Nesis, Roccia

l’artista accanto alla sua opera a Firenze