Costruita facendo riferimento alla pianta di un giardino tardorinascimentale “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse”, la mostra di Chiara Camoni in corso al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, immerge i visitatori in un mondo misterioso e fiabesco, dove la sapienza artigianale e la bellezza dei materiali non sono il fine ma il mezzo per suscitare interrogativi sullo scorrere del tempo, sulla bellezza, sul mutevole e l’immutabile. Chi scrive l’ha visitata per voi.
Lo Shed, cioè la prima stanza che i visitatori del Pirelli Hangar Bicocca si trovano davanti al loro ingresso, non è affatto uno spazio semplice, con il soffitto alto e la moltitudine di segni che evocano il passato industriale dell’edificio milanese, e per di più, dove dovrebbero esserci candide e rassicuranti pareti ci sono porte e ampie vetrate che legano osmoticamente l’interno all’esterno. Chiara Camoni, quelle grandi finestre, quelle porte, durante “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse”, ha deciso di non oscurarle, anzi, di lasciarle socchiuse, per inondare di luce naturale l’impressionante parata di sculture che compone la sua personale, e di esporre alla brezza primaverile un universo che oscilla tra il fiabesco e il misterioso, tra l’ordinato e il selvaggio, tra il mutevole e l’immutabile, ma soprattutto tra il naturale e il culturale. Questa scelta, come quella di giocare la mostra sull’idea del giardino tardorinascimentale all’italiana, le ha permesso di vincere la sfida con lo spazio a sua disposizione, facendolo raccolto, anzi tramutandolo in un labirinto di siepi invisibili in cui il pubblico rimane intrappolato senza nemmeno accorgersene, abbandonandosi, come sotto l’effetto di un sortilegio, al piacere di continue, minuscole, scoperte.
D’altra parte è lei stessa ad affermare: “Ci sono delle piccole epifanie, momenti di grazia e di bellezza che sembrano rivelare il senso del vivere. Questi attimi, velocissimi, si coagulano intorno all’opera d’arte (…)”.
Uscita dall’Accademia di Belle Arti di Brera alla fine degli anni ‘90, Chiara Camoni, fa parte di una generazione di artisti che hanno riscoperto l’amore per la Natura e riletto il genere del Paesaggio in modi inaspettati. C’è chi si è affidato alle scoperte scientifiche, Camoni no, tutta la sua opera, adesso esposta a Milano, è esplorazione del territorio a lei vicino, manipolazione di materiali naturali, accentuata fascinazione dell’ordinario tanto da farlo diventare straordinario. E’ quello che succede, per esempio, ai due leoni (anzi leonesse) in pietra serena, dalle forme stilizzate e gli sfavillanti occhi di vetro e labradonite (“Leonesse”, 2024) che accolgono i visitatori all’ingresso dello spazio espositivo, mostrando, a chi avrà la pazienza di fermarsi ad osservare, fossili vegetali ed animali nella tessitura della pietra arenaria particolarmente usata nell’architettura toscana. Questo è uno dei riferimenti, che l’artista originaria di Piacenza, fa alle colline in provincia di Lucca dove si è trasferita (vive a Serravezza un paesino di 12 mila abitanti non lontano delle cave di marmo). Ce ne sono tanti altri, perché il lavoro di Camoni è, in buona parte, un’ode alla bellezza fugace della quotidianità e del presente cui alludono i suoi due cani scolpiti in alluminio e adagiati su un tappeto, al termine del percorso espositivo (“Cani (Bruno e Tre)”, non a caso il materiale che li compone a tratti sembra sgretolarsi).
Stesso discorso per, “Senza titolo (Mosaico)”, parte della serie dei pavimenti realizzati per lo spazio espositivo (che contribuiscono al labirinto orizzontale ideato per la mostra), è composto da frammenti di marmo ritrovati durante le sue passeggiate in Alta Versilia. Qui però l’artista evoca in maniera più diretta il genere del Paesaggio (attraverso i materiali stessi che lo compongono) e la Land Art (le passeggiate intese come performances, la geografia che si fa mappa mentale ecc.). Ma quello di Camoni non è mai un lavoro freddo, cerebrale, asettico; così, nello stesso tempo, l’artista fa pensare ad antichi siti archeologici e ai vecchi pavimenti delle case, muti testimoni di storie mai raccontate e memorie dimenticate.
All’intimità domestica fanno riferimento anche le sete su cui sono state impresse foglie, bacche, fiori. Le sagome che ne sono saltate fuori, sistemate in cerchio su una struttura in ottone, ricordano delle fatine. Camoni di queste opere ha detto: “Sono una mia sintesi di Pasaggio”. Guardandole da vicino si vede la tessitura di motivi vegetali, gli stessi che, a contatto con la stoffa, hanno rilasciato il loro colore.
In mostra c’è pure un tappeto fatto di fiori ed erbe intrecciate (“Living Room”), su cui volteggia un gufetto di ceramica dall’aria buffa.
D’altra parte, tutti gli animali selvatici che fanno capolino nell’opera dell’artista, siano essi di grés smaltato (come i “Vasi Farfalla”, con quegli attimi di colore talmente lattiginoso da sembrare liquido denso), o porcellanato, come i “Tre Serpenti” (composti da piccole ciotole fatte a mano, una ad una), hanno tutti un’aria tutt’altro che minacciosa. Nemmeno toppo vagamente disneyani, danno l’impressione di prendere vita a porte chiuse e mettersi a ballare come i personaggi di “Fantasia”.
Le “Sisters”, invece, con il loro volto (talvolta bifronte) di terracotta nera, le braccia di rami secchi, e le candele colorate come offerte votive (lasciate sciogliere fino a mescolarsi con il corpo dell’opera, o sostituite) e magari con gli occhi di cristalli rossi, sono tutta un’altra storia. Dall’apparenza sia protettiva che malvagia, sembrano depositarie di formule magiche, di un voto remoto che non è possibile sciogliere. Figure ancestrali, un po’ esotiche e un po’ nostrane, ci attirano a sé con i loro manti fatti da migliaia di pezzetti d’argilla lavorati a mano, colorati o al naturale, simili a lunghissimi rosari buddisti, a collane di Paesi lontani, ma anche alla maglia dei braccialetti venduti ai turisti sul lungomare toscano. Del resto nello strascico di una di loro ci sono anche le conchiglie.
Forse per il loro nome, in queste laboriosissime sculture (di solito Camoni crea le parti delle collane che le vestono insieme ad altre persone), qualcuno ha voluto vedere un riferimento al femminismo. Lei le spiega diversamente: “Le Sisters sono delle figure che costellano la mostra che probabilmente fanno parte di una dimensione onirica e inconscia mia personale. Sono figure femminili ma mi verrebbe da dire che comprendono un po’ tutto: comprendono il maschile, l’animale, il vegetale, il minerale. E sono ambigue, accolgono gli opposti e le contraddizioni. Molte di loro hanno anche due facce, due personalità. Ognuna ha un suo portato, ha una sua attitudine e ci chiedono una relazione. Sono nel cambiamento”.