Biennale Venezia| Il profumo della Corea di Koo Jeong A riempie il padiglione del Paese asiatico

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

Chi entra impreparato nel Padiglione Corea della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, potrebbe sentirsi spiazzato. Intorno a lui niente o quasi da guardare. C’è la statua di una figura immaginaria in bronzo che sembra stia spiccando un salto e facendo strani esercizi ginnici contemporaneamente, oltre a una sorta di seduta in legno chiaro e qualche incisione nel pavimento dello stesso materiale e nelle pensiline all’esterno dell’edificio (in vero, sia i motivi incavati che le forme lignee sono simboli dell’infinito). Solo il bel punto di verde-azzurro (a un soffio dal verde Tiffany) che ricopre la metà inferiore delle pareti sembra ridare brio a uno spazio spoglio, minimale, altrimenti fatto apposta per meditare.

In realtà “Odorama Cities” di Koo Jeong A è un progetto ambizioso e se vogliamo persino audace: si propone di portare in laguna l’intera penisola coreana (nord e sud riunite per l’occasione), attraverso i suoi odori più caratteristici. Per questo è invisibile.

Koo, nata nel ’67 a Seoul, dagli anni ’90 vive in Europa, prima studentessa all’Ecole des Beaux-Arts abitava a Parigi, poi, diventata la compagna del famoso curatore svizzero Hans Ulrich Obrist, si è spostata verso nord (adesso la coppia vive tra Londra e Berlino). A farla conoscere al grande pubblico sono state le piste da skatebord scultoree dipinte con vernice fotoluminescente che alla sera si illuminano. Ha operato con vari media ma il pallino per i profumi ce l’ha fin dagli esordi: “Nel 1996- ha detto in un’intervista- ho realizzato una mostra di 3 giorni nel mio studio di casa a Parigi, Pullover's Wardrobe , perché stavo cambiando studio e volevo celebrare quel cambiamento. Ho invitato tutti quelli che conoscevo a Parigi ad entrare nello spazio individualmente e ad annusare un'installazione di naftalina, e loro ricordano ancora oggi quello spettacolo. (…) mi resi conto che potevo usare il profumo come un modo per collegare la memoria (…)

Odorama Cities”, curata da Seolhui Lee (che attualmente lavora alla Kunsthal Aarhus in Danimarca) e dal critico danese Jacob Fabricius, ha richiesto una lunga preparazione. L’artista e gli organizzatori, infatti, hanno fatto circolare il più possibile la domanda: “Qual è il tuo ricordo di un profumo della Corea?” Il pubblico (prevalentemente coreano d’origine ma non solo) ha fornito 600 risposte (che si possono consultare sul sito del Padiglione Corea di quest’anno) da cui Koo ha tratto degli elementi ricorrenti. Sulla base di questi ultimi, ha infine chiesto ad alcuni profumieri (soprattutto francesi ma c’è anche un’azienda irlandese, una giapponese e una coreana) di sviluppare delle fragranze. Ne sono nate 16 sperimentali più una commerciale, che adesso si diffondono in punti diversi dell’edificio in cui il Paese asiatico ha sede ai Giardini della Biennale.

Sono effluvi apparentemente bizzarri come: profumo di città, di persone, di Seoul, della magnolia di Siebold, di salato, di nebbia, di luce del sole, d’albero coreano, di jangdokdae (tradizionali vasi di terracotta che si usano, ad esempio, per fare fermentare il kimchi), di riso, di legna da ardere, della casa dei nonni, del mercato del pesce, di bagno pubblico e di vecchi elettrodomestici. Per non parlare degli odori che confluiscono in “Odorama Cities” (la fragranza principale che prende il nome dal progetto e contiene: odore di mare, di montagna, di luce solare, di polvere, di fiume, d’inverno, di acqua marcia e ammuffita, di foglie cadute, di riso, di erbe medicinali coreane, di incenso, di legno laccato, di costruzione in legno, di gas di scarico, di ferro, di pavimento Ondol, di stabilimento balneare pubblico, di serbatoi delle acque reflue).

D’altra parte, le risposte fornite dal pubblico erano altrettanto variegate e precise. L’artista in merito ha spiegato: “Una persona ha scritto dell'odore di un fiore che aveva visto su una montagna in Corea e ha ricordato quando è andata, come è arrivata lì, con chi ha viaggiato e l'atmosfera di quel giorno. Qualcun altro ha descritto di ricordare questi piccoli dolci (…). Alcune persone ricordavano i pasti cucinati e consumati con le loro famiglie; i profumi degli ingredienti e lo stare insieme. C'erano anche memorie industriali. Un uomo ha ricordato l'odore del carbone della miniera che suo padre dirigeva nella Corea del Nord durante la seconda guerra mondiale. Questi ricordi creano una rete di associazioni incredibilmente estesa”.

Alcune persone, da tempo distanti dal loro paese d’origine, hanno persino rievocato odori sentiti decine di anni prima

Attraverso questi tasselli olfattivi lontani nel tempo e nello spazio l’uno dall’altro, Koo Jeong A, ha ricostruito il suo Paese d’origine. Restituendolo perciò come un luogo mitico, sfaccettato e raccontato in maniera corale. Trasformato in un’entità senza corpo, che in mostra viene modificata costantemente, per quanto in maniera impercettibile (dall’odore delle altre persone in visita, da quello della natura del parco in cui hanno sede i padiglioni nazionali, dalle stagioni, dal meteo). Interessante anche il fatto che il pubblico, da parte sua, possa adattare la narrazione di “Odorama Cities” alla propria esperienza personale, ridefinendo cronologicamente, geograficamente o emotivamente l’installazione (per esempio, l’odore del mercato del pesce di Seul ad un italiano può far venire in mente quello di Venezia; un vegetariano associarlo a sentimenti negativi, un pescatore positivi; e ognuno di loro legarlo a memorie precedenti di fatti avvenuti in momenti diversi della propria vita). Arrivando fino ad interessare il futuro, attraverso un gioco di ricordi ritrovati e creati che si incrociano e sovrappongono durante la visita ai Giardini.

L’opera, profondamente consonante con il tema della Biennale di quest’anno (“Stranieri Ovunque”), celebra il sessantesimo compleanno dell’Esposizione Internazionale d’Arte insieme al trentesimo anniversario del Padiglione Corea.

Ho voluto creare- ha detto Koo - una visione transnazionale di ciò che la Biennale di Venezia potrebbe essere come uno spazio poroso e sconfinato, dove le persone possono immaginare insieme futuri comuni”.

Proprio perché fatta di profumi, “Odorama Cities”, tuttavia, suscita risposte profondamente personali e con ogni probabilità colpisce più facilmente i coreani o chi ha almeno visitato il Paese asiatico. Gli altri si potrebbero ritrovare a vagare per gli spazi espositivi senza riferimenti visivi adatti a individuare i punti da cui si propagano i singoli aromi (solo la scultura in bronzo è un diffusore efficiente e ben visibile). Oppure semplicemente non trovare la nota olfattiva capace di innescare la risposta a catena di ricordi e emozioni da cui l’installazione trae la propria forza.

Ad ogni modo “Odorama Cities”, il Padiglione Corea di Koo Jeong A per la Biennale di Venezia “Stranieri Ovunque- Foreigners Everywere, è per sua natura un’installazione che non si può raccontare e di cui il pubblico deve fare esperienza personalmente per poter decidere se valeva la pena o no dedicarle parte del proprio tempo in laguna.

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

Biennale di Venezia 2022| Gyre, l'avveniristico e stupefacente Padiglione Corea di Yunchul Kim

Yunchul Kim, Chroma V. Korean Pavilion, 2022. Courtesy of the artist. Photo by Roman März

Il processo creativo è una cosa molto personale. La scintilla che innesca la nascita di un opera d’arte si manifesta in modi diversi. Yunchul Kim, che quest’anno con la magnetica ed avveniristica mostra “Gyre al Padiglione Corea della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte (La Biennale di Venezia) si sta guadagnando un consenso pressochè unanime, sogna.

Non è l’unico artista ad essere vistitato la notte dalle opere che un giorno realizzerà (sono anzi parecchi) ma è una caratteristica della sua pratica che sembra non accordarsi con il carattere scientifico (quasi fantascientifico anzi) delle sculture. Eppure è così. E a ben guardare, una volta familiarizzato con le imponenti installazioni di Kim, la nota onirica è anzi evidente (molto adatta al tema de “Il latte dei sogni”): a volte richiamano oggetti d’uso comune trasfigurati fino all’estremo limite, mentre altre animali. Senza contare che tutte sembrano vive.

D’altra parte lui su questo punto è perentorio: "Considero le mie opere come esseri viventi".

“Gyre”, la mostra che ha costruito per il Padiglione Corea del 2022, poi, è quasi un ecosistema. Perchè tre delle cinque sculture che la compongono sono legate tra loro. Come un unico corpo (del quale sono in effetti una metafora).

Per la Biennale, l’artista e compositore di musica elettronica sud coreano, si è ispirato al primo verso "The Second Coming" di William Butler Yeats (1865-1939), in cui il poeta irlandese fa riferimento a un vortice (gyre) storico in grado di scombussolare in modo permanente il mondo conosciuto (all’indomani della prima guerra mondiale, Butler Yeats, si era trovato in mezzo a una pandemia di influenza). Yunchul Kim, che oltre ad amare le scienze nutre interesse per filosofia, antropologia e mitologia, ci ha visto anche due concetti squisitamente orientali: quello di ciclicità e l’idea secondo la quale l’uomo è il tramite tra cielo e terra.

Così il suo Padiglione Corea ha una testa (la scultura Argos) e una spina dorsale (Chroma V). La seconda, ben visibile fin dall’ingresso del visitatore nelle stanze del luminoso edificio che guarda la laguna, è lunga 50 metri, attorcigliata su se stessa, si muove con straordinaria naturalezza. Ad ogni contorsione i colori irreali delle 382 celle che ne costituiscono le articolazioni mutano (di qui il nome Chroma). Sono belli, cosmici, intensi e pieni di sfumature. "Mentre altri artisti- ha detto Kim a Korea Times- usano coloranti e pigmenti per esprimere il colore, io uso l'ottica; creando sfumature iridescenti nate dalla luce mentre viene distorta mentre passa attraverso una certa sostanza". D’altra parte, l’artista esplora le potenzialità artistiche della fluidodinamica e le opere sono il risultato di anni di ricerca e sperimentazioni sui materiali.

I movimenti di Chroma V, tuttavia, non sono spontanei. A consentirle il dinamismo è il cervello dell’esposizione, la scultura meno magnetica (anche se non la meno imponente) che si trova nella stanza a fianco: Argos – The Swollen Suns. L’opera ha una forma astratta dall’estetica persino troppo vezzosa. Fa rumore e lampeggia. Senza sapere di cosa si tratta potrebbe essere accusata di somigliare ai marchingegni comparsi in questo o quel videogioco. Ma Argos non si limita a dar mostra di se: composta da 246 tubi Geiger-Muller, segnala con luci e suoni di aver rilevato dei muoni. Questi ultimi si creano quando le particelle cosmiche entrano in collisione con l’atmosfera terrestre- Argos li rileva in tempo reale, facendo muovere sia Chroma V che l’installazione Impulse.

Se Argos è la testa e il 'cielo' della mostra Impulse è la sua 'terra'. Infatti, simile a un lampadario, pompa in continuazione acqua marina proveniente da Venezia attraverso centinaia di tubi che connettono il Padiglione al mondo al di là dell’esposizione.

Poi ci sono La Poussière de Soleils, il cui scopo è mostrare colori incredibili (ma solo indosssando gli appositi occhiali) per crearla Kim si è dovuto inventare un materiale.che prima non esisteva. E Flare in cui un liquido simile a metallo, apparentemente in barba alle leggi della fisica, a scadenza ritmica si alza con sempre maggior slancio. Forma delle colline, quasi gocciola al contrario. L’effetto è strano e capace di ipnotizzare.

E poi c’è un enorme disegno fatto col gesso dallo stesso artista (fresco, intricato, vibrante, e non meno bello delle sculture). Pare che non fosse in programma, ma dato che Kim ne traccia in continuazione non abbia saputo resistere a vedere l’effetto a parete.

L’imperdibile mostra “Gyre” di Yunchul Kim, per il Padiglione della Repubblica di Corea della Biennale di Venezia è curata da Young-chul Lee. E si potrà visitare ai Giardini per tutta la durata della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte (fino al 27 novembre 2022).

Yunchul Kim, Argos - the Swollen Suns. Korean Pavilion, 2022. Courtesy of the artist. Photo by Roman März

Yunchul Kim, Chroma V. Korean Pavilion, 2022. Courtesy of the artist. Photo by Roman März

L'artista accanto a Chroma V. Yunchul Kim, Portrait. Photo

Yunchul Kim, Impulse. Korean Pavilion, 2018. Courtesy of the artist. Photo by Roman März

Yunchul Kim, La Poussière de Soleils. Korean Pavilion, 2022. Courtesy of the artist. Photo by Roman März

Biennale di Venezia 2017| Lee Wan che si è inventato un’equazione per calcolare esattamente quanti minuti al giorno lavoriamo per mangiare

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Entrando nella sala che il Padiglione Corea della Biennale di Venezia ha dedicato all'installazione "Proper Time" dell’artista Lee Wan, si resta catturati nel vedere le pareti tappezzate da dicine di orologi.

Sono tutti uguali ma su ognuno è scritto un nome, un anno, una professione e un Paese diversi. Ci si chiede perché ed inevitabilmente si pensa al destino, allo scorrere del tempo, alla morte.
Sbagliato!

'Proper time’ non parla di questi temi. In modo molto più pragmatico l’artista si è domandato quanti minuti al giorno tocca lavorare per pagarsi da mangiare. E quanto questo lasso di tempo cambia a seconda del Paese in cui si abita, della professione e dell’età. Visto che messa così la questione presenta parecchie variabili e che Lee Wan è una persona precisa, ha deciso di inventare una formula matematica per calcolarlo con esattezza. E l’ha usata su un campione da lui personalmente esaminato. Per completare ‘Proper time”, ha impiegato 5 anni in cui ha viaggiato in vari Paesi e intervistato persone diverse tra loro.

"I pasti sono necessità universali che trascendono i confini, le classi e le religioni- spiega Lee Wan- Presentando i valori dei pasti per la colazione in diverse condizioni (determinate dal PIL, dalla cultura, dalla tradizione, dalla religione, dalla ricchezza, dalle differenze di lavoro e dalle differenze biologiche), ho inteso quantificare il tempo di ogni singolo sforzo nei termini della teoria del tempo di Einstein (…)E poi mi sono chiesto se è anche possibile valutare la propria vita in base a tali norme economiche." (…)

Al centro della stanza che ospita l’installazione ‘Proper time’, è stata posizionata la scultura ‘For a better Tomorrow’ che riproduce l’iconografia classica delle immagini di propaganda. Ma i personaggi sono senza volto e l’opera è stata realizzata in plastica.

"I miei genitori hanno vissuto i giorni della ricostruzione e dello sviluppo del Paese lasciato in rovina dalla Guerra di Corea (…)"Per un domani migliore", "L’esportazione è l’unica via d’uscita" e "Il sudore di oggi è la felicità di domani" sono slogan di quei tempi. Il governo coreano, allora, promuoveva gli slogan e le immagini propagandistiche che promettevano un futuro migliore come risultato di un duro lavoro nel presente. Il tempo è passato, e adesso noi viviamo quel futuro. Ma guarda il nostro Paese oggi."

Lee Wan presenta anche altre opere nel Padiglione Corea della Biennale di Venezia 2017. La mostra intitolata “Counterbalance: the stone and the mountain”, curata da Lee Daehyung, lo vede protagonista insieme a Cody Choi.

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Immagine by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Immagine by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion