“Dance with Daemons” alla Fondazione Beyeler, per dormire su un letto-robot di Höller con gli occhi al firmamento dell’arte contemporanea

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 Philippe Parreno, Membrane, 2023, cybernetic structure with sensorimotor capabilities and generative language processing; courtesy of the artist © Philippe Parreno; Fujiko Nakaya, Untitled, 2024, Potable water, 600 Meefog nozzles, High pressure pump motor system, Courtesy of the artist, © Fujiko Nakaya photo: Mark Niedermann

Fino all’11 agosto i visitatori della Fondazione Beyeler di Riehen (a una manciata di chilometri da Basilea, nella Svizzera tedesca) avranno la possibilità di vedere un museo del tutto trasformato, all’interno di un’esposizione temporanea concepita come “un organismo vivente” che si “evolve e muta nel tempo”. E poi potranno dormire in un’opera dell’artista tedesco Carsten Höller che, insieme al giovane (ma già molto affermato) scienziato Adam Haar, com’è sua abitudine, coglierà l’occasione per studiarli. Perché nell’opera “Dream Hotel Room 1: Dreaming Flying with Flying Fly Agarics” il letto del pubblico è un robot che rileva l’attività onirica delle persone e si muove di conseguenza.

L’esposizione, realizzata in collaborazione con la Luma Foundation di Zurigo, ha un titolo grintoso ed evocativo come “Dance with Daemons”, che ben si adatta ai concerti di musica elettronica che si terranno nel parco del museo per celebrare ed ammirare i tramonti d’estate con la giusta atmosfera. Ma soprattutto, sperimentale e (a suo modo) egualitaria, la mostra mette insieme un firmamento di stelle dell’arte contemporanea ma anche di molti altri campi. Gli organizzatori hanno, infatti, chiamato un gruppo di artisti e curatori (Sam Keller, Mouna Mekouar, Isabela Mora, Hans Ulrich Obrist, Precious Okoyomon, Philippe Parreno e Tino Sehgal) che, oltre ad ideare l’esposizione, a loro volta hanno chiesto di partecipare ad artisti, poeti, architetti, designer, musicisti, compositori, filosofi e ricercatori. “A tutti loro- ha scritto la fondazione svizzera- è stata data licenza di trasformare gli spazi della Fondation Beyeler, siano essi le sale, i giardini, le terrazze, ma anche gli ambienti non convenzionali come la biglietteria, la ‘green room’, lo shop, il foyer e il giardino d’inverno. Per il pubblico è un’opportunità imperdibile di riscoprire in modo inaspettato le sale espositive esistenti e di esplorare le aree meno abituali del museo”.

L’elenco completo comprende trenta nomi di diverse nazionalità (anche se sono molti gli statunitensi e diversi i francesi) e discipline (ma tutti almeno un po’ famosi, alcuni molto). Ci sono: l’artista britannico- keniota, Michael Armitage, la poetessa statunitense, Anne Boyer, il filosofo italiano, Federico Campagna, l’artista statunitense, Ian Cheng, il musicista e poeta statunitense, Chuquimamani-Condor, il musicista statunitense di origine indigena, Joshua Chuquimia Crampton, la pittrice sudafricana, Marlene Dumas, l’architetto messicana, Frida Escobedo, l’artista svizzero, Peter Fischli, l’artista francese, Cyprien Gaillard, il pittore rumeno, Victor Man, l’artista francese, Dominique Gonzalez-Foerster, l’artista statunitense, Wade Guyton, , Carsten Höller con Adam Haar appunto, l’artista francese, Pierre Huyghe, l’artista e cineasta statunitense, Arthur Jafa, l’artista coreana, Koo Jeong A (che quest’anno rappresenta la Corea alla Biennale di Venezia), l’artista statunitense, Dozie Kanu, l’artista brasiliano, Cildo Meireles, l’artista brasiliano, Jota Mombaça, l’artista giapponese, Fujiko Nakaya, la poetessa statunitense, Alice Notley, l’artista e poetessa nigeriano-americana, Precious Okoyomon, l’artista francese, Philippe Parreno, l’artista statunitense, Rachel Rose, l’artista tedesco- indiano, Tino Sehgal, l’artista di origine tailandese ed argentina (ora vive tra NYC, Berlino e Chiangmai), Rirkrit Tiravanija, l’artista franco-marocchino, Ramdane Touhami e lo sculture argentino, Adrián Villar Rojas.

Ad ogni modo gli ideatori, probabilmente prendendo spunto dalla struttura della scorsa edizione di Documenta (lì è stato un mezzo disastro, ma si trattava di collettivi del sud del mondo animati da uno spirito piuttosto sessantottino), hanno deciso di puntare sullo “scambio interdisciplinare e la responsabilità collettiva”. In sostanza si sono consultati a vicenda ma nell’ottica di un’organizzazione orizzontale.

Insieme hanno scelto di costruire la mostra come “un organismo vivente”, cioè di lavorare su un palinsesto dinamico. Sia nel senso che in ogni fase si si sono consultati tra loro, sia che l’hanno riempita con un ricco programma di eventi (mostre, momenti sociali, performance, concerti, letture di poesie, conferenze e attività svolte in comune), che non sono paralleli all’esposizione ma parte di essa e cambiano a seconda dell’ora del giorno in cui si entri nella Beyeler Foundation.

Una proposta dinamica più che statica- hanno spiegato con un linguaggio tutt’altro che chiaro, Parreno e Okoyomon- un progetto ontologico che si evolve e riflette la complessità e molteplicità insite nell’incontro di voci artistiche differenti sotto uno stesso tetto”.

Per tutta la durata dell’esposizione l’artista tedesco Carsten Höller presenterà “Dream Bed”, il suo ultimo progetto realizzato in collaborazione con lo scienziato cognitivo esperto di sonno e sogni, Adam Haar (co-inventore del dispositivo Dormio e della tecnica Targeted Dream Incubation che aiuta le persone a modificare i propri sogni, sta attualmente costruendo strumenti per il trattamento degli incubi). L’opera, che per esteso si chiama “Dream Hotel Room 1: Dreaming Flying with Flying Fly Agarics”, è una camera d’hotel posta all’interno del museo svizzero in cui i visitatori potranno schiacciare un pisolino durante il giorno al prezzo del biglietto, oppure dove potranno trascorrere un’intera notte di sonno (tra il venerdì e il sabato). Chi deciderà di provare l’opera di Höller diventerà, come sempre accade nel suo lavoro, una cavia da laboratorio. Il “Dream bed”, infatti, è un letto-robot che si muove in sincronia con l’attività onirica di chi lo usa, capace di rilevare i sogni attraverso sensori nel materasso (che misurano la frequenza cardiaca, la respirazione e i movimenti). Inoltre, quando l’ospite dell’opera sarà sul punto di addormentarsi o di svegliarsi, sopra la sua testa comincerà a ruotare la riproduzione di un fungo dai riflessi rossi.

Per dormire per davvero nella stanza con letto- robot di Höller bisogna prenotare online. I prezzi dovrebbero essere variabili per adattarsi a tutte le tasche ma, a parte la notte destinata agli studenti (già prenotata), non si possono dire molto abbordabili (mentre questo articolo viene redatto la camera è in vendita tra i 600 e i 2mila franchi svizzeri). Tuttavia, a pochi giorni dell’inaugurazione, oltre la metà delle date disponibili sono già andate esaurite.

Dance with Daemons” alla Beyeler Foundation di Riehen (Basilea) è stata inaugurata il 19 maggio scorso e durerà fino all’11 agosto 2024. “Nel corso della sua durata- promettono gli organizzatori- la mostra di gruppo interdisciplinare si evolverà e cambierà, proprio come un organismo vivente”. Di certo l’esposizione si trasformerà drasticamente, in seguito, quando verrà presentata ad Arles e in altre sedi della Luma Foundation.

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 © Gerhard Richter; Marlene Dumas; 2024, ProLitteris, Zurich photo: Mark Niedermann

INSTALLATION VIEW Wade Guyton, Untitled, 2023-24, Twenty-six paintings, all Epson UltraChrome HDX inkjet on linen Each painting: 213.4 x 175.3 cm Installation view photo: Courtesy der Künstler

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 Thomas Schütte, Hase, 2013, Patinated bronze; Fujiko Nakaya, Untitled, 2024, Potable water, 600 Meefog nozzles, High pressure pump motor system, Courtesy of the artist © 2024, ProLitteris, Zurich photo: Mark Niedermann

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 © Roni Horn; Josef Albers and Anni Albers Foundation; Mondrian/Holtzman Trust c/o HCR International Warrenton, VA USA; Ellsworth Kelly; 2024, ProLitteris, Zurich Photo: Mark Niedermann

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 Dominique Gonzalez-Foerster, Untitled (nuage), 2024, LED screen, courtesy of the artist © Dominique Gonzalez-Foerster photo: Mark Niedermann

RACHEL ROSE, WHAT TIME IS HEAVEN, 2024 © Rachel Rose

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 Adrián Villar Rojas, The End of Imagination VI, 2024, live simulations of active digital ecologies, and layered composites of organic, inorganic, human and machine-made matter, courtesy the artist © Adrián Villar Rojas photo: Mark Niedermann

INSTALLATION VIEW Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2024 Philippe Parreno, Membrane, 2023, cybernetic structure with sensorimotor capabilities and generative language processing; courtesy of the artist © Philippe Parreno; Fujiko Nakaya, Untitled, 2024, Potable water, 600 Meefog nozzles, High pressure pump motor system, Courtesy of the artist, © Fujiko Nakaya photo: Mark Niedermann

Biennale Venezia| Il profumo della Corea di Koo Jeong A riempie il padiglione del Paese asiatico

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

Chi entra impreparato nel Padiglione Corea della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, potrebbe sentirsi spiazzato. Intorno a lui niente o quasi da guardare. C’è la statua di una figura immaginaria in bronzo che sembra stia spiccando un salto e facendo strani esercizi ginnici contemporaneamente, oltre a una sorta di seduta in legno chiaro e qualche incisione nel pavimento dello stesso materiale e nelle pensiline all’esterno dell’edificio (in vero, sia i motivi incavati che le forme lignee sono simboli dell’infinito). Solo il bel punto di verde-azzurro (a un soffio dal verde Tiffany) che ricopre la metà inferiore delle pareti sembra ridare brio a uno spazio spoglio, minimale, altrimenti fatto apposta per meditare.

In realtà “Odorama Cities” di Koo Jeong A è un progetto ambizioso e se vogliamo persino audace: si propone di portare in laguna l’intera penisola coreana (nord e sud riunite per l’occasione), attraverso i suoi odori più caratteristici. Per questo è invisibile.

Koo, nata nel ’67 a Seoul, dagli anni ’90 vive in Europa, prima studentessa all’Ecole des Beaux-Arts abitava a Parigi, poi, diventata la compagna del famoso curatore svizzero Hans Ulrich Obrist, si è spostata verso nord (adesso la coppia vive tra Londra e Berlino). A farla conoscere al grande pubblico sono state le piste da skatebord scultoree dipinte con vernice fotoluminescente che alla sera si illuminano. Ha operato con vari media ma il pallino per i profumi ce l’ha fin dagli esordi: “Nel 1996- ha detto in un’intervista- ho realizzato una mostra di 3 giorni nel mio studio di casa a Parigi, Pullover's Wardrobe , perché stavo cambiando studio e volevo celebrare quel cambiamento. Ho invitato tutti quelli che conoscevo a Parigi ad entrare nello spazio individualmente e ad annusare un'installazione di naftalina, e loro ricordano ancora oggi quello spettacolo. (…) mi resi conto che potevo usare il profumo come un modo per collegare la memoria (…)

Odorama Cities”, curata da Seolhui Lee (che attualmente lavora alla Kunsthal Aarhus in Danimarca) e dal critico danese Jacob Fabricius, ha richiesto una lunga preparazione. L’artista e gli organizzatori, infatti, hanno fatto circolare il più possibile la domanda: “Qual è il tuo ricordo di un profumo della Corea?” Il pubblico (prevalentemente coreano d’origine ma non solo) ha fornito 600 risposte (che si possono consultare sul sito del Padiglione Corea di quest’anno) da cui Koo ha tratto degli elementi ricorrenti. Sulla base di questi ultimi, ha infine chiesto ad alcuni profumieri (soprattutto francesi ma c’è anche un’azienda irlandese, una giapponese e una coreana) di sviluppare delle fragranze. Ne sono nate 16 sperimentali più una commerciale, che adesso si diffondono in punti diversi dell’edificio in cui il Paese asiatico ha sede ai Giardini della Biennale.

Sono effluvi apparentemente bizzarri come: profumo di città, di persone, di Seoul, della magnolia di Siebold, di salato, di nebbia, di luce del sole, d’albero coreano, di jangdokdae (tradizionali vasi di terracotta che si usano, ad esempio, per fare fermentare il kimchi), di riso, di legna da ardere, della casa dei nonni, del mercato del pesce, di bagno pubblico e di vecchi elettrodomestici. Per non parlare degli odori che confluiscono in “Odorama Cities” (la fragranza principale che prende il nome dal progetto e contiene: odore di mare, di montagna, di luce solare, di polvere, di fiume, d’inverno, di acqua marcia e ammuffita, di foglie cadute, di riso, di erbe medicinali coreane, di incenso, di legno laccato, di costruzione in legno, di gas di scarico, di ferro, di pavimento Ondol, di stabilimento balneare pubblico, di serbatoi delle acque reflue).

D’altra parte, le risposte fornite dal pubblico erano altrettanto variegate e precise. L’artista in merito ha spiegato: “Una persona ha scritto dell'odore di un fiore che aveva visto su una montagna in Corea e ha ricordato quando è andata, come è arrivata lì, con chi ha viaggiato e l'atmosfera di quel giorno. Qualcun altro ha descritto di ricordare questi piccoli dolci (…). Alcune persone ricordavano i pasti cucinati e consumati con le loro famiglie; i profumi degli ingredienti e lo stare insieme. C'erano anche memorie industriali. Un uomo ha ricordato l'odore del carbone della miniera che suo padre dirigeva nella Corea del Nord durante la seconda guerra mondiale. Questi ricordi creano una rete di associazioni incredibilmente estesa”.

Alcune persone, da tempo distanti dal loro paese d’origine, hanno persino rievocato odori sentiti decine di anni prima

Attraverso questi tasselli olfattivi lontani nel tempo e nello spazio l’uno dall’altro, Koo Jeong A, ha ricostruito il suo Paese d’origine. Restituendolo perciò come un luogo mitico, sfaccettato e raccontato in maniera corale. Trasformato in un’entità senza corpo, che in mostra viene modificata costantemente, per quanto in maniera impercettibile (dall’odore delle altre persone in visita, da quello della natura del parco in cui hanno sede i padiglioni nazionali, dalle stagioni, dal meteo). Interessante anche il fatto che il pubblico, da parte sua, possa adattare la narrazione di “Odorama Cities” alla propria esperienza personale, ridefinendo cronologicamente, geograficamente o emotivamente l’installazione (per esempio, l’odore del mercato del pesce di Seul ad un italiano può far venire in mente quello di Venezia; un vegetariano associarlo a sentimenti negativi, un pescatore positivi; e ognuno di loro legarlo a memorie precedenti di fatti avvenuti in momenti diversi della propria vita). Arrivando fino ad interessare il futuro, attraverso un gioco di ricordi ritrovati e creati che si incrociano e sovrappongono durante la visita ai Giardini.

L’opera, profondamente consonante con il tema della Biennale di quest’anno (“Stranieri Ovunque”), celebra il sessantesimo compleanno dell’Esposizione Internazionale d’Arte insieme al trentesimo anniversario del Padiglione Corea.

Ho voluto creare- ha detto Koo - una visione transnazionale di ciò che la Biennale di Venezia potrebbe essere come uno spazio poroso e sconfinato, dove le persone possono immaginare insieme futuri comuni”.

Proprio perché fatta di profumi, “Odorama Cities”, tuttavia, suscita risposte profondamente personali e con ogni probabilità colpisce più facilmente i coreani o chi ha almeno visitato il Paese asiatico. Gli altri si potrebbero ritrovare a vagare per gli spazi espositivi senza riferimenti visivi adatti a individuare i punti da cui si propagano i singoli aromi (solo la scultura in bronzo è un diffusore efficiente e ben visibile). Oppure semplicemente non trovare la nota olfattiva capace di innescare la risposta a catena di ricordi e emozioni da cui l’installazione trae la propria forza.

Ad ogni modo “Odorama Cities”, il Padiglione Corea di Koo Jeong A per la Biennale di Venezia “Stranieri Ovunque- Foreigners Everywere, è per sua natura un’installazione che non si può raccontare e di cui il pubblico deve fare esperienza personalmente per poter decidere se valeva la pena o no dedicarle parte del proprio tempo in laguna.

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower

KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower