Chi entra all’Arsenale quest’anno trova ad accoglierlo una figura monumentale. Silenziosa ed enigmatica, naturale ed elegante. Apparentemente imperturbabile. Si tratta di “Brick House” dell’artista statunitense Simone Leigh, che oltre ad essersi aggiudicata il Leone d’Oro come miglior artista partecipante alla Biennale di Venezia, “Il Latte dei Sogni”, curata da Cecilia Alemani, alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, rappresenta anche il suo Paese. Con la mostra “Sovereignty” in un Padiglione Stati Uniti per l’occasione trasformato in edificio africaneggiante (che però prende di mira l’Esposizione Coloniale di Parigi del ’31), con pali di legno a rivestire le facciate e il tetto completamente ricoperto di paglia, Leigh, ha fatto centro.
Tutto però nasce da “Brick House”. Originariamente esposta alla rassegna d’arte organizzata nel parco soprelevato High Line di New York, la scultura rappresenta il monumentale busto di una donna nera, con i capelli acconciati in treccioline, fermate ad una ad una da conchiglie di ciprea (un simbolo ricorrente nella poetica di Leigh che, per modellarle, usa come stampo un’anguria). La figura non ha occhi ma guardandola si ha l’impressione che, più che non vedere gli altri, non voglia che le persone incontrino il suo sguardo, percependo i suoi pensieri.
Già a portare l’opera alta 5 metri di fronte alla 10ma Avenue ci aveva pensato Cecilia Alemani. "Sono rimasta molto colpita dal suo lavoro alla mostra Kitchen (una personale di Leigh tenutasi a Chelsea nel 2012 ndr)- ha detto Alemani al giornalista Calvin Tomkins su New Yorker- È stato sicuramente qualcosa di inaspettato rispetto a quello che stava succedendo in quel momento, e ho potuto vedere che con il giusto supporto poteva portare la sua pratica a un altro livello". Così l’artista, nata a Chicago da una famiglia benestante di pastori nazareni d’origine giamaicana, con un quarto di milione di dollari a disposizione, ha potuto creare “Brick House”.
Parte della serie “Anatomy of Architecture”, in cui corpi e riferimenti architettonici si fondono, l’opera è una scultura bronzea. Un materiale relativamente nuovo per Simone Leigh, abituata a lavorare la ceramica. Tuttavia, proprio l’uso costante ed ostinato di questa pratica, anche quando il mondo dell’Arte relegava chiunque vi si avvicinasse nel girone delle Arti Applicate senza possibilità di redenzione, l’ha aiutata a portarla a termine. Per realizzare il pieno, da cui trarre gli stampi per colare il metallo, infatti, sono servite circa due tonnellate di argilla. Poi il materiale appositamente prelevato da una cava francese (che si dice sia quella che usò Auguste Rodin) sono state montate su un'armatura e scolpite.
Se il volto dà un genere, un’etnia e una rarefatta ma intensa empatia a Brick House, la gonna, simile ad una casa d’argilla, le serve per mettere radici nella società. A definirne il pensiero. Che è cosmopolita e variegato, con riferimenti all’architettura in argilla e legno del popolo Batammaliba in Benin e Togo, alle case a obice dei Mousgoum in Ciad e Camerun e al ristorante Mammy's Cupboard, a Natchez, in Mississippi. Quest’ultimo riproduce bellamente lo stereotipo razzista della lavoratrice domestica di colore: la Mammy. Anche se a sua discolpa va detto che è stato costruito nel ’40 e recentemente ha cercato di rappezzare la situazione, ridipingendo il volto della figura che ospita il ristorante con un colore più chiaro.
Il nome del busto bronzeo di Leigh letteralmente significa: casa di mattoni. Fa riferimento a un film documentario ma è soprattutto un’espressione afroamericana: "Se chiamassi qualcuno una casa di mattoni- ha spiegato l’artista sempre a New Yorker- qualsiasi persona di colore saprebbe di cosa stavo parlando. È una donna che... esito a usare la parola 'forte', a causa degli stereotipi delle donne nere come torri di forza. Si tratta dell'idea di una donna ideale, ma molto diversa dalla donna ideale occidentale, che è fragile”.