Stan Douglas fa rivivere la scomparsa Penn Station di New York in una serie di incredibili fotografie

Stan Douglas, 2 marzo 1914 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm) All images © Stan Douglas, Courtesy of the artist and David Zwirner

Stan Douglas, 2 marzo 1914 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm) All images © Stan Douglas, Courtesy of the artist and David Zwirner

L’artista statunitense Stan Douglas, su commissione dell'Empire State Development in collaborazione con il Public Art Fund, ha ricostruito con un pionieristico mix di computer grafica e fotografia digitale la vita brulicante e la suntuosa architettura della scomparsa Pennsylvania Station o New York Penn Station.

Il progetto si chiama "Penn Station’s Half Century", e si compone di nove immagini che rappresentano altrettanti momenti cardine della storia della centralissima diramazione ferroviaria in stile Beux Arts abbattuta a partire dal ‘63 del secolo scorso pr far posto al Madison Square Garden.

C'è una tendenza generale nel mio lavoro- ha spiegato Stan Duglas- in cui cerco di guardare ai momenti di transizione della Storia, quelli in cui accade qualcosa di cruciale in termini di sviluppo della società. Di solito mi interessa una sorta di rottura. "

Per selezionare i nove momenti dirimenti di cui “Penn Station’s Half Century" si compone, Stan Duglas, ha lavorato con un ricercatore e letto migliaia di articoli. Le scene vanno dallo spettacolo improvisato dagli artisti di Vaudeville nel ‘14, (prima del ‘15, quando fecero la loro comparsa lungometraggi muti, gli attori si spostavano tutti i giorni in treno per portare l’intrattenimento nelle città del Paese), bloccati da una tempesta di neve in stazione insieme ad altri passeggeri. Fino alla ricostruzione della Penn Station negli studi della MGM di Los Angeles per il film The Clock di Vincent Minnelli nel ‘45. Ma soprattutto nel ‘41 lo snodo diverrà unn paesaggio iconico per migliaia di soldati che salutavano le loro fidanzate con un bacio prima di partire per il fronte.

Di lì in poi il traffico aereo avrebbe prevalso lasciando che la Penn Station cadesse in disuso.

Per creare “Penn Station’s Half Century", Stan Duglas, ha scansionato e fotografato oltre 400 attori, vestiti con 500 costumi d’epoca, durnte 4 giorni di riprese in una struttura sportiva di Vncouver. Gli elementi architettonici sono stati ricostruiti attraverso in computr grafica da uno studio di effetti visivi nominato agli Emmy.

“Quando ho visto la documentazione che mi hanno inviato sul progetto- ha proseguito Duglas- e mi hanno mostrato le immagini della vecchia Penn Station. Mi sono ricordato de ?Il bacio dell'assassino? di Stanley Kubrick. Una delle scene di apertura è stata ambientata negli atri della Penn Station, e ho immediatamente immaginato di raffigurare la vita quotidiana di quel luogo usando sia la computer grafica che l'azione dal vivo, e ci ho provato ".

Per chi ama la Storia della Grande Mela, ma anche per chi vive o visita New York questa serie di fotografie di Stan Duglas è imperdibile. "Penn Station’s Half Century", divisa in quattro grandi pannelli, è installata nella nuova Moynihan Train Hall di New York ma è anche disponibile virtualmente nello spazio di approfondimento dedicatole dalla Galleria David Swirner. (via Designboom)

Stan Douglas, 22 aprile 1924 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm)

Stan Douglas, 22 aprile 1924 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm)

Stan Douglas, 15 settembre 1944 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm)

Stan Douglas, 15 settembre 1944 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm)

Stan Douglas, 10 novembre 1941 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm)

Stan Douglas, 10 novembre 1941 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 118 1/2 pollici (172,7 x 301 cm)

Stan Douglas, 20 giugno 1930 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 78 3/4 pollici (172,7 x 200 cm)

Stan Douglas, 20 giugno 1930 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 78 3/4 pollici (172,7 x 200 cm)

Stan Douglas, 20 giugno 1957 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 78 3/4 pollici (172,7 x 200 cm)

Stan Douglas, 20 giugno 1957 , 2021 Stampa cromogenica digitale montata su alluminio Dibond 68 x 78 3/4 pollici (172,7 x 200 cm)

Contributi: Mimmo Rotella e il Cinema

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di Martina e Mattia Stripartgallery

Il Cinema ha influenzato moltissimi artisti in tutto il mondo, basti pensare alle nove serigrafie raffiguranti il volto di Marilyn di Andy Warhol. Tuttavia l’artista contemporaneo di origine calabrese Mimmo Rotella è stato uno dei pochi a trovare nella Settima Arte la sua vera musa ispiratrice.

Nato a Catanzaro il 7 ottobre 1928, Mimmo (Domenico) Rotella è oggi considerato come uno dei più importanti esponenti della Pop Art internazionale. Dopo le prime esperienze artistiche nel campo delle Avanguardie, in cui realizza quadri astratti con figure geometriche (pittura Neo geometrica) ispirandosi alle opere pittoriche di Kandinskij, Mondrian e Picasso, a partire dagli anni ’50 approda ad una propria originale forma d’arte, il “Collage”, poi ribattezzata col nome di “Décollage”.

Le opere sono ottenute strappando dalla strada manifesti pubblicitari (motivo per cui gli è stata attribuita l’etichetta di “strappamanifesti” o “ladro di manifesti”), per poi incollarli sulla tela, quindi strapparli di nuovo a brandelli come se si trattasse di un vero puzzle o collage. È così che i volti patinati delle grandi star di Hollywood come Liz Taylor, Humprey Bogart e Ingrid Bergman, diventano protagonisti di una nuova espressione artistica che risente dell’influenza del Cubismo, dell’Astrattismo e del Dadaismo.

Come avverrà con Andy Warhol qualche anno più tardi, Mimmo Rotella è riuscito, grazie alla sua forza creativa a trasformare in icone alcuni degli attori più famosi del suo tempo, fra cui, oltre quelli già citati, anche Marylin, Sofia Loren, John Wayne e Clark Gable.

In questo periodo, Rotella oltre ai manifesti porta via dalle strade di Roma anche pezzi di lamiera e materiali da riciclo con cui realizza assemblaggi (assemblages) e sovrapitture per i suoi décollages di attori famosi.

L’uso di un prodotto (il manifesto) che è frutto della comunicazione di massa tipico dell’età moderna è senza alcun dubbio il segnale di una piena adesione alle idee della Pop Art. Così anche l’idea di intervenire direttamente sull’opera in modo gestuale, andando a “strappare” lui stesso i poster al fine di modificarne l’aspetto originario, secondo una logica meticolosamente studiata a tavolino, per attribuirgli così un messaggio proprio. "L’arte stessa è messaggio", afferma infatti Mimmo Rotella in numerose interviste rilasciate durante la sua lunga carriera.

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Tuttavia, è impossibile non vedervi anche una volontà di ribellione nei confronti di una società dei consumi basata sul culto delle immagini (anticipando, per certi aspetti, alcuni dei temi della Rivoluzione Culturale del ’68) e perfino un influsso dell’Astrattismo dei primi dipinti. Gli strappi eseguiti dall’artista sui manifesti non sono, infatti, casuali, ma imitano a tutti gli effetti l’inesorabile azione del tempo che cancella e corrode la materia fino a trasformare un’immagine concreta in un racconto indecifrabile ed evanescente.

La sperimentazione di Rotella non termina qui: all’inizio degli anni ‘60 entra a far parte del Nouveau Réalisme, diventandone uno dei più importanti esponenti; nel ‘63 realizza le prime opere di Mec-Art, stampe fotografiche su tela (negli anni 70 amplierà la tecnica stampando anche su supporti di plexigass); negli anni ’80 dà vita ai “Blanks”, manifesti pubblicitari nascosti da fogli bianchi.

Ma la passione per il Cinema non lo abbandona mai. "Fin da bambino scappavo di casa per andare a vedere i film muti di Chaplin", scrive nella sua autobiografia ed è del ‘62 aai tempi della prima mostra a Parigi dedicata ai manifesti degli attori hollywoodiani che in quegli anni lavoravano a Cinecittà. Nel 1984 realizza tele in acrilico raffiguranti gli stessi artisti che prima aveva immortalato nei décollages, mentre il 1997 lo vede impegnato nella produzione del ciclo “Felliniana” intitolato al grande maestro Federico Fellini, che in un’intervista del 1974 lo aveva indicato come l’unico artista in grado di dare nobiltà al manifesto cinematografico.

Il 2005, un anno prima della sua morte, vede Rotella impegnato in un progetto artistico insieme ad Alda Merini per celebrare insieme la “bellezza eterna” di Marilyn Monroe: i versi della poetessa dei Navigli abbinati ad alcuni dei suoi décollages più famosi dedicati alla più affascinante e malinconica diva di Hollywood. Il progetto, però, non venne portato a termine a causa dell’improvvisa scomparsa di entrambi.

Amore, quello di Mimmo Rotella per il Cinema, che è stato comunque ricambiato. Nel 1960 partecipa, infatti, ad un progetto di Enzo Nasso, un cortometraggio dedicato ai “pittori arrabbiati”, di cui cura la parte sonora (Rotella è infatti anche inventore della poesia fonetica, o come definita da lui “Epistaltica”, (cioè costituita da un flusso di parole, fischi, suoni e rumori onomatopeici senza senso). Nel 2004, invece, è il regista Mimmo Calopresi a girare su di lui un video documentario, “L’ora della lucertola”, dal titolo del suo libro autobiografico. Una lunga e interessante intervista in cui l’artista catanzarese ripercorre la sua carriera dagli esordi fino agli ultimi anni. Anche il titolo, emblematico, fa riferimento ad un episodio di vita reale di Rotella, che, quando era ragazzo, veniva ammonito, inutilmente, dalla madre a non uscire durante i caldi e assolati pomeriggi estivi di Catanzaro.

Un amore e una passione quella per il cinema che continuano anche dopo la morte di Mimmo Rotella, avvenuta a Milano l’8 gennaio 2006: la Fondazione Mimmo Rotella, voluta da lui stesso nel 2000 e oggi seguita dai suoi familiari, ha istituito un premio cinematografico e artistico internazionale che ha visto come vincitori attori come George Clooney, Al Pacino, Mel Gibson e registi come Sorrentino, Amelio, Ferrara e Celestini.

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Il Daisugi una tecnica giapponese vecchia di 600 anni per far crescere gli alberi sulla cima di altri alberi potrebbe salvarci dalla deforestazione

Image via Wrath of Gnon

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Il daisugi è una tecnica giapponese di silvicultora, nata 600 anni fa, ma utilizzata ancora oggi. Consiste nel far crescere sulla cima di solidi esemplari di cedro di Kitayama degli alberi leggeri, alti e diritti. Per riuscirci si usano metodi comuni nella trasfromazione di giovani piante in bonsai. L’effettto ottico è magico e surreale mentre quello pratico potrebbe essere di fermare la deforestazione.

Con il daisugi, infatti, non si taglia mai un albero vero e proprio ma delle sue propaggini. Lasciando il fusto e le radici liberi di prosperare. E se non bastasse il legno degli aberelli che crescono sulla cima è il 140% più flessibile del cedro standard e il 200% più denso e forte.

"Scritto come 台 杉 letteralmente significa cedro piattaforma , la tecnica produce un albero che assomigliaa a una palma aperta con più alberi che crescono, perfettamente verticali- dice Johnny Waldman di Spoon e Tamago- Se eseguita correttamente, la tecnica può prevenire la deforestazione e produrre legname perfettamente tondo e diritto noto come taruki , che viene utilizzato nei tetti delle case da tè giapponesi."

Nato tra il XV e XVI scolo in Giappone per sopperire alla carenza di legname e di terreno , il daisugi, infatti, ebbe il suo massimo sviluppo a Kyoto dove c’erno molte cas eda tè.

Sebbene il daisugi, in seguito, diventò soprattutto una tecnica decorativa per giardini e bonsai in vaso, adesso è in via di riscoperta. Sia per la qualità del legno che per i benefici n termini ecologici.

Image via openculture

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