Dipinti in Italia 40 anni fa, i “Modena Paintings” di Jean-Michel Basquiat, si possono ammirare insieme per la prima volta in Svizzera

Jean-Michel Basquiat, The Guilt of Gold Teeth, 1982 Acrylic, spray paint, and oil stick on canvas, 240 x 421.3 cm Nahmad Collection © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Annik Wetter

Morto 27enne per overdose dopo soli 10 anni di seppur intensa attività, Jean-Michel Basquiat, resta uno degli artisti più importanti della seconda metà del XX secolo. Il primo afroamericano ad avere successo in un mondo dominato dai bianchi. Tra le sue opere, che riunivano astrattismo e figurazione, parola e immagine, elementi di cultura pop e satira sociale, un gruppo di lavori è particolarmente significativo. Basquiat li dipinse in soli otto giorni in un magazzino della Pianura Padana, a Modena, in Italia, per una mostra che non si fece mai. Sono passati alla storia come i “Modena Paintings”.

Adesso la Fondazione Beyeler di Basilea (Svizzera) li ha riuniti per la prima volta in una mostra che si intitola semplicemente: “Basquiat. The Modena Paintings” (inaugurata il 10 giugno durerà fino al 27 agosto). E che intende approfondire il ruolo che queste opere ebbero nella carriera di Basquiat oltre alle loro caratteristiche peculiari. Tra loro c’è il record d’asta “Untitled (1982 Basquiat devil painting)”.

Nato nel 1960 a Brooklyn da padre haitiano e madre di origini portoricane, Jean-Michel Basquiat, era il secondo di quattro figli (al fratello sarebbe toccato il destino di morire prima della sua nascita mentre le due sorelle minori gli sarebbero sopravvissute). Del suo talento artistico, dimostrato fin da bambino e assecondato dalla madre, si sarebbe parlato a lungo, così come delle sue amicizie e conoscenze: quelle dei tempi della scuola o di poco successive (con Keith Haring, ad esempio), così come di quelle che verranno dopo (tra loro, il rapporto con Francesco Clemente). Anche se il sodalizio con Andy Warhol resta il suo legame più famoso (sulle opere che crearono insieme, si concentra la mostra “Basquiat × Warhol. Painting four hands”, in corso alla Fondation Louis Vuitton di Parigi, fino al 28 agosto). Le sue incursioni del mondo della musica, della moda e della cultura metropolitana di quell’epoca in genere, non avrebbero fatto che accrescere la fama di un artista che a metà degli anni '80, poco più che ventenne, guadagnava già 1,4 milioni di dollari all'anno e riceveva somme forfettarie di 40.000 dollari dai mercanti d'arte. Qualcuno dice che l’abuso di droghe, che l’avrebbe ucciso, sarebbe stato figlio di quella fama, anche se l’infanzia tribolata di Basquiat sembra un’indiziata più probabile. Nella sua opera, caratterizzata da pennellate potenti e molto espressive ma anche libere, oltre che da colature di colore e tratti incisi, coesistono elementi ispirati al vodoo come all’anatomia, parole tratte dai testi più vari, mentre figure nere, rappresentate come santi ed eroi, si guadagnano la ribalta in una giungla urbana pullulante di tratti e polimorfa.

I “Modena Paintings” sono otto quadri di grandi dimensioni che nel 1982 (considerato l’anno più fortunato nella produzione dell’artista newyorkese), Jean-Michel Basquiat, avrebbe dovuto esporre nella galleria di Emilio Mazzoli a Modena (sia lo spazio espositivo che il mercante sono ancora in attività). Per dipingerli, all’inizio dell’estate di quell’anno, Basquiat venne in Italia e Mazzoli gli mise a disposizione il materiale e un magazzino in cui lavorare.

Sono grandi, le opere più grandi mai prodotte fino ad allora da Basquiat, perché il giovane artista statunitense trovò quelle enormi tele bianche nel magazzino e decise di usarle. Lì incontrò anche le opere di Mario Schifano, che aveva dipinto nello stesso spazio parecchie volte. Tuttavia, Basquiat, non era felice, anzi era profondamente contrariato (un insieme di stati d’animo che sarebbero confluiti nei “Modena Paintings”).

Tanto per cominciare, già l’anno precedente aveva fatto una mostra da Mazzoli con lo pseudonimo di SAMO© (quello che usava quando faceva graffiti sugli edifici di edifici di Lower Manhattan insieme all’amico Al Diaz) ma era stata un disastro (non era stato venduto un solo quadro). Adesso ci avrebbe riprovato con il suo nome di battesimo, dopo il successo clamoroso della mostra autografa alla galleria newyorkese di Annina Nosei, dopo aver cominciato a lavorare con Gagosian (da cui Basquiat si sarebbe presentato con la fidanzata del momento, una giovane e ancora sconosciuta Madonna).

Ma non è solo questo a renderlo inquieto. Arrivato a Modena, infatti, all’artista viene detto che la mostra è più che imminente e che avrebbe avuto a disposizione solo 8 giorni per preparare tutto il materiale da esporre. Basquiat si sente preso in giro, è allo stesso tempo arrabbiato e ferito. In seguito commenterà l’episodio con queste parole: o “fare otto quadri in una settimana, per la mostra della settimana successiva. Era una delle cose che non mi piacevano. Li ho fatti in questo grande magazzino lì. […] Era come una fabbrica, una fabbrica malata. L'ho odiato. Volevo essere una star, non una mascotte da galleria”.

Tuttavia dipinge. Con furia, con ispirazione, dipinge. Otto tele in otto giorni, di almeno 2 metri per quattro. Dietro ognuna, l’artista, indica il luogo di produzione (Modena) e appone la sua firma. Si tratta delle opere più grandi che abbia mai realizzato e anche delle migliori. Tant’è vero che una di loro, “Untitled (1982 Basquiat devil painting)”, nel 2022, verrà venduta dalla casa d’aste britannica Phillips per 85 milioni di dollari. Nonostante ciò, la mostra naufraga prima di salpare: i galleristi Nosei e Mazzoli non si accordano e l’esposizione viene annullata.

Adesso quelle tele di Jean-Michel Basquiat, considerate capolavori, sono sparse in collezioni private di Stati Uniti, Asia e Svizzera. “Basquiat. The Modena Paintings” alla Fondazione Beyeler, le riunisce di nuovo dopo 40 anni. E’ la prima volta in assoluto che vengono messe in mostra tutte in gruppo.

Jean-Michel Basquiat, Untitled (Devil), 1982 Acrylic and spray paint on canvas, 238.7 x 500.4 cm Private Collection © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: © 2023 Phillips Auctioneers LLC. All Rights Reserved

Jean-Michel Basquiat, Profit 1, 1982 Acrylic, oil stick, marker, and spray paint on canvas, 220 x 400 cm Private Collection, Switzerland © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Robert Bayer

Jean-Michel Basquiat, Boy and Dog in a Johnnypump, 1982 Acrylic, oil stick, and spray paint on canvas; 240 x 420.4 cm Private Collection © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Daniel Portnoy

Jean-Michel Basquiat, Untitled (Angel), 1982 Acrylic and spray paint on canvas, 244 x 429 cm Private Collection © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Robert Bayer

Jean-Michel Basquiat, Untitled (Cowparts), 1982 Acrylic, spray paint, and oil stick on canvas, 239.4 x 420 cm Aby Rosen Collection, New York © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Adam Reich

Jean-Michel Basquiat, The Field Next to the Other Road, 1982 Acrylic, enamel paint, spray paint, oil stick, and ink on canvas, 221 x 401.5 cm Private Collection © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Adam Reich

Jean-Michel Basquiat, Untitled (Woman with Roman Torso [Venus]), 1982 Acrylic and oil stick on canvas, 241 x 419.7 cm Private Collection © Estate of Jean-Michel Basquiat. Licensed by Artestar, New York Photo: Robert Bayer

"Double Ducks", due enormi paperelle firmate da Florentijn Hofman fanno il bagno nel porto di Hong Kong

“Double Ducks.” All images © Studio Florentijn Hofman and AllRightsReserved. Photos by ARR

In occasione dell’anniversario dell’iconica installazione “Rubber Duck”, tenutasi al porto di Hong Kong dieci anni fa, l’artista olandese Florentijn Hofman , ha raddoppiato. Le “Double Ducks”, che dal 10 giugno galleggiano allegramente nel Victoria Harbour, infatti, rappresentano una coppia di paperelle gonfiabili. Si differenziano dagli originali giocattoli per bambini solo per le monumentali dimensioni: 18 metri l’una.

Proprio come la singola papera gialla del passato. Ed al pari di “Rubber Duck, la coppia di sculture galleggianti, portate avati e indietro da dei rimorchiatori, suggeriscono nuovi punti di vista sul vasto scenario architettonico e naturale. Oltre ad unire il pubblico nell’esperienza dell’osservare le opere d’arte pubblica. Hofman, infatti, ha scelto di rappresentare il giocattolo, emblema per antonomasia dell’avventura balneare, per la sua universalità e di conseguenza per la sua anima inclusiva.

Nato nel ‘77, Florentijn Hofman, lavora principalmente sulla riproduzione in scala monumentale di oggetti d’uso comune. Tuttavia, gli animali giocattolo sono quelli che gli hanno regalato maggior visibilità (conigli di pezza, ippopotami di mattoncini ecc.) O comunque quelli da cartone animato (è il caso, per esempio, della volpe con borsa in bocca di Rotterdam). Hofman dice di cercare di usare la sua arte per promuovere la guarigione collettiva.

"Spero- ha detto l'artista- che porti tanto piacere quanto in passato e in un mondo in cui abbiamo sofferto a causa di una pandemia, guerre e situazione politica, penso che sia il momento giusto per riportare la doppia fortuna".

Di sicuro riesce nella non scontata impresa di strappare un sorriso.

Le “Double Ducks” rappresentano l’unione e la gioia. Anche perchè in Cina pare si usi dire che le cose belle arrivano sempre in coppia. Il progetto trae ispirazione dai caratteri simmetrici  "囍" (felicità) e "朋" (amici).

Florentijn Hofman è fermamente contrario alla commercializzazione dell’arte, per questo l’iniziativa non ha un sviluppi sul piano del mercato vero e proprio. Se si esclude il divertente merchandising in vendita sul sito del progetto.

Double Ducks” di Florentijn Hofman è stato realizzato in collaborazione al marchio creativo AllRightsReserved. Hong Kong, inoltre, ha festeggiato l’arrivo del duo di paperelle (in versione gigante) con decine di installazioni, interattive e non, posizionate nei punti di maggior passaggio della città.

La coppia di sculture galleggianti di Hofman ha preso il largo il 10 giugno e continuerà a navigare per l’ampia insenatura, che separa l’isola dalla  penisola di Kowloon, fino a fine mese.

“Double Ducks.” All images © Studio Florentijn Hofman and AllRightsReserved. Photos by ARR

“Double Ducks.” All images © Studio Florentijn Hofman and AllRightsReserved. Photos by ARR

“Double Ducks.” All images © Studio Florentijn Hofman and AllRightsReserved. Photos by ARR

“Double Ducks.” All images © Studio Florentijn Hofman and AllRightsReserved. Photos by ARR

Da luglio la grande pittura di Yan Pei-Ming a Palazzo Strozzi (dopo un anno da record)

Les Funérailles de Monna Lisa, 2009-2018. Ph: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Con 340mila visitatori e ricadute economiche sul territorio che si stimano intorno ai 114milioni di euro, il 2022 di Palazzo Strozzi è stato un anno da record. Quasi interamente dedicato al contemporaneo. Il 2023, invece, è appena iniziato. E sarà completamente all’insegna della contemporaneità. Infatti, mentre “Reaching for the Stars” (l’esposizione che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino a Firenze con un’importante selezione di opere) si avvia alla conclusione (il 18 giugno), nella sede espositiva fiorentina ci si prepara già ad inaugurare “Pittore di storie” (dal 7 luglio) dedicata al cino-francese Yan Pei-Ming.

Una mostra che rompe il consueto copione espositivo dello spazio fiorentino, dove l’estate è più spesso dedicata all’arte del passato (l’anno scorso, ad esempio, nelle sale del Piano Nobile è stata allestita “Donatello, il Rinascimento”, che sarebbe stata poi premiata come migliore esposizione dell'anno 2022 dall'Apollo Magazine). Ma lo fa mantenendosi nel solco della grande tradizione pittorica. Di più: di quella che si nutre di un costante dialogo coi classici antichi e moderni.

Il sessantatreenne nato in Cina e naturalizzato francese, Yan Pei-Ming, infatti, non è solo un fuoriclasse di colori e pennelli ma anche un artista capace di costruire il proprio successo sulla base di una pratica costante e sempre più impegnativa del mestiere. Oltre che su un confronto quasi viscerale con la tradizione pittorica occidentale (da alcuni anni a questa parte, Pei-Ming, ha cominciato a rileggere pure quella orientale). Conosciuta in giovane età, in tempi in cui, per un artista cinese si trattava contemporaneamente di un privilegio e di una trasgressione.

Nato a Shanghai da una famiglia povera (parlando della mandre che lo aveva sempre supportato, raccontò, che lei, una volta, chiese a tutta la famiglia di mangiare in piedi per una settimana, permettendogli di usare il tavolo come scrivania, visto che in casa non avevano nient’altro),Yan Pei-Ming, cresce nel periodo della Rivoluzione Culturale maoista. Imparerà a dipingere alle lezioni di propaganda della scuola e a 14 anni creerà uno “studio di propaganda” nel tempo libero. Ma il suo sogno andrà presto in frantumi, quando la domanda per l'ammissione alla Shanghai Art & Design School gli verrà rifiutata a causa della balbuzie.

Nell’80 scappa in Francia, dove si iscriverà all’École des Beaux-Arts de Dijon e comincerà a studiare i classici occidentali. Oggi si definisce un’artista senza una precisa nazionalità, anche se dice di essere grato alla Francia per la possibilità offertagli e continua a vivere a Digione.

In effetti, Yan Pei-Ming, può ben essere riconoscente alla Francia, che gli ha dedicato una mostra negli esclusivi Musée d'Orsay, Musée Courbet e Musée du Louvre, oltre a conservare la sua opera al Centre Georges Pompidou e al Musée des beaux-arts di Digione. E ad avergli attribuito un ruolo nella così detta “diplomazia culturale francese” (ha, ad esempio, accompagnato, insieme ad altri membri dell’intellighenzia d’oltralpe, il presidente Emmanuel Macron nella visita di Stato a Shanghai del 2023).

Pur essendo molto noto soprattutto in Francia, Pei-Ming, è famoso un po’ in tutta Europa e ha ricostruito un buon rapporto anche con la sua patria d’origine. Mentre è meno conosciuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Con l’Italia, poi, ha una relazione particolarmente stretta, visto che già nel 2016 ha tenuto una mostra a Villa Medici (Roma) ed è rappresentato dalla galleria del milanese Massimo De Carlo.

Celebri i suoi ritratti (oltre a quelli di Mao, ne ha fatti di Barack Obama, Bruce Lee, Bashar al-Assad, Marylin Monroe e tanti altri), che realizza sulla base di immagini preesistenti (compertine di giornali ma anche fotogrammi di film). Yan Pei-Ming, tuttavia, ha rivisitato in chiave contemporanea anche altri geneneri, come il paesaggio, la natura morta, la pittura storica o religiosa. Oltre all’autoritratto per cui ha sempre avuto un debole.

Usa una tavolozza semplificata (lavora molto in bianco e nero, o usando solo sfumature di rosso) con tratto vigoroso e materico. Spesso sceglie formati enormi. Da quando, agli albori della sua carriera, visitò l’Olanda e si mise a contare ossessivamente le pennellate nei dipinti di Van Gogh, Pei Ming, dipinge anche con un numero minimo di segni, a prescindere dalle dimensioni della tela. Per questo usa pennelli larghissimi (dai 50 agli oltre 120 cm).

Ha l’abitudine di fondere il racconto personale con quello collettivo, di piegare la rappresentazione della Storia alle storie delle persone. Nella sua opera, infine, ritornano constantemente il tema della morte e quello della memoria.

Yan Pei-Ming. Pittore di storie” è  parte del progetto Palazzo Strozzi Future Art, sviluppato con la Fondazione Hillary Merkus Recordati. A cura di Arturo Galansino conterà oltre 30 opere di Yan Pei-Ming.

Chien hurlant, 2022. Ph: Clérin-Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023