Frutto di dieci anni di lavoro, l’installazione Palimpsest dell’artista colombiana Doris Salcedo, attualmente in mostra alla Fondazione Beyeler (nel comune di Riehen, nei pressi di Basilea, in Svizzera), è davvero stupefacente. Si tratta di un semplice memoriale a pavimento. Ma i nomi dei defunti, anzichè essere incisi nella pietra o nel metallo, sono impressi nella sabbia o si formano dall’unirisi di piccolissime gocce d’acqua.
Palimpsest è dedicata alle persone morte in mare durante i movimenti migratori verso l’Europa. Salcedo, infatti, vista la sua storia personale (i membri della sua stessa famiglia sparirono durante un momento travagliato della storia colombiana), da sempre focalizza la sua opera sul ciclo di violenza, indignazione, ricordo e oblio. E in quest’opera usa un linguaggio poeticamente carico ma anche in grado di stupire, basato sulla forza simbolica di acqua e sabbia.
Nata nel 1958 a Bogotà in Colombia, dove abita tutt’ora dopo un periodo negli Stati Uniti, Doris Salcedo, è un’artista internazionale molto nota. Tra le sedi più prestigiose in cui sono stati esposti suoi lavori ci sono sia la Tate Modern che la Tate Britain di Londra, documenta di Kassel, il Museum of Contemporary Art di Chicago, il Guggenheim Museum di New York, oltre al Castello di Rivoli a Torino e al MAXXI (Roma). Iconici sono diventati, i suoi assemblaggi dolenti di oggetti della quotidianità e i suoi mobili mal in arnese riempiti di cemento. Al centro del suo lavoro sempre il dolore della perdita che scaturisce da un evento violento e le successive fasi di elaborazione del lutto (personali ma soprattutto collettive) fino alla perdita del ricordo. Salcedo ha, inoltre, da tempo adottato un approccio “giornalistico” alla preparazione dell’opera: intervistando famigliari delle vittime, visitando obitori e luoghi di un disastro.
Anche per preparare Palimpsest, difatti, l’artista colombiana ha passato 5 anni a fare ricerche. A dire il vero, in questo caso, i tempi avrebbero potuto essere sensibilmente più brevi se l’Unione Europea, a cui Salcedo aveva chiesto l’elenco dei nomi delle vittime, glielo avesse fornito. Ma non lo ha fatto. Così lei è partita scandagliando i social media, per incrociare poi i risultati con gli articoi di giornale ed arrivare in seguito ai contatti con sopravvissuti e parenti. Alla fine ha messo insieme 300 nomi.
Alla Fondazione Beyeler tuttavia se ne possono leggere 171. I nomi sono distribuiti su 66 lastre di pietra (posate, a loro volta, su una superficie di circa 400 metri quadrati), che compongono la base del memoriale. Una scultura fragile e raffinata al tempo stesso, che ha avuto bisogno di atri 5 anni per essere realizzata.
L’installazione Palimpsest (in italiano Palinsesto), prende il nome dalla parola di origine greca che si usa per indicare un manoscritto con parole cancellate e coperte da nuove frasi. Anche l’opera di Salcedo, infatti, si compone di due cicli di nomi sovrapposti. Nel primo, i nomi dei migranti morti antecedentemente al 2010, sono impressi nella sabbia fine che ricopre le lastre di pietra. Nel secondo, quelli delle persone che hanno perso la vita in mare tra il 2011 e il 2016, appaiono lentamente sopra gli altri. Dapprima come fossero solo minuscole gocce d’acqua, che poi però si uniscono componendo delle nuove lettere. In questo modo l’artista fa riferimento all’affievolirsi della memoria collettiva fino all’oblio. Tant’è vero, che anche i nomi scritti con l’acqua sono destinati ad avere vita breve, riassorbiti dalla sabbia.
Doris Salcedo, che ha cominciato la sua carriera parlando delle tragedie che hanno segnato la Colombia, nel tempo ha dedicato la sua opera anche ad eventi luttuosi in altre parti del mondo, come le vittime delle armi negli Stati Uniti. Ha detto che a colpirla nella storia dei migranti, non è solo il doloroso epilogo ma l’incompiutezza. Come se il viaggio, anzichè essere un ponte era il prima e il dopo nella vita di queste persone, fosse una parentesi a se stante, e scomparire senza raggiungere la meta diventasse metafora di esistenze sospese.