Quello di Paulina Olowska è un universo caleidoscopico, nostalgico ed allegro. Vagamente esoterico. Dove l’artista dissemina le opere del presente con scampoli di passato; si appropria della pubblicità per metterla al servizio dell’arte; cita la moda; introduce un approccio femminista all’interno di un’ottica prettamente maschile. Perché lei è così, le piace giocare di punti di vista, rovesciare le prospettive e poi raddrizzarle.
Ma tutto è cominciato con le insegne al neon di Varsavia nei primi anni 2000. Oscurate e inutilizzate, in una capitale polacca che accusava ancora i postumi della fine di un’Era. La ‘neonizzazione’ della città, infatti, era stata pianificata a livello centrale tra gli anni ’50 e il decennio successivo, per ridare animo alla popolazione stremata. E le insegne luminose erano fiorite ovunque: bar, ristoranti, negozi, persino le facciate delle scuole avevano il loro bravo neon. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, insieme agli altri simboli del Socialismo, i neon non interessavano più a nessuno.
Ma Olowska non se ne faceva una ragione.
“(…) Nel 2001 sono tornato in Polonia- ha detto in un’intervista- mi interessava esplorare la nostalgia dell'architettura post-sovietica e il sentimento post-sovietico all'interno della società. Per molte ragioni politiche gran parte di ciò veniva respinto (…) Uno dei miei obiettivi era quello di sensibilizzare l'opinione pubblica su specifici design di luci al neon e su alcuni aspetti della moda che esistevano, e anche portare l'attenzione sulla comunità del lavoro collaborativo che era molto più presente negli anni '60 e '70. (…) Attraverso il mio lavoro, cerco di affrontare le cose che a volte ignoriamo perché il mondo ‘sta andando avanti’.”
Così ha prima fondato un’associazione (“Beautiful Neons”) per negoziare la sopravvivenza di ogni insegna luminosa minacciata e poi ha cominciato a inserirle nelle sue opere. Lo fa ancora adesso. Ma i neon non sono i soli oggetti passati di moda a interessarle. In generale, si tratta di forme di modernismo utopiche (come il cabaret polacco, il Bauhaus, l’avanguardia russa, persino l’Esperanto) ma non soltanto. Le interessa tutto ciò che stà diventando polveroso. In “Naughty Nymphs” presentata all’Art Institute di Chicago nel 2022, ad esempio, mette in scena una performance ispirata allo stile soft porn di VIVA, una rivista per adulti destinata alle donne, che veniva pubblicata negli Stati Uniti durante gli anni ‘70.
Questa performance (interpretata dalla cantante Pat Dudek), Olowska, la presenterà anche giovedì 2 novembre a Torino in occasione dell’inaugurazione di “Visual Persuasion” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Ispirato tra l’altro dalla pittrice e autrice di immagini al confine tra erotismo e pornografia, scomparsa nel ‘78, Maja Berezowska (un altro pallino di Olowska: ridare lustro ad autori che si vanno dimenticando), il progetto, oltre a mettere in fila lavori esistenti e nuove produzioni dell’artista polacca la vedrà anche in veste di curatrice.
Si tratterà della più ampia rassegna mai dedicata a Paulina Olowska da una istituzione italiana e ruba il titolo a un libro pubblicato nel ‘61 dall’austriaco Stephen Baker. In quest’ultimo, Baker, parlava dei media e di come la comunicazione visiva possa agire sul subconscio (come si persuade qualcuno a fare qualcosa senza che se ne accorga? Come si genera desiderio?). Inutile dire che Olowska ha usato il testo di Baker come terreno fertile, su cui è germinata e cresciuta l’intera esposizione. E visto che dal desiderio inconscio (seppur di tipo commerciale) alla figura femminile come stereotipo, oggetto e soggetto della seduzione, il passo è breve, Olowska, si gioca questa carta senza pensarci due volte. D’altra parte, più spesso i protagonisti dei suoi dipinti sono donne.
Nata a Danzica nel ’76, Paulina Olowska, utilizza diverse tecniche espressive (come pittura, collage, installazione, performance, moda e musica). Figlia di uno scrittore di discorsi per il movimento Solidarność (e per il leader Lech Walesa) rifugiatosi negli Stati Uniti, Olowaska, da bambina ha vissuto a Chicago un anno soltanto (poi il matrimonio dei genitori è finito e lei è tornata in Polonia). Sarà di nuovo a Chicago, tra il ’95 e il ’96 per studiare alla School of the Art Institute of Chicago, mentre tra il ’97 e il 2000 approfondirà pittura e stampa all’Accademia di Danzica. Di lì in poi viaggerà parecchio e il suo lavoro si guadagnerà in fretta un posto nella ribalta internazionale. Oggi ha opere conservate al Centre Pompidou di Parigi, al MoMA di New York e alla Tate Modern di Londra, oltre ad aver vinto premi ed esposto in mostre importanti (ad esempio, la Biennale di Venezia).
Olowska affianca da tempo la pratica curatoriale a quella artistica. A Torino, infatti, ci sarà anche una selezione curata dall’artista polacca di opere dalla collezione Sandretto Re Rebaudengo che comprenderà lavori di: Tauba Auberbach, Vanessa Beecroft, Berlinde De Bruyckere, Trisha Donnelly, Peter Fischli and David Weiss, Sylvie Fleury, Nan Goldin, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Thomas Hirschhorn, Piotr Janas, Elena Kovylina, Barbara Kruger, Sherrie Levine, Sarah Lucas, Tracey Moffatt, Catherine Opie, Diego Perrone, Charles Ray, Cindy Sherman, Simon Starling e Richard Wentworth. Ma ce ne saranno anche di recuperati altrimenti da Olowska (oltre a opere delle già citate Berezowska e Dudek compaiono anche i nomi di Walerian Borowczyk, Irini Karayannopoulou, Sylvere Lotringer e Julie Verhoeven).
Tuttavia la protagonista sarà lei. E viene da se che non mancheranno certo i neon.