Berthe Morisot, l'ultima impressionista sottovalutata

Berthe Morisot Eugène Manet all’isola di Wight 1875 Olio su tela Parigi, musée Marmottan Monet, legs Annie Rouart, 1993. lnv. 6029

Nata il 14 gennaio del 1841 da una famiglia altoborghese, Berthe Marie Pauline Morisot più comunemente nota come Berthe Morisot, è la meno conosciuta tra gli impressionisti. Penalizzata da una critica che, fino a non molti anni fa, focalizzava il proprio interesse sugli esponenti maschili del gruppo, Morisot è ora considerata una tra gli artisti più importanti della sua epoca. Non solo perché lei, cui le scorribande dei colleghi nel cuore di una società in piena trasformazione erano precluse, ci ha lasciato un punto di vista unico sull’intimità familiare e sulla quotidianità dei parigini. Ma anche per la flessibilità tecnica (usava colori ad olio, pastelli ed acquerello contemporaneamente), il senso del colore raffinato e brioso e la spettacolare pennellata. Senza contare il suo occhio attento alla moda.

Il nuovo peso di Berthe Morisot nella storia dell’arte ce lo testimoniano le due mostre a lei dedicate, nella sola Italia, per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’Impressionismo.

Il via alle danze lo ha dato Genova il 12 ottobre, con l’inaugurazione di “Impression, Morisot” (a Palazzo Ducale fino al 23 febbraio 2025), immediatamente seguita da Torino, che il 16 dello stesso mese ha aperto le porte della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM) agli spettatori di “Berthe Morisot Pittrice impressionista” (fino al 9 marzo 2025).

Berthe Morisot, Bambina con bambola (Interno di cottage) 1886 Olio su tela Musée d’Ixelles

Nell’Appartamento del Doge sono installati 86 tra dipinti, acqueforti, acquerelli, pastelli, documenti fotografici e d’archivio (molti dei quali provenienti dai prestiti inediti degli eredi Morisot); la mostra curata dalla studiosa Marianne Mathieu “riserva novità scientifiche correlate ai soggiorni sulla Riviera tra 1881-1882 e 1888 -1889 e all’influenza della luce mediterranea sulla sua opera”. Alla GAM ci sono invece 50 opere tra disegni, incisioni e celebri dipinti provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche come il Musée Marmottan Monet di Parigi, il Musée d'Orsay di Parigi, il Musée des Beaux-Arts di Pau, il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Musée d'Ixelles di Bruxelles, l’Institut National d'Histoire de l'Art (INHA) di Parigi e importanti collezioni private. Curata dalle storiche dell’arte Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, l’esposizione di Torino promette di riunire le opere più emblematiche della francese. Al percorso espositivo ha contribuito con interventi davvero interessanti l’artista italiano Stefano Arienti.

Berthe Morisot Autoritratto 1885 Olio su tela Parigi, musée Marmottan Monet, legs Annie Rouart, 1993. lnv. 6022

Figlia del prefetto del dipartimento di Cher (nel centro della Francia) e della pronipote del famoso pittore Jean-Honoré Fragonard (ha ispirato molti, tra cui Jeff Koons che lo predilige), Berthe venne sostenuta dai genitori nella sua passione per l’arte e, insieme alla sorella Edma (l’unica oltre a lei, tra i quattro figli dei Morisot, ad avere il talento e la volontà di dedicarsi alla pittura), prese lezioni private da diversi rinomati artisti dell’epoca (tra loro c’era anche Jean-Baptiste-Camille Corot, a tutt’oggi considerato una figura fondamentale nella pittura di paesaggio). Mentre il meno celebre, Joseph Guichard, che le introdusse alle copie dei capolavori conservati al Louvre, scrisse delle due sorelle alla madre:

Con delle nature come quelle delle vostre figlie, non piccoli talenti per diletto, attraverso il mio insegnamento, esse diventeranno delle pittrici. Vi rendete conto di quello che vuol dire? […] questa sarà una rivoluzione, io direi quasi una catastrofe. Siete del tutto sicura di non maledire mai il giorno in cui l’arte […] sarà la sola padrona del destino di due delle vostre figlie?

Nonostante ciò, alle due ragazze vennero negate le possibilità che erano invece offerte agli aspiranti pittori (di fare lezioni di disegno anatomico con modelli nudi non si parlava e, di conseguenza, non potevano dipingere le grandi composizioni storiche e religiose, cioè i pezzi più considerati dalla critica, dalla società e dai committenti). E poi c’era la questione del matrimonio, che, si presupponeva, loro avrebbero anteposto alla carriera.

Fu così per Edma che si sposò e smise di dipingere per mancanza di tempo, ma non per Berthe. Quest’ultima difatti, prima tergiversò un bel po', e alla fine scelse Eugène Manet. Anche lui pittore e fratello del caro amico Édouard Manet che l’aveva usata come modella in alcune sue famose opere (ad esempio, “Berthe Morisot au bouquet de violettes”) oltre ad aver condiviso con lei la prima mostra degli Impressionisti nel 1874 (insieme a loro tra gli altri anche Monet, Renoir e Degas). Il rapporto tra i due era talmente stretto che gli studiosi hanno spesso ipotizzato che Édouard fosse segretamente innamorato della collega.

Berthe Morisot Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival 1881 Olio su tela Parigi, musée Marmottan Monet, legs Annie Rouart, 1993. lnv. 6018

Il marito insomma non le fu mai d’ostacolo, è anzi al centro di una delle opere più iconiche di Morisot: “In Inghilterra (Eugène Manet sull’isola di Wight) (normalmente conservato al Musée Marmottan di Parigi ma adesso in mostra alla GAM di Torino). Lei lo dipinse nel 1875 mentre la coppia era in luna di miele al mare. Il tratto è fremente e sicuro, ogni cosa è abbandonata alla pennellata veloce e all’immediata forza del colore, senza tuttavia perdere in accuratezza e riconoscibilità. La luce (molto diversa da quella parigina), resa attraverso segni liberi, macchie e grumi, definisce le forme e l’atmosfera del quadro. Anche se a renderlo straordinario è la composizione teatrale ma fluttuante (la posizione della sedia su cui è seduto Eugène, la finestra e il recinto determinano la profondità di un’immagine altrimenti piatta, sul punto di scomporsi) e la molteplicità di punti di vista rappresentati dall’artista che spinge a riflettere su cosa significhi guardare ed essere guardati.

Nell’opera c’è anche una bambina, come spesso capitava nei suoi dipinti, pieni di figure femminili pensose e fiori. E proprio la figlia, Eugénie Julie Manet, da dopo la sua nascita (avvenuta nel 1878) sarà uno dei soggetti preferiti di Berthe. D’altra parte, già prima di sposarsi lei dipingeva i suoi familiari (un po’ per comodità un po’ perché non sarebbe stato ben visto che facesse altrimenti).

Berthe Morisot Ragazza con cane 1892 Olio su tela Collezione privata

Tuttavia Morisot affrontava le difficoltà di fare la pittrice senza scomporsi. Quello che invece la faceva soffrire ed arrabbiare era la minor considerazione che i critici maschi attribuivano alla sua opera rispetto a quella dei colleghi: "Non credo- scrisse una volta- che ci sia mai stato un uomo che abbia trattato una donna come un'eguale e questo è tutto ciò che avrei chiesto, perché so di valere quanto loro".

Berthe Morisot morì di polmonite a soli 54 anni. E’ stata la prima impressionista donna e resta a tutt’oggi l'unico esponente sottovalutato del gruppo.

Berthe Morisot  Il giardino di Bougival 1884 Olio su tela Parigi, musée Marmottan Monet, legs Annie Rouart, 1993. lnv. 6017

Berthe Morisot Donna con ventaglio (Al ballo) 1875 Olio su tela Parigi, musée Marmottan Monet, don Eugène et Victorine Donop de Monchy, 1940. lnv. 4020

Berthe Morisot La Roche-Plate au Portrieux 1894 Olio su tavola Private collection LGR Brussel

Berthe Morisot Pastorella sdraiata 1891 Olio su tela Parigi, musée Marmottan Monet, legs Annie Rouart, 1993. lnv. 6021

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino, Berthe Morisot Pittrice Impressionista. Installation view. Photo: Perottino

L’universo esoterico di Paulina Olowska, a cui piacciono le cose polverose e i vecchi neon sovietici:

Paulina Olowska, The Revenge of the Wise Woman, 2011 oil on canvas, 200x220cm Private collection

Quello di Paulina Olowska è un universo caleidoscopico, nostalgico ed allegro. Vagamente esoterico. Dove l’artista dissemina le opere del presente con scampoli di passato; si appropria della pubblicità per metterla al servizio dell’arte; cita la moda; introduce un approccio femminista all’interno di un’ottica prettamente maschile. Perché lei è così, le piace giocare di punti di vista, rovesciare le prospettive e poi raddrizzarle.

Ma tutto è cominciato con le insegne al neon di Varsavia nei primi anni 2000. Oscurate e inutilizzate, in una capitale polacca che accusava ancora i postumi della fine di un’Era. La ‘neonizzazione’ della città, infatti, era stata pianificata a livello centrale tra gli anni ’50 e il decennio successivo, per ridare animo alla popolazione stremata. E le insegne luminose erano fiorite ovunque: bar, ristoranti, negozi, persino le facciate delle scuole avevano il loro bravo neon. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, insieme agli altri simboli del Socialismo, i neon non interessavano più a nessuno.

Ma Olowska non se ne faceva una ragione.

(…) Nel 2001 sono tornato in Polonia- ha detto in un’intervista- mi interessava esplorare la nostalgia dell'architettura post-sovietica e il sentimento post-sovietico all'interno della società. Per molte ragioni politiche gran parte di ciò veniva respinto (…) Uno dei miei obiettivi era quello di sensibilizzare l'opinione pubblica su specifici design di luci al neon e su alcuni aspetti della moda che esistevano, e anche portare l'attenzione sulla comunità del lavoro collaborativo che era molto più presente negli anni '60 e '70. (…) Attraverso il mio lavoro, cerco di affrontare le cose che a volte ignoriamo perché il mondo ‘sta andando avanti’.”

Così ha prima fondato un’associazione (“Beautiful Neons”) per negoziare la sopravvivenza di ogni insegna luminosa minacciata e poi ha cominciato a inserirle nelle sue opere. Lo fa ancora adesso. Ma i neon non sono i soli oggetti passati di moda a interessarle. In generale, si tratta di forme di modernismo utopiche (come il cabaret polacco, il Bauhaus, l’avanguardia russa, persino l’Esperanto) ma non soltanto. Le interessa tutto ciò che stà diventando polveroso. In “Naughty Nymphs” presentata all’Art Institute di Chicago nel 2022, ad esempio, mette in scena una performance ispirata allo stile soft porn di VIVA, una rivista per adulti destinata alle donne, che veniva pubblicata negli Stati Uniti durante gli anni ‘70.

Questa performance (interpretata dalla cantante Pat Dudek), Olowska, la presenterà anche giovedì 2 novembre a Torino in occasione dell’inaugurazione di “Visual Persuasion” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Ispirato tra l’altro dalla pittrice e autrice di immagini al confine tra erotismo e pornografia, scomparsa nel ‘78, Maja Berezowska (un altro pallino di Olowska: ridare lustro ad autori che si vanno dimenticando), il progetto, oltre a mettere in fila lavori esistenti e nuove produzioni dell’artista polacca la vedrà anche in veste di curatrice.

Si tratterà della più ampia rassegna mai dedicata a Paulina Olowska da una istituzione italiana e ruba il titolo a un libro pubblicato nel ‘61 dall’austriaco Stephen Baker. In quest’ultimo, Baker, parlava dei media e di come la comunicazione visiva possa agire sul subconscio (come si persuade qualcuno a fare qualcosa senza che se ne accorga? Come si genera desiderio?). Inutile dire che Olowska ha usato il testo di Baker come terreno fertile, su cui è germinata e cresciuta l’intera esposizione. E visto che dal desiderio inconscio (seppur di tipo commerciale) alla figura femminile come stereotipo, oggetto e soggetto della seduzione, il passo è breve, Olowska, si gioca questa carta senza pensarci due volte. D’altra parte, più spesso i protagonisti dei suoi dipinti sono donne.

Nata a Danzica nel ’76, Paulina Olowska, utilizza diverse tecniche espressive (come pittura, collage, installazione, performance, moda e musica). Figlia di uno scrittore di discorsi per il movimento Solidarność (e per il leader Lech Walesa) rifugiatosi negli Stati Uniti, Olowaska, da bambina ha vissuto a Chicago un anno soltanto (poi il matrimonio dei genitori è finito e lei è tornata in Polonia). Sarà di nuovo a Chicago, tra il ’95 e il ’96 per studiare alla School of the Art Institute of Chicago, mentre tra il ’97 e il 2000 approfondirà pittura e stampa all’Accademia di Danzica. Di lì in poi viaggerà parecchio e il suo lavoro si guadagnerà in fretta un posto nella ribalta internazionale. Oggi ha opere conservate al Centre Pompidou di Parigi, al MoMA di New York e alla Tate Modern di Londra, oltre ad aver vinto premi ed esposto in mostre importanti (ad esempio, la Biennale di Venezia).

Olowska affianca da tempo la pratica curatoriale a quella artistica. A Torino, infatti, ci sarà anche una selezione curata dall’artista polacca di opere dalla collezione Sandretto Re Rebaudengo che comprenderà lavori di: Tauba Auberbach, Vanessa Beecroft, Berlinde De Bruyckere, Trisha Donnelly, Peter Fischli and David Weiss, Sylvie Fleury, Nan Goldin, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Thomas Hirschhorn, Piotr Janas, Elena Kovylina, Barbara Kruger, Sherrie Levine, Sarah Lucas, Tracey Moffatt, Catherine Opie, Diego Perrone, Charles Ray, Cindy Sherman, Simon Starling e Richard Wentworth. Ma ce ne saranno anche di recuperati altrimenti da Olowska (oltre a opere delle già citate Berezowska e Dudek compaiono anche i nomi di Walerian Borowczyk, Irini Karayannopoulou, Sylvere Lotringer e Julie Verhoeven).

Tuttavia la protagonista sarà lei. E viene da se che non mancheranno certo i neon.

La mostra “Visual Persuasion” di Paulina Olowska rimarrà alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino fino al 25 febbraio 2024.

Paulina Olowska, Seductress, 2020 oil on canvas, 170x110cm Christen Sveaas Art Collection

Paulina Olowska, The Thychy Plant, 2013 oil and collage on canvas, 220x200cm  Collection of Contemporary Art

Paulina Olowska, Weeds, 2017 oil on canvas, 110x78x2,5cm Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Paulina Olowska, Spider Painters, 2020 gouache, oil printed transparency film and embroidery on canvas, 160x140cm Courtesy of the artist and Pace Gallery

Paulina Olowska, Loveress, 2020 oil on canvas, 160x110cm Collection Philippe Dutilleul-Francoeur