“Ground Break”: Performances e sculture impossibili di oggetti trovati in giro per Harlem da Nari Ward, tra poco a Milano

Nari Ward Hunger Cradle, 1996 (particolare) Filo, corda e materiali trovati Installazione site specific Dimensioni variabili Veduta dell'installazione, "Global Vision: New Art From The '90s (Part II)", Fondazione Deste, Atene, 1998 Collezione privata Courtesy the artist Foto: Fanis Vlastaras and Rebecca Constantopoulou

Artista newyorkese di origine giamaicana attivo fin dai primi anni ’90, Nari Ward, crea complesse installazioni, composizioni fatte di oggetti trovati in giro per il suo quartiere (Harlem), con cui riconfigura l’estetica del quotidiano e intesse di riferimenti alla storia dell’arte più recente un viscerale sentimento di nostalgia. Si potrebbe addirittura dire “nostalgia del presente”, parafrasando l’artista Pop britannica Pauline Boty, per il continuo rinnovamento che impone agli scarti attraverso il suo lavoro (non si limita a usarli per le sue sculture ma li giustappone in maniere sempre differenti, li fa diventare parte di performances, osserva le reazioni che suscitano in pubblici provenienti da contesti diversi ecc.), se non fosse che Ward usa la sua opera per parlare di problemi sociali.

A volte di vere e proprie tragedie. Ad esempio, “Amazing Grace” (una delle installazioni con cui si è importo al pubblico internazionale già nel ’93), composta da centinaia di passeggini ammassati lasciati in penombra mentre il pubblico si muove in mezzo ad essi su un vialetto tortuoso fatto di manichette d’idranti, parla dell’impatto dell’AIDS sulle comunità afroamericane, la giornalista Marta Schwendener ha scritto a proposito: “Ward ha trovato tutti i passeggini per questo lavoro abbandonati nelle strade di Harlem all'inizio degli anni '90, al culmine della crisi dell'AIDS e di un'epidemia di droga che colpì in modo sproporzionato i residenti”.

Gli sono più cari i temi che toccano la comunità nera come il colonialismo, la gentrificazione dei quartieri storicamente black, oltre a diseguaglianze ed emarginazione. Nel corso del tempo, tuttavia, Ward ha affrontato anche argomenti molto meno penosi come la spiritualità o la necessità di esprimere e stessi in modi apparentemente bizzarri. Gli piace anche porsi domande sul confine che separa pubblico e privato, o su quello che passa tra arte e creatività individuale fine a se stessa. Alla base del suo lavoro c’è naturalmente il consumismo, visto che le sue sculture sono spesso fatte di rifiuti, ma lui punteggia l’analisi della società dei consumi con osservazioni allo stesso tempo ironiche e spiazzanti. Come quando tratta i materiali: Ward, infatti, ha l’abitudine di invecchiare o semplicemente modificare la tessitura di alcuni di essi in modo paziente e laborioso, utilizzando dei prodotti apparentemente innocui come zucchero e bevande a base di soda (che oltre a corrodere indicano gruppi sociali del presente e abitudini del passato).

Nato nel ’63 a St. Andrew in Giamaica, Nari Ward, è arrivato negli Stati Uniti quando aveva solo 12 anni, dove ha studiato, fino a completare la sua formazione all’Hunter College, prima e al Brooklyn College, poi (lì ha conseguito un master in fine arts). Già da parecchi anni vive in una ex caserma dei pompieri di Harlem dove aveva inizialmente esposto le sue opere. E, nonostante il successo raggiunto in giovane età ne abbia fatto un cittadino del mondo, lui continua a mantenere un legame profondo con il suo quartiere, con la città e la comunità afroamericana, che si percepisce anche in opere recenti.

Dal prossimo 28 marzo Nari Ward sarà protagonista di un’importante retrospettiva al Pirelli Hangar Bicocca di Milano intitolata “Ground Break”. L’esposizione, curata da Roberta Tenconi e Lucia Aspesi, sarà modellata intorno al concetto di “memoriale di strada” cioè “uno spazio devozionale e spirituale di scambio non connotato da simbologia religiosa e reso tale dalle memorie collettive” che sarà anche il fulcro dell’opera realizzata su commissione dello spazio espositivo milanese, da cui prende il nome la mostra: “Groud Break”, appunto. Quest’ultima, concepita anche come un palcoscenico, sarà composta da 4mila mattoni rivestiti di rame posti a terra a comporre dei disegni astratti e sarà la versione ampliata di un lavoro precedente. Per dargli vita è previsto un programma di spettacoli che verranno eseguiti da vari performers e musicisti. D’altra parte, la mostra sarà centrata su collaborazione e performatività nel lavoro di Ward, quindi non avrebbe potuto essere altrimenti. Ma ci saranno anche tanti lavori capaci di fare una panoramica della storia artistica dello statunitense: ben 30 tra installazioni, sculture e video (verranno proposte anche opere grandi dal forte impatto spettacolare e evocativo come “Hunger Cradle” (del 1996, una ragnatela di corde sospende a mezz’aria una varietà di oggetti pesanti che i visitatori sono chiamati ad attraversare), o poco esposte al pubblico come le scenografie per la performance “Geography Trilogy” di Ralph Lemon.

Ground Break” di Nari Ward procederà in abbinata alla mostra già in corso, Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” dell’italiana Chiara Camoni fino alla pausa estiva del Pirelli Hangar Bicocca di Milano (il vasto spazio espositivo èad accesso gratuito anche durante gli eventi).

Nari Ward Carpet Angel, 1992 The Museum of Contemporary Art, Los Angeles Dono di Jennifer McSweeney in onore di Joan "Penny" McCall Foto Matthew Hermann

Nari Ward Happy Smilers: Duty Free Shopping, 1996 Tenda da sole, bottiglie di soda, manichette antincendio, scala antincendio, sale, elementi domestici, registrazione audio, altoparlanti e pianta di aloe Dimensioni variabili Veduta dell'installazione, “Nari Ward: Happy Smilers”, Deitch Projects, New York, 1996 Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seul, e Londra, e GALLERIA CONTINUA

Nari Ward Savior, 1996Carrello, sacchi della spazzatura di plastica, stoffa, bottiglie, recinzione metallica, terra, ruota, specchio, sedia e orologi 325,1 x 91,4 x 58,4 cm Institute of Contemporary Art, Boston Collection; Acquistato grazie alla generosità di un donatore anonimo. Veduta dell'installazione, "Nari Ward: RePresence", Nerman Museum of Contemporary Art, Johnson County Community College, Overland Park, Kansas, 2010. Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seul, e Londra Fotografia di EG Schempf

Nari Ward  Ground (In Progress), 2015 Rame, patina oscurante, 702 mattoni 9 sezioni da 78 mattoni 6,4 x 121,9 x 121,9 cm (ogni sezione) 6,4 x 365,8 x 365,8 cm (complessivamente come installato)Veduta dell'installazione, "Nari Ward: Breathing Directions", Lehmann Maupin, New York, 2015 Courtesy l'artista e Lehmann Maupin, m New York, Hong Kong, Seoul e Londra, e GALLERIA CONTINUA Foto Max Yawney

Nari Ward Ground (In Progress), 2015 (particolare) Rame, patina oscurante, 702 mattoni 9 sezioni da 78 mattoni 6,4 x 121,9 x 121,9 cm (ogni sezione) 6,4 x 365,8 x 365,8 cm (complessivamente) Courtesy l'artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seoul e Londra, e GALLERIA CONTINUA Foto Max Yawney

Nari Ward Apollo/Poll, 2017 Acciaio, legno, vinile e luci LED  914 x 365,8 x 121,9 cm Veduta dell’installazione, Socrates Sculpture Park, New York, 2017 Commissionato da Socrates Sculpture Park, New York Courtesy l’artista e Lehmann Mauping, New York, Hong Kong, Seoul e Londra

Nari Ward Crusader, 2005 Sacchetti di plastica, metallo, carrello della spesa, elementi per trofei, bitume, lampadario e contenitori di plastica 279,4 x 129,5 x 132,1 cm Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seul, e Londra Foto EPW Studio / Maris Hutchinson

Nari Ward Ritratto Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seoul e Londra Foto Axel Dupeux

La monumentale installazione di forme iperboliche di Daina Taimina. Fatta lavorando all'uncinetto i rifiuti

Daina Taimiņa, Dreams and Memories, 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Didzis Grozds

La monumentale installazione “Dreams and Memories” della matematica e artista lettone, Daina Taimina, composta da centinaia e centinaia di elementi fatti all’uncinetto Forme iperboliche, in realtà, (capaci cioè di illustrare visivamente lo spazio iperbolico). Non meraviglia solo per la richezza cromatica ma anche perchè è stata realizzata lavorando, oltre alle fibre: sacchetti di plastica, vecchi fogli di carta, magliette, collant, nastri audio e VHS

Nata nel ‘54 a Riga in Lettonia, Daina Taimina, è diventata famosa alla fine degli anni ‘90, mentre era docente alla Cornell University nello stato di New York, per aver inventato i modelli all’uncinetto dei piani iperbolici. Fino a quel momento la geometria iperbolica, infatti, era difficile da esplorare con gli occhi e da toccare. Gli insegnanti mostravano agli studenti delle forme di carta poco intuitive ed impossibili da manipolare. Taimina cambiò tutto questo. Da allora esiste il termine uncinetto iperbolico e la matematica lettone è stata invitata in tutto il mondo a parlare del suo approccio didattico e ad esporre i suoi oggetti come opere d’arte.

L’installazione “Dreams and Memories” è stata realizzata per la seconda edizione della Riga International Biennial of Contemporary Art (o Riboca). Cioè la Biennale d’Arte Contemporanea di Riga. E mai resa visibile al pubblico per l’interruzione dell’evento causa COVID.

Ma cos’è la geometria iperbolica? “Fu scoperta nel diciannovesimo secolo-spiega il catalogo della biennale- come la terza possibilità di geometrie su superfici bidimensionali, insieme a geometrie piane e sferiche. Viene utilizzato per descrivere superfici con curvatura negativa costante. Alcune di queste forme si possono trovare in natura, come nei coralli, nell'agrifoglio,nelle foglie di cavolo e nelle lumache di mare. Lo spazio iperbolico rappresenta una grande rivoluzione nella storia della matematica e della percezione umana, poiché ha sfidato il monopolio della geometria euclidea(...)basato su simmetria e ordine perfetti, la geometria iperbolica ha permesso la formalizzazione di sistemi caotici e disordinati.

Dall’invenzione dei modelli iperbolici all’uncinetto derivano altre esplorazioni dell’uso di questa antica tecnica (come la mappatura dei coralli) e in generale nuova linfa alle arti tessili, da poco libere di muoversi al di fuori del consueto recinto dell’artigianato.

L’installazione “Dreams and Memories” ricorda un colorato arcipelago, ma fa anche pensare a un collage di territori immortalati dalla fotografia aerea e alla biodiversità. Oltre ad evocare la quotidianità e una serie di memorie personali che le lavorazioni artiginali portano immancabilmente con se. Ma fondamentalmente è un’opera astratta. Nonostante le fibre interamente riciclate (dagli acrilici alla lana riciclata, fino a materiali più inconsueti come i nastri delle vecchie audio e video cassette) ci parlino di ecologia.

Ogni pezzo di cui si compone la grande scultura è stato fatto a mano. Per costruirla è stato necesssario il contributo di molti volontari: singole persone ma anche intere comunità.

"L'approccio pedagogico sviluppato da Daina Taimiņa, che coinvolge la popolare tecnica dell'uncinetto nella produzione dei suoi modelli, è per molti versi sovversivo. L'uncinetto è tradizionalmente considerato un passatempo riservato alle donne, praticato all'interno della casa e dedito alla creazione di abiti per la famiglia o accessori.(...) L'installazione di Daina Taimiņa per la Biennale consiste in centinaia di forme iperboliche, variazioni ed espansioni di quelle che in precedenza aveva usato come modelli pedagogici con i suoi studenti."

La terza edizione della Riga International Biennial of Contemporary Art si terrà la prossima estate. Daina Taimina ha un sito internet su cui è possibile vedere alcune delle sue complesse installazioni fatte all’uncinetto riproducendo forme iperboliche più e più volte.

Daina Taimiņa, Dreams and Memories, 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories, 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Olga Sivel

Daina Taimiņa, Dreams and Memories (installation detail), 2020. Courtesy: the artist and the Riga International Biennial of Contemporary Art. Photo by Hedi Jaansoo

"Ho_pe 02": Il video d'animazione in stop motion di Turtle Studio, fatto con pazienza e pupazzi di materiali riciclati

Ho-pe 02” è un romantico (e disobbediente) mini-film d’animazione, realizzato in stop motion dal gruppo italiano Turtle Studio Animation. Ambientato (apparentemente) in un futuro distopico, è la storia di un robot che vive isolato ( un po’ per difficoltà oggettive, un po’ per regole di dubbia utilità), ma che culla il sogno di avere una compagna.

Da non confondere con i produttori musicali Turtle Studios o con il video gioco americano Turtle Rock Studios, Turtle Studio Animation, è un associazione culturale nata a Napoli del 2019. Un gruppo di giovani professionisti, composto da studenti ed ex-studenti dell’Accademia di belle arti di Napoli che cercano di fare cinema con fantasia e in maniera eco-sostenibile.

L'associazione è stata fondata sui principi culturali, educativi e sperimentali del cinema in Campania -spiega il regista Francesco Bruno Sorrentino- Gli associati esprimono le loro competenze in particolare nel cinema d’animazione, di cui Napoli si sta dimostrando il cuore pulsante dello scenario Europeo. Il gruppo è professionalmente variegato. Di fatti è composto da laureati in diverse discipline: dalla grafica all’illustrazione, dalla scultura al costume, dal cinema alla scenografia.”

Turtle Studio è specializzato in animazioni realizzate in stop motion. Una tecnica nata verso la metà dell’800 e che richiede un lavoro meticoloso e tanta pazienza. Wikipedia la descrive così: “Lo stop motion è una tecnica di produzione cinematografica animata in cui gli oggetti vengono manipolati fisicamente in piccoli incrementi tra i fotogrammi fotografati individualmente”. In poche parole, ogni volta che un personaggio si muove, l’oggetto che lo interpreta (di solito un pupazzo) viene modificato e per ogni minuscolo cambiamento occorre una foto. Tutte queste immagini accostate ci daranno alla fine l’impressione del movimento.

"La tecnica nella quale la Turtle Studio si sta settorializzando- continua Sorrentino- è la Stopmotion: processo estremamente meticoloso e artigianale finalizzato a rendere animato ciò che non lo è. Generalmente nel nostro caso utilizziamo materiali da riciclo sia per la costruzione delle ambientazioni sia per quella dei personaggi (PUPPETS) per seguire comunque una linea di eco-sostenibilità che ci contraddistingue nella ricercatezza stilistica ma anche, soprattutto, nel messaggio che ci facciamo carico."

E già perchè le animazioni di Turtle Studio sono costruite, in gran parte a mano, usando solo materiali di recupero.

“Ho-pe 02” (scritto e diretto da Antonio Genovese e Francesco Bruno Sorrentino; prodotto da Stefano Incerti con la fotografia di Sorrentino), si può naturalmente anche leggere semplicemente “Hope” (“Speranza”) e racconta la storia di un robot che vive in una piccola casa-laboratorio, insieme a un robbottino-cagnolino, su un brandello di pianeta che fluttua, insieme ad altri, intorno ad un’isola regolatrice. Malgrado le leggi emesse da quest’ultima limitino ad uno solo il numero di abitanti per ogni pianeta, il robot desidera una compagna. La desidera tanto da costruirla e nasconderla all’ottusa autorità. Finchè…

Divertente e poetico “Hope” è figlio dello spettro della catastrofe ecologica e si può leggere come una irridente metafora dell’era del Covid-19. Per sapere come andrà a finire la storia del robottino guardate il corto su Yotube. Mentre per altri video d’animazionee in stop motion potete seguire Turtle Studio su Facebook (da vedere anche la serie di brevissimi cartoni: “Rodolfo’s Quarantine Aventures”). Mentre per capire meglio il dietro le quinte dei loro lavori, Instagram è la scelta migliore.

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