Con una passione inesauribile per le minute curiosità della Storia e per la ricchezza di spunti offerti dal tema del paesaggio, l’artista francese Eva Jospin, lavora sulla linea di confine che separa la natura dalla cultura, la genuinità dall’artificio, l’emozione dal mito, il passato dal presente, l’arte dalla scenografia.
Non a caso, le sue opere più famose, sono delle laboriosissime sculture in cartone ondulato, spesso realizzate su larga scala, che rappresentano intricate ed impenetrabili foreste, grotte, oppure rovine. Della presenza di persone o animali non c’è traccia, in modo che le composizioni di Jospin possano meglio risuonare di riferimenti e suggestioni e che, lo spettatore, le attivi attraversandole. Effimero primo attore di una commedia antica quanto l’Uomo, in cui la natura si fa di volta in volta complice o nemica e l’abitare, riflesso di una società complessa, può cedere il passo all’apparire.
Figlia dell’ex-primo ministro francese Lionel (in carica durante la presidenza Chirac, a lungo tra i massimi esponenti del Partito Socialista d’oltralpe), Eva Jospin, è nata a Parigi nel ’75, dove ha studiato (all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts) e dove, adesso, vive e lavora. Nel suo atelier, in cui processi industriali e artigianali convivono e operano diverse persone, si parla anche italiano. Del resto, l’artista, che dopo essere stata premiata dall’Académie des Beaux-Arts è stata ospite a Villa Medici (Roma), e conosce tutti (o quasi) i giardini d’Italia, parla a sua volta un perfetto italiano (comprensibilmente visto che ha sposato un milanese).
In genere, nella sua pratica, usa scultura, disegno e ricamo. La sua opera ha un’impronta raffinata e, come si è detto, volutamente scenografica che le ha permesso delle importanti incursioni nel mondo della moda (per Dior ha creato una serie di pannelli ricamati nella sfilata d’alta moda del ’21, poi l’ambientazione monumentale di quella di prêt-à-porter di ques’anno; mentre all’interno del negozio Max Mara di Milano c’è una sua installazione permanente). Ha esposto al Palais de Tokyo di Parigi al Musée de Giverny, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, ma anche nel cortile Cour Carrée del Louvre.
Si è anche aggiudicata la prestigiosa Carte Blanche 2023 della Maison Ruinart (il più antico produttore di champagne del mondo, attualmente di proprietà della holding del lusso LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SA).
Per Carte Blanche, come di consueto, le è stato chiesto di reinterpretare il territorio di Reims (nella Marna) dove ha sede l’azienda e, naturalmente, il prodotto. Jospin ha tratto ispirazione dalle radici delle viti e dalle cave di gesso in cui le bottiglie vengono lasciate invecchiare, per poi inserire nelle opere anche qualche riferimento ai dettagli della facciata monumentale della Cattedrale di Reims. Ne sono nati lavori, eleganti ed onirici, in cui gli elementi evocati dall’artista, riassemblati in una realtà parallela (ma non per questo meno credibile), emergono cesellati ed aerei. Che Ruinart, tra le altre cose, ha portato e porterà in giro per oltre 30 fiere d’arte nel mondo.
Ultimamente Jospin è anche entrata a far parte della scuderia di Galleria Continua, che le ha dedicato una mostra (attualmente in corso) nella sua sede di San Gimignano sui colli senesi. L’esposizione, intitolata “Vedute”, è piccola ma completa (ci sono sculture in cartone ondulato, disegni e ricami), ed è composta da pezzi importanti anche se non grandissimi.
D’altra parte, Jospin, non sempre sceglie di lasciare lo spettatore libero di confrontarsi con sculture a grandezza naturale. Spesso gli dà l’impressione di osservare paesaggi in lontananza o semplici rappresentazioni. Le famose sculture in cartone ondulato sono quelle in cui l’artista parigina si attiene più strettamente a un linguaggio figurativo. Del materiale (di cui pare tutti le chiedano fino a far scattare in lei un rifiuto) ha ricordato: “All’inizio è stato un caso, perché avevo appena cambiato atelier e avevo voglia di produrre opere molto più grandi. Ho riflettuto sulla produzione e ho visto le scatole del trasloco in un angolo dell’atelier. Da lì ho creato la mia prima foresta di cartone”. Anche se, in sostanza, le è piaciuto perché: economico, leggero, facile da lavorare e riutilizzare. Meno agevole il processo di lavorazione scelto da Jospin, in cui l’artista sovrappone strati su strati di sagome (spesso diverse solo nelle dimensioni), che perfeziona a suon di lime e taglierini, salvo poi interviene di nuovo sulla composizione aggiungendo moltitudini di particolari.
Uno dei soggetti ricorrenti di questa serie di opere è il bosco. Misterioso ed oscuro. In cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi con le sue paure. Sono le sculture più psicanalitiche di Jospin, che, in genere, al massimo si spinge a ricucire insieme elementi di paesaggio esistente, creando luoghi fantastici ma meno intimi. Mentre, uno dei riferimenti storici prediletti dell’artista, è quello delle folies (in italiano capricci). Nate tra la fine del’500 e l’inizio del ‘600, le folies, hanno il loro maggior sviluppo nei due secoli seguenti e sono edifici privi, o quasi, di uno scopo pratico, in genere costruiti nei giardini, al fine di creare un’ambientazione e raccontare una storia. Nell’opera di Jospin questo riferimento storico fa si che il confine tra rappresentazione del vero e rappresentazione della rappresentazione si incrini e si fonda con la fantasia, in un intricato gioco di specchi, che cattura lo spettatore. Un trionfo del fraintendimento ma anche un modo per esprimere l’incredibile complessità del reale.
Jospin si dedica poi a complessi ricami colorati, che prendono spunto dagli antichi arazzi ma anche dalla pittura dei Nabis e di Édouard Vuillard. A disegni a china, che sono un fiorire cadenzato di segni. Ma pure a sculture che evocano le stratificazioni della roccia, rese modellando cemento e gesso (qui vuole evocare l’architettura degli uomini della pietra o semplicemente la materia erosa dagli elementi). In tutte queste opere comunque, l’artista, abbandona la figurazione per strizzare l’occhio all’astrattismo.