Tra genuinità e artificio le intricate foreste e i romantici giardini in cartone ondulato di Eva Jospin

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Con una passione inesauribile per le minute curiosità della Storia e per la ricchezza di spunti offerti dal tema del paesaggio, l’artista francese Eva Jospin, lavora sulla linea di confine che separa la natura dalla cultura, la genuinità dall’artificio, l’emozione dal mito, il passato dal presente, l’arte dalla scenografia.

Non a caso, le sue opere più famose, sono delle laboriosissime sculture in cartone ondulato, spesso realizzate su larga scala, che rappresentano intricate ed impenetrabili foreste, grotte, oppure rovine. Della presenza di persone o animali non c’è traccia, in modo che le composizioni di Jospin possano meglio risuonare di riferimenti e suggestioni e che, lo spettatore, le attivi attraversandole. Effimero primo attore di una commedia antica quanto l’Uomo, in cui la natura si fa di volta in volta complice o nemica e l’abitare, riflesso di una società complessa, può cedere il passo all’apparire.

Figlia dell’ex-primo ministro francese Lionel (in carica durante la presidenza Chirac, a lungo tra i massimi esponenti del Partito Socialista d’oltralpe), Eva Jospin, è nata a Parigi nel ’75, dove ha studiato (all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts) e dove, adesso, vive e lavora. Nel suo atelier, in cui processi industriali e artigianali convivono e operano diverse persone, si parla anche italiano. Del resto, l’artista, che dopo essere stata premiata dall’Académie des Beaux-Arts è stata ospite a Villa Medici (Roma), e conosce tutti (o quasi) i giardini d’Italia, parla a sua volta un perfetto italiano (comprensibilmente visto che ha sposato un milanese).

In genere, nella sua pratica, usa scultura, disegno e ricamo. La sua opera ha un’impronta raffinata e, come si è detto, volutamente scenografica che le ha permesso delle importanti incursioni nel mondo della moda (per Dior ha creato una serie di pannelli ricamati nella sfilata d’alta moda del ’21, poi l’ambientazione monumentale di quella di prêt-à-porter di ques’anno; mentre all’interno del negozio Max Mara di Milano c’è una sua installazione permanente). Ha esposto al Palais de Tokyo di Parigi al Musée de Giverny, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, ma anche nel cortile Cour Carrée del Louvre.

Si è anche aggiudicata la prestigiosa Carte Blanche 2023 della Maison Ruinart (il più antico produttore di champagne del mondo, attualmente di proprietà della holding del lusso LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SA).

Per Carte Blanche, come di consueto, le è stato chiesto di reinterpretare il territorio di Reims (nella Marna) dove ha sede l’azienda e, naturalmente, il prodotto. Jospin ha tratto ispirazione dalle radici delle viti e dalle cave di gesso in cui le bottiglie vengono lasciate invecchiare, per poi inserire nelle opere anche qualche riferimento ai dettagli della facciata monumentale della Cattedrale di Reims. Ne sono nati lavori, eleganti ed onirici, in cui gli elementi evocati dall’artista, riassemblati in una realtà parallela (ma non per questo meno credibile), emergono cesellati ed aerei. Che Ruinart, tra le altre cose, ha portato e porterà in giro per oltre 30 fiere d’arte nel mondo.

Ultimamente Jospin è anche entrata a far parte della scuderia di Galleria Continua, che le ha dedicato una mostra (attualmente in corso) nella sua sede di San Gimignano sui colli senesi. L’esposizione, intitolata “Vedute”, è piccola ma completa (ci sono sculture in cartone ondulato, disegni e ricami), ed è composta da pezzi importanti anche se non grandissimi.

D’altra parte, Jospin, non sempre sceglie di lasciare lo spettatore libero di confrontarsi con sculture a grandezza naturale. Spesso gli dà l’impressione di osservare paesaggi in lontananza o semplici rappresentazioni. Le famose sculture in cartone ondulato sono quelle in cui l’artista parigina si attiene più strettamente a un linguaggio figurativo. Del materiale (di cui pare tutti le chiedano fino a far scattare in lei un rifiuto) ha ricordato: “All’inizio è stato un caso, perché avevo appena cambiato atelier e avevo voglia di produrre opere molto più grandi. Ho riflettuto sulla produzione e ho visto le scatole del trasloco in un angolo dell’atelier. Da lì ho creato la mia prima foresta di cartone”. Anche se, in sostanza, le è piaciuto perché: economico, leggero, facile da lavorare e riutilizzare. Meno agevole il processo di lavorazione scelto da Jospin, in cui l’artista sovrappone strati su strati di sagome (spesso diverse solo nelle dimensioni), che perfeziona a suon di lime e taglierini, salvo poi interviene di nuovo sulla composizione aggiungendo moltitudini di particolari.

Uno dei soggetti ricorrenti di questa serie di opere è il bosco. Misterioso ed oscuro. In cui lo spettatore è chiamato a confrontarsi con le sue paure. Sono le sculture più psicanalitiche di Jospin, che, in genere, al massimo si spinge a ricucire insieme elementi di paesaggio esistente, creando luoghi fantastici ma meno intimi. Mentre, uno dei riferimenti storici prediletti dell’artista, è quello delle folies (in italiano capricci). Nate tra la fine del’500 e l’inizio del ‘600, le folies, hanno il loro maggior sviluppo nei due secoli seguenti e sono edifici privi, o quasi, di uno scopo pratico, in genere costruiti nei giardini, al fine di creare un’ambientazione e raccontare una storia. Nell’opera di Jospin questo riferimento storico fa si che il confine tra rappresentazione del vero e rappresentazione della rappresentazione si incrini e si fonda con la fantasia, in un intricato gioco di specchi, che cattura lo spettatore. Un trionfo del fraintendimento ma anche un modo per esprimere l’incredibile complessità del reale.

Jospin si dedica poi a complessi ricami colorati, che prendono spunto dagli antichi arazzi ma anche dalla pittura dei Nabis e di Édouard Vuillard. A disegni a china, che sono un fiorire cadenzato di segni. Ma pure a sculture che evocano le stratificazioni della roccia, rese modellando cemento e gesso (qui vuole evocare l’architettura degli uomini della pietra o semplicemente la materia erosa dagli elementi). In tutte queste opere comunque, l’artista, abbandona la figurazione per strizzare l’occhio all’astrattismo.

Eva Jospin sarà in mostra nello spazio espositivo di Galleria Continua di Arco dei Becci a San Gimignano (Siena) fino al 10 settembre 2023. Ma anche al Palais des Papes di Avignone, questa volta con un’installazione monumentale (“Palazzo”) che rimarrà visitabile fino al 7 gennaio 2024.

Eva Jospin, PAST PROJECTS CHRISTIAN DIOR Photo: @ADRIEN DIRAND

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, Vedute; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Eva Jospin, ATELIER RUINART 2023 Photo: @ LAURE VASCONI

Eva Jospin, ATELIER RUINART 2023 Photo: @ LAURE VASCONI

Da ottobre al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, James Lee Byars, il minimalista che amava l’oro

James Lee Byars Red Angel of Marseille, 1993 Vetro rosso, 1000 parti Ciascuna: ⌀ 11 cm Totale: 1100 x 900 x 11 cm FNAC 99316 Centre National des Arts Plastiques In deposito presso Centre Pompidou, Parigi Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

Scomparso nel ’97, durante un viaggio in Egitto, per un tumore allo stomaco che lo affliggeva da tempo, l’artista James Lee Byars, fondeva elementi della cultura orientale ed occidentale, in un’opera capace di fare tesoro del paradosso, mentre indagava la tensione dell’uomo verso l’irraggiungibile perfezione. Usava materiali preziosi, o almeno che potessero apparire tali, e li sposava a forme minimali. Il suo lavoro era pieno di simboli, un po’ esoterici e un po’materialisti, un po’ universali e un po’ personali (anche se, forse, la sfera e l’oro, sono quelli più noti) Performer, scultore e artista concettuale, aveva fatto di sé stesso un personaggio, che è stato descritto come "mezzo imbroglione e mezzo veggente minimalista”. Che sia proprio per questo o nonostante questo, Byars, è ricordato ancora adesso con affetto da un’ampia schiera di persone che hanno avuto occasione di conoscerlo e magari di ricevere le sue lettere (ne scriveva moltissime, a critici, altri artisti e amici in genere, le decorava, ritagliava e, a volte, ripiegava come origami; oggi sono considerate una parte fondamentale del suo lavoro). Tra loro anche l’attuale direttore del Pirelli Hangar Bicocca, Vicente Todoli, che a ottobre ospiterà una sua mostra.

L’esposizione “Nasce anche-spiegano - dalla stretta relazione instaurata tra Vicente Todolí e James Lee Byars, al quale il curatore ha dedicato due mostre personali all’IVAM Centre del Carme di Valencia nel 1994 e al Museu Serralves di Porto nel 1997, dei quali in passato è stato anche direttore”.

Organizzata in collaborazione con il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid e con il supporto dell’Estate di James Lee Byars, la mostra al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, è la prima retrospettiva dedicata a Byars, in Italia, dalla sua scomparsa. Raccoglierà una vasta selezione di opere scultoree e installazioni monumentali (realizzate dal 1974 al 1997), perché ha un focus particolare sui lavori più grandi e i materiali più preziosi maneggiati dall’artista americano (come marmo, velluto, seta, foglia d’oro e cristallo). Le opere scelte, proverranno tutte da collezioni museali internazionali, alcune raramente esposte, verranno presentate in Italia per la prima volta.

Concepiamo sempre retrospettive site-specific- ha detto Vicente Todoli- che dialogano con l’architettura di Pirelli HangarBicocca. Nella sua pratica James Lee Byars era solito adattare il suo corpus di opere allo spazio in cui veniva esposto, creando così una mostra che fosse essa stessa un'installazione complessiva. Pertanto, la nostra selezione di opere interagisce con l'ambiente ex industriale delle Navate, sfidandoci a interpretare lo spazio secondo l'approccio concettuale dell'artista”.

Nato negli Stati Uniti nel ’32, James Lee Byars, è stato un artista minimalista e barocco. Capace di conciliare l’opulenza dell’oro, di cui faceva uso largo e costante (se il budget non gli permetteva materiali più nobili, si accontentava di colori industriali pur di non rinunciarvi) con forme pure ricorrenti come il cerchio, la sfera, il cilindro ecc. Tutto comunque, era scelto per rientrare in un suo personale culto esoterico in cui elementi rituali e simboli evocativi si sostengono. A Venezia, in occasione dell’installazione della sua opera “Golden Tower”, il curatore Alberto Salvadori, ha detto a proposito dell’oro: “lo splendore dell'oro allude al simbolo del sole ma diventa anche simbolo di illuminazione interiore, di conoscenza intellettuale ed esperienza spirituale, concetto di divinità”. Allo stesso modo, la sfera, era un compendio di infiniti riferimenti cosmologici e religiosi, in cui lo spettatore è invitato a perdersi, come un monaco durante un esercizio di meditazione. Non è chiaro se lo stato quasi d’ipnosi di chi guarda o l’opera in sé fosse per Byars più vicina alla perfezione.

Perfezione, un’irraggiungibile chimera quest’ultima, che era così importante nell’universo di Byars che gli dedicò più di un pensiero nei suoi ultimi giorni di vita, o almeno così ha raccontato il critico statunitense Thomas McEvilley, a cui l’artista avrebbe urlato, spazientito, (sfiorando il minuscolo punto di saldatura tra le due metà di una sfera dorata su cui stava lavorando): "Tom, perché non possiamo fare niente perfetto!?" Del resto Byars non avrebbe smesso di lavorare fino all’ultimo, arrivando a rappresentare la propria morte durante la malattia.

Nel corso della sua vita, comunque, il momento di svolta della carriera, per lui, laureato in filosofia, era arrivato nel 1958 quando era partito per Kyoto (dove avrebbe vissuto qualche anno). Sia alcuni aspetti del teatro Noh che del rituale shintoista gli rimarranno in testa ed influenzeranno profondamente la sua opera. Che ad ogni modo avrà forme varie (userà molti medium diversi) e sarà consistente nonostante la prematura scomparsa dell’artista.

Dopo la permanenza in Giappone Byars condurrà un’esistenza errante, vivendo in varie città europee e statunitensi. Tra loro Venezia, che Byars amerà perché simbolo dei rapporti tra Oriente e Occidente oltre che per la sua bellezza a tratti sontuosa.

La mostra su James Lee Byars al Pirelli Hangar Bicocca di Milano si inaugurerà il 12 ottobre 2023. Una versione dello stesso progetto espositivo aprirà invece il 25 aprile 2024 al Palacio de Velázquez di Madrid.

James Lee Byars The Capital of the Golden Tower, 1991 Acciaio inossidabile dorato, legno dipinto 125 x 250 x 250 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra  Foto Roman März

James Lee Byars The Diamond Floor, 1995 Cristalli di vetro 5 parti, ciascuna: 10 x 18 x 18 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars The Tomb of James Lee Byars, 1986 Arenaria bernese ⌀100 cm Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Acciaio dorato 2000 x 250 x 250 cm Veduta dell’installazione, Campo San Vio, Venezia, 2017 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto Richard Ivey

James Lee Byars The Spinning Oracle of Delfi, 1986 Anfora dorata  195 x 195 x 320 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Moon Books, 1989 Marmo dorato in sedici parti, legno dorato 107 x 500 x 500 cm Veduta dell’installazione, Musée d’Art Moderne de Paris Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 1989 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Door of Innocence, 1986 Marmo dorato 198 x 198 x 27 cm The Figure of Question is in the Room, 1986 Marmo dorato 162 x 27 x 27 cm Toyota Municipal Museum of Art, Aichi Veduta dell’installazione, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 1989 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Chair of Transformation, 1989 Sedia del XVII secolo, tenda in seta rossa Sedia: 102 x 89 x 87 cm Tenda: 300 x 300 x 300 cm Veduta dell’installazione, Fundação de Serralves, Porto, 1997 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Acciaio dorato 2000 x 250 x 250 cm Veduta dell’installazione, Martin Gropius-Bau, Berlino, 1990 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars The Unicorn Horn, 1984 Seta, corno di narvalo Corno: 20.5 x 237 cm Totale: 300 x 120 x 110 cm Veduta dell’installazione, James Lee Byars, The Palace of Perfect, Kewenig Gallery, Berlino, 2019 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto Stefan Müller

James Lee Byars Ritratto, 1994 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

La Donazione Gemma De Angelis Testa che ha cambiato Ca’ Pesaro

Paola Pivi, One Cup of Cappuccino then I Go, 2007 ed. 5/5 Stampa fotografica su alluminio | Photographic print on aluminium 160 x 214 cm 167,5 x 220,5 x 6 cm (con cornice e vetro protettivo | with frame and protective glass) © Kunsthalle Basel, Massimo De Carlo, Perrotin, the artist Credits the artist

La notizia è stata diffusa in pompa magna già a dicembre dello scorso anno, anche se la Donazione De Angelis Testa alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia è stata presentata soltanto questa primavera. E non poteva essere altrimenti, visto che la collezione raccolta da Gemma De Angelis, moglie del famoso pubblicitario Armando Testa, si compone della bellezza di 105 opere d’arte contemporanea, talvolta grandi, spesso firmate da artisti molto popolari, per un valore stimato in 17 milioni e 300 mila euro. Il più importante lascito mai ricevuta da un museo veneziano dagli anni ’60 ai giorni nostri. Talmente importante da tramutare quello che fino ed oggi è stato un contenitore per l’arte moderna in uno principalmente votato a quella contemporanea. E, in generale, una delle più pregevoli donazioni ricevute da uno spazio espositivo pubblico italiano nella storia recente.

Prima di integrarla con le altre opere conservate a Ca’ Pesaro (come “Giuditta II (Salomè)” di Klimt o “Rabbino di Vitebsk” di Chagal), la donazione è oggetto di una mostra (in corso alla galleria fino a settembre), che permetterà di ammirarla per intero e vedere i lavori raggruppati in aree tematiche pensate per presentarli al pubblico e permettergli di conoscere i motivi delle scelte della collezionista. La mostra, curata da Gabriella Belli ed Elisabetta Barisoni, si intitola, semplicemente, “La Donazione Gemma De Angelis Testa”.

Tuttavia la collezione, che comprende anche un importante corpo del lascito Armando Testa, è molto sfaccettata. Ed offre molte più chiavi di lettura.

GLI ARTISTI:

Sono tanti gli artisti contemporanei che entrano a far parte della Galleria internazionale d’Arte Moderna di Venezia. Riaccostando, almeno un po’, Ca’ Pesaro, alla sua vocazione originaria, quando il museo serviva da contenitore per le opere precedentemente esposte in Biennale. Ci sono grandi nomi della pittura come: Anselm Kiefer, Gino De Dominicis, Michelangelo Pistoletto, Julian Schnabel, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Mario Schifano e Marlene Dumas. Le sculture di Tony Cragg, Mario Merz ed Ettore Spalletti ma anche i video (Bill Viola, per esempio), le performances (Marina Abramovic, Vanessa Beecroft ecc.) e fotografie (Candida Hofer, Thomas Ruff e Thomas Struth), completano il quadro.

Non si possono poi, non citare: Mariko Mori, Shirin Neshat, John Currin, Thomas Demand, David Salle, Tony Oursler, Gabriel Orozco, Kcho, Kendell Geers, Yang Fudong, Subodh Gupta, Chantal Joffe, Brad Kahlhamer, Lari Pittman e Francesco Vezzoli. Oltre al grande Anish Kapoor (che in settembre sarà in mostra a Palazzo Strozzi di Firenze), al popolare Chris Ofili, allo scomparso Chen Zhen (celebrato recentemente dal Pirelli Hangar Bicocca di Milano). Senza dimenticare: William Kentridge, Adrian Paci, Do-Ho Suh, Piotr Uklanski, Trisha Baga o Pascale Marthine Tayou. E Ai Weiwei, naturalmente. Oltre a Sabrina Mezzaqui ma soprattutto Paola Pivi (di cui De Angelis ha scelto opere particolarmente importanti).

Le opere che ho collezionato negli anni sono spesso legate a una storia o a degli aneddoti- ha raccontato Gemma De Agelis- Numerosi sono stati gli studio visit in giro per il mondo. Tra questi, ricordo la visita all’atelier di Julian Schnabel (…). Rimasi profondamente colpita dalla sua casa/studio: le sue tele si sviluppavano verticalmente ricoprendo tutte le pareti, da terra fino al soffitto: più di quattro metri di colore in altezza che animavano uno studio sui generis, al cui centro trovavano posto le due culle vintage dei figli gemelli dell’artista Cy e Olmo. (…) Ricordo anche l’incontro con Ai Weiwei: una presenza forte, carismatica, un architetto con una chiara visione del mondo.(…) Kiefer, spesso visto con il grande peso della storia sulle spalle, è in realtà un uomo molto gentile e disponibile (…)

UNA STORIA ROMANTICA:

La collezione di Gemma De Angelis, comprensibilmente, si intreccia alla sua storia personale. All’evolversi del gusto e della conoscenza della mecenate. Che dalla passione adolescenziale per Van Gogh e Modigliani conosce la una svolta determinante proprio a Venezia. Dove incontra sia la Biennale che il futuro marito, Armando Testa. Re della pubblicità italiana, capace di intuizioni che hanno dato vita a personaggi in grado di dimorare nell’inconscio collettivo di più generazioni (come Carmencita e il Caballero di Carosello), Armando Testa, amava l’arte contemporanea. Anzi, di lui De Angelis una volta ha detto “E’ stato il più artista tra i pubblicitari e il più anomalo tra gli artisti”. Insieme hanno visitato tutte le manifestazioni d’arte contemporanea (oltre alla Biennale anche Documenta e le fiere come Art Basel), le gallerie e spesso anche gli studi degli artisti. Tuttavia Testa non era un collezionista. Compreranno insieme qualcosina ma la cosa si fermerà lì. Pare anzi che ripetesse spesso: “I quadri sono per musei e gallerie, le pareti di casa devono essere mantenute bianche come le pagine di un album da disegno”. Gemma De Angelis la pensa diversamente e dopo la sua morte (negli anni ’90) comincia a collezionare. Facendo di quella pratica prima un processo di guarigione e poi un’occupazione a tempo pieno. Nel 2003 fonderà l’associazione ACACIA con l’obbiettivo di promuovere la giovane arte contemporanea italiana. Tuttavia, è soprattutto nella costruzione della sua collezione personale che emerge il senso di responsabilità di De Angelis verso il patrimonio artistico. Già dal principio, infatti, compra spesso opere grandi, con l’idea di donarle un giorno ad un museo. La stessa devozione De Angelis la dimostra verso l’opera di Testa: “La mia è una collezione che ha radici in varie parti del mondo, e che naturalmente ha trovato una sua dimensione grazie all’unione di testimonianze diverse e potenti. Il vuoto che hanno lasciato è colmato dalle numerose attività che porto avanti, tra cui la creazione dell’archivio delle opere complete di mio marito Armando Testa e la preparazione della sua mostra personale – che si terrà, sempre a Ca’ Pesaro, durante la Biennale nel 2024.

La mostra “La Donazione Gemma De Angelis Testa” alla Galleria d’Arte Moderna di Venezia proseguirà fino al 17 settembre 2023. Una data storica, dopo la quale Ca’ Pesaro non sarà più la stessa.

Mario Airò, Le affinità elettive, 2003 Due libri, legno, due microlampadine, ottone | Two books, wood, micro lightbulbs, brass 18 x 76 x 26 cm Credits Fabio Mantegna

Armando Testa, Punt e Mes Carpano, 1960 Stampa litografica su carta montata su tela | Lithographic print on paper mounted on canvas 198,5 x 137,2 cm Tiratura illimitata | Limited run Edizione rara | Rare edition Credits: Fabio Mantegna

Gabriel Orozco, Mani marine, 1995 Pasta di cellulosa, 16 elementi | Cellulose pulp, 16 elements 16 x 10 x 25 cm cad. | each Credits: Fabio Mantegna

Thomas Struth, Chiesa dei Frari, Venice, 1995 ed. 8/10 Stampa su carta | Print on paper 232 x 184 cm (senza cornice | without frame) 236 x 188 x 5 cm (con cornice | with frame) Firmata e datata al retro | Signed and dated on the back Credits the artist

Chantal Joffe Yellow Bikini and Fur Coat, 2004 Olio su tavola | Oil on panel 40,5 x 39,2 cm Firmata al retro | Signed on the back Credits the artist

Subodh Gupta Senza titolo | Untitled, 2008 Olio su tela | Oil on canvas 167 x 228 cm Firmata al retro | Signed on the back Credits Ela Bialkowska

Armando Testa, La Poltrona Ideazione dell’opera | Design 1978 Esemplare | Specimen 2/2000 (in totale 9 esemplari con date di stampa diverse | 9 total specimen with different production dates) Stampa lambda | Lambda print 47 x 67 x 2 cm Credits Nino Chironna

Yoan Capote Isla (inteligible), 2019 Olio e ami da pesca su pannello di pluricompensato e tela | Oil and fish hooks on plywood panel and canvas 134 x 172 cm Firmata e datata al retro | Signed and dated on the back Credits the artist

Ai Weiwei, Colored Vases, 2014 Vasi della dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), vernice per auto | Han dynasty (206 bc-220 ad) vases, car paint Dimensioni varie | Various sizes Credits Fabio Mantegna

Candida Höfer, Deutsche Bücherei Leipzig VII, 1997 ed. 5/6 Stampa fotografica a colori | Colour photographic print 87 x 87 cm (con cornice e vetro protettivo | with frame and protective glass) Firmata e datata al retro | Signed and dated on the back Credits the artist

Anselm Kiefer, Brennstabe (Fuel Rods), 1991 Fotografia su cartone, tubi di piombo, cucchiai di ferro | Photograph on cardboard, lead pipes, metal spoons 240 x 100 cm Credits the artist

Piotr Uklanski, Untitled (Yan Pei-Ming), 2007 ed. 1/5 C-print da file digitale | C-print from digital file 126,7 x 100,9 cm Credits the artist

Ai Weiwei, Galileo Galilei in LEGO, 2016 ed. 1/3 Mattoncini LEGO | LEGO blocks 114 x 152 x 1,70 cm Credits Fabio Mantegna