Sospesa tra figurazione e astrazione, poetici giochi cromatici e brutalità, velocità ed atemporalità, l’arte di Miriam Cahn, è difficile da definire. A volte tanto diretta da urtare la sensibilità di chi guarda, più spesso è elusiva, a tratti persino onirica e surreale. Ispirata al flusso incessante delle notizie di cronaca e nutrita alla fonte della Storia dell’Arte, l’opera di Cahn, evoca la complessità del mondo. Ed è fatta per essere osservata con calma. Forse per questo non manca mai di accendere polemiche.
E’ successo anche al Palais de Tokyo (il museo d’arte contemporanea di Parigi), dove gli organizzatori della grande mostra, “Ma Pensée Sérielle”, a lei dedicata, si sono visti costretti a mettere una targhetta per spiegare il dipinto “Fuck Abstraction!”.
Lo sdegno per l’errata interpretazione di un lavoro (effettivamente forte), infatti, dopo essere rimbalzato sui social era arrivato in tribunale, sotto forma di una petizione (che proponeva di rimuovere l’opera dal percorso espositivo). In “Fuck Abstraction!”, una possente figura maschile, nuda con il pene eretto, tiene una mano sulla testa di un fragile personaggio inginocchiato di fronte a lui. L’opera, pensata come una denuncia alla violenza dei conflitti armati e agli stupri di guerra (qui aveva in mente l’Ucraina ma il tema è ricorrente), infatti, era stata scambiata per la rappresentazione di un episodio di pedofilia. La questione si è comunque conclusa in fretta (il giudice ha dato ragione all’artista).
E pensare che a Parigi, come spesso accaduto in passato, un cartello avvertiva i visitatori: “Alcune opere potrebbero urtare la sensibilità del pubblico”. “Fuck Abstraction!” a parte, l’artista dipinge spesso organi sessuali messi in evidenza. Cahn, da parte sua, sull’argomento è stata piuttosto chiara: “Non è un mio problema se le persone hanno difficoltà a guardare un pene eretto. È un problema della società, ed è per questo che è interessante.” (lo ha detto in un’intervista rilasciata quando la città di Siegen, in Germania, le ha conferito un importante riconoscimento).
Nella stessa conversazione, Cahn, ha affermato che a 72 anni continua a sentirsi infuriata ogni giorno che passa. Ad alimentare la sua rabbia sarebbe il flusso costante di notizie dei Tg, che l’artista però non ha mai smesso di ascoltare. D’altra parte lei, che è piuttosto portata alle accese discussioni, a quel sentimento spesso attinge per creare.
Ma chi è Miriam Cahn? Nata nel 49 a Basilea, di origini ebraiche, ha abitato in varie città europee per poi ritirarsi sulle Alpi svizzere, al confine con l’Italia. In Val Bregaglia, dove ha una casa-studio disegnata dall’architetto, Alberto Ruinelli. Ha dichiarato di considerare un privilegio poter fare arte in quella cornice, anche perché, Cahn, ama molto camminare. Una passione di famiglia, come il forte interesse per la politica. Quest’ultimo, di sicuro cresciuto durante il periodo di studio dell’artista alla Basel School of Design (l’ha frequentata in un momento caldo: dal ’68 al ’75).
Ma Cahn è soprattutto una femminista. Lo è talmente convintamente, da aver evitato di dipingere per oltre 30 anni: “Tra gli anni Settanta e la metà degli anni Novanta- ha spiegato, Isabella Achenbach, sulla guida della 59esima Biennale di Venezia- Cahn ripudia la pittura in un atto di resistenza femminista contro lo Zeitgeist del mondo artistico occidentale, incentrato sull’astrattismo e minimalismo dei colleghi maschi”.
Nel frattempo, l’artista svizzera disegnava. Solo bianco e nero, mettendo il supporto per terra, e usando tutto il corpo in una sorta di performance. Le opere di quel periodo sono molto belle, il tratto è rabbioso, deciso, ma anche flessuoso, veloce ed apparentemente inarrestabile. Tuttavia, Cahn, che a quarantacinque anni decide di prendere finalmente in mano colori e pennello, è adesso nota soprattutto come pittrice (malgrado usi diversi mezzi espressivi. come fotografia, cinema e scrittura).
E si capisce perché, guardando le opere in mostra al Palais de Tokyo: Cahn usa la pittura con un virtuosismo magistrale. Si passa da una tessitura di sfumature di toni asciutti che conducono lo sguardo con dolcezza in paesaggi aspri e assolati; fino a un blu talmente vivo da sembrare illuminato con un faretto nascosto. A volte il colore, acido, innaturale, vivacissimo, si fa morbido, nebuloso, capace di riassorbire le figure a cui aveva concesso la vita. Altre volte prevalgono i toni pastello, che si scontrano con altri colori e tessiture. Niente è scontato nell’universo pittorico di Cahn. Tanto che le devastanti esplosioni atomiche sono rese con aerei acquerelli multicolore. Mentre le solitarie figure dei ritratti, guardano lo spettatore con una silenziosa domanda negli occhi. E poco importa, se talvolta hanno un volto farsesco, altre una maschera appena abbozzata e altre una faccia non ce l’hanno neppure.
Con oltre duecento opere, realizzate dagli anni ’80 fino ad oggi, “Ma Pensée Sérielle”, è la più grande retrospettiva dedicata a Miriam Cahn da un’istituzione francese. L’artista, che lo scorso anno ha partecipato a “The Milk of Dreams”, la Biennale di Venezia di Cecilia Alemani, è già stata ospite di documenta e ha consegnato le sue opere a importanti collezioni permanenti (tra loro quella del MoMA di New York, della Tate Modern di Londra, del Museo Reina Sofía di Madrid e del Museo d’Arte Moderna di Varsavia). Al Palais de Tokyo di Parigi, Cahn, ha accostato le opere tra loro per creare racconti e generare nuovi punti di vista.
"Una mostra- ha detto l’artista- è un'opera in sé e io la vedo come una performance".
Ci sono ritratti, paesaggi e immagini varie. Tutte rigorosamente senza cornice ma anche senza cartellini con titolo, tecnica e anno di produzione dell’opera. Non ci sono neppure note esplicative, a parte nel caso di “Fuck Abstraction!”, che adesso e fino al 14 maggio 2023, quando si concluderà la mostra, non verrà mai separata dal suo cartellino con tutti i chiarimenti del caso.