Una bambola kokeshi affamata e dei leoni komainu robotici salutano i visitatori al tempio Kiyomizu-dera di Kyoto

Fino al 13 marzo all’ingresso del tempio di Kiyomizu-dera, una gigantesca bambola tradizionale kokeshi accoglieva i visitatori insieme a una coppia di leoni guardiani komainu in versione robotica. Le opere, realizzate rispettivamente dal collettivo giapponese Yotta e dall’artista Kenji Yanobe sono state posizionate in occasione della fiera degli artisti di Kyoto 2022. E sono due rivisitazioni della scultura monumentale.

La bambola kokeshi, da sempre modellata in legno e dipinta con vari colori fino a riprodurre un kimono, resta un simbolo del Giappone, ma in passato fu talmente famosa da ispirare il design della matrioska russa. Quella del collettivo Yotta si chiama “Hanako” e si prende molte libertà rispetto alla sua antenata. Tanto per cominciare nelle dimensioni: la bambola posizionata all’ingresso del tempio patrimonio Unesco misura 12 metri e mezzo. Altezza monumentale, che contraddice, con la posizione (quella di un giocattolo caduto a terra). E con il peso. “Hanako”, infatti, è un leggerissimo gonfiabile.

Ma la bambola kokeshi del collettivo Yotta (composto dagli artisti: Kizaki Kimitaka, Kanetani Koji e Yamawaki) non si limita a questo. E’ anche parlante. Recita filastrocche, canta canzoncine allegre, borbotta e ogni tanto dice: “Ho fame!”

Stanno zitti e si limitano a 3 metri e 30, i komainu di Kenji Yanobe. I leoni giapponesi che fanno la guardia ai templi per allontanare gli spiriti maligni, qui, mixano tradizione e contemporaneità senza dimenticare l’ironia. Una ha le fauci splancate l’altra chiuse.

Wikipedia spiega: "La bocca aperta pronuncia la prima lettera dell'alfabeto sanscrito , che si pronuncia "a", mentre la chiuso è pronunciare l'ultima lettera, che si pronuncia "um", per rappresentare l'inizio e la fine di tutte le cose. Insieme formano il suono Aum , una sillaba sacra in diverse religioni come l'induismo , il buddismo e il giainismo" .

Ma nella versione di Yanobe i komainu si trsformani nei robottini di un manga e hanno pose da animale domestico.

Image Courtesy of @yanobekenji

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Serge Attukwei Clottey crea una monumentale cascata nel deserto fissando tessere di taniche gialle l'una all'altra

Serge Attukwei Clottey, Gold Falls, installation view, Desert X AlUla 2022 Courtesy the artist adn Desert X AlUa Photo by Lance Gerber

Forse non si può dire che vedendo Gold Falls si abbia l’impressione di sentire l’acqua scorrere, perchè l’installazione di Serge Attukwei Clottey, ricorda più una stoffa drappeggiata. Di certo però l’effetto è drammatico. Realizzato dall’artista ghanese per la seconda edizione di Desert X AlUla, Gold Falls è un enorme mosaico composto da tessere di galloni kufuor gialli (la cifra stilistica di Attukwei Clottey). Tanto grande da arrivare quasi al vertice di un’alta formazione rocciosa.

Serge Attukwei Clottey con Gold Falls gioca con il tema della manifestazione, il sarab (termine arabo che significa miraggio). Rappresentando l’acqua nel desento, infatti, fa riferimento all’illusione per antonomasia delle zone aride ma anche ai temi a lui cari: migrazione, globalizzazione, ecquità idrica.

"La storia del deserto da una prospettiva africana rappresenta la lotta, la morte per migrazione, la scarsità d'acqua e la tristezza- ha detto Clottey alla pubblicazione di settore Artnet News - Ma avere una mostra nel deserto porta vita e umanità al luogo e alla natura. Usando i galloni kufuor qui come rappresentazione della scarsità d'acqua, volevo cambiare la percezione di questo spazio allo stesso modo in cui l'acqua significa speranza e vita".

Le installazioni di Attukwei Clottey sono spesso importanti nelle dimensioni e le tessere di vecchie taniche di plastica gialla che l’artista raccoglie nei pressi della sua città natale (Accra), stranamente, a prima vista evocano l’oro e i tessuti pregiati. Ma Gold Falls è forse più impressionante del solito, per la collocazione verticale e il movimento, oltre che per la luce intensa e la sostanziale bicromia del paesaggio (l’ocra della sabbia e il blu del cielo).

Gold Falls di Serge Attukwei Clottey resterà collocata nelle valli del deserto di Alula in Arabia Saudita, insieme alle opere di altri quattordici artisti (ad esempio Jim Denevan e Abdullah Al Othman), fino alla conclusione di Desert X AlUla 2022, il 30 marzo. Altre opere dell’artista ghanese si possono vedere qui o sul suo account instagram.

Serge Attukwei Clottey, Gold Falls, installation view (detail), Desert X AlUla 2022 Courtesy the artist adn Desert X AlUa Photo by Lance Gerber

Serge Attukwei Clottey, Gold Falls, installation view (detail), Desert X AlUla 2022 Courtesy the artist adn Desert X AlUa Photo by Lance Gerber

Lo scultore Hugh Hayden ha creato un'inestricabile foresta di banchi scolastici al Madison Square Park

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

Entrando al famosissimo Madison Square Park , nella parte settentrionale di Manhattan, in queste settimane è difficile non imbattersi in una foresta di banchi scolastici da cui si ergono fitti rami. L’installazione, composta da 100 sculture identiche di Hugh Hayden, uno degli astri nascenti della scena artistica newyorkese, si estende all’ombra degli alberi su quattro campi distinti, come un rigoglioso ed inestricabile sottobosco. O un roveto, come sembra suggerirne il titolo: Brier Patch.

L’opera pubblica parla di disparità d’accesso all’istruzione. Per questo i banchi, cristallizzati in un immagine nostalgica dal design inconfondibilmente anni ‘60, sono vuoti. Inacessibili. Sembrano anzi ritornati di dominio della Natura dopo un breve periodo allo stato di artefatti.

"Gli oggetti stessi sono in transizione tra culturale e naturale- ha detto a New York Times l'artista Mark Dion , professore di Hayden all'università- Si rifà al meglio dei surrealisti come Man Ray e Meret Oppenheim , dove gli oggetti sono così inquietanti. Oscillano in questo mondo misterioso. È una sedia e non è una sedia".

Lo scultore statunitense focalizza il suo interesse sulla difficoltà di accesso ad un’istruzione di qualità da parte delle minoranze. Un labirinto burocratico che può ferire molto profondamente. A meno di non essere furbi come il Br'er Rabbit (il titolo dell’installazione in realtà fa soprattutto riferimento a lui), l’astuto coniglio che dai racconti orali dell’Africa occidentale si è trasferito negli Stati Uniti meridionali insieme agli schiavi, per essere definitivamente consacrato nell’immaginario popolare dalla Disney anni dopo.

Nato nell’83 a Dallas da una famiglia afroamericana di insegnati, Hugh Hayden, si è laureato in architettura e ha praticato la professione per una decina d’anni, prima di dedicarsi a tempo pieno alle arti visive. Adesso vive a New York ed è rappresentato sul territorio statunitense e inglese dalla influente Lisson Gallery. Le sculture in legno (materiale che sceglie rigorosamente a chilometro zero o giù di lì), sono le opere che lo identificano con maggior chiarezza. Si tratta, come nell’installazione di Madison Square Park, di oggetti d’uso comune ricoperti di rami o spine. Ma ha anche nascosto una macchina della polizia sotto un lenzuolo con i buchi per gli occhi stile cartone animato. Oltre ad aver trasfomato tegami e padelle in tanto colorate quanto divertenti maschere africane.

Brier Patch resterà al Madison Square Park fino al 24 aprile. Hugh Hayden ha un sito internet e un account instagram che è possibile consutare per dare uno sguardo agli altri suoi lavori. (via Colossal)

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

Hayden durnte l'installazione di “Brier Patch” (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Rashmi Gill