I Capibara di peluche in uno zoo giapponese aiutano a mantenere la distanza di sicurezza

image via izu shaboten zoo

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Lo zoo Izu Shabonten di Shizuoka (nella parte centro-meridinale del Giappone), per indurre i clienti del suo ristrante a mantenere il distanziamento sociale, non ha tolto tavoli. Ma ha messo dei capibara di pelusche nei posti che avrebbero dovuto rimenere vuoti..

i simpatici giocattoli in questo modo spingono i clienti a mantere le distanze di scurezza e contemporaneamente fanno loro compagnia. L’idea, oltre ad essere commercialmente intelligente (diversi tipi di peluche che ritraggono gli animali dello zoo sono in vendita al negozio di souvenir), dimostra rispetto nei confronti degli ospiti (che non devono cercare da soli la distanza giusta dagli altri commensali) e li mette in un stato d’animo positivo anzichè ricordargli la pandemia.

Nella sala ci sono anche giraffe, panda rossi e procioni, ma i capibara sono decisamente i più numerosi. I grandi roditori originari del Sud America sono, infatti, degli animali simbolo per lo zoo Izu Shabonten che, oltre a dare la possibilità di ammirarli, offre una vasta serie di attività imperniate su di loro.

I capibara, originari di zone del pianeta dal clima temperato passano la gran parte del loro tempo in acqua, ma si sono adattati a vivere nello zoo giapponese da decenni ormai. Tuttavia all’inzio, durante l’inverno, a questi pacifici animaletti mancava qualcosa. A scoprire come risolvere il problema fu un guardiano dello zoo, che, nel 1982, dopo aver pulito il loro recinto, vide i capibara correre felici verso una pozza d’acqua tiepida che si era formata per terra.

Da allora i capibara durante la stagione fredda hanno una piscina termale in cui immergersi.

Lo zoo Izu Shabonten, durante la pandemia di COVID 19, è stato chiuso per un periodo relativammente breve se rapportato al lunghissimo lockdown italiano, ma dal 16 maggio ha riaperto. Per garantire la salute del pubblico mette a disposizione gel disinfettante, obbliga all’uso della mascherina e mette i capibara di peluche per il distanziamento nel ristorante. Ha anche fatto dei cartelli che indicano in modo chiaro la distanza di sicurezza che va mantenuta dagli altri visitatori. E’ misurata in…capibara. (via Spoon and Tamago)

images via twitter user @chacha0rca

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image via colossal

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Il manuale giapponese contro la pandemia di Spagnola con consigli validi ancora oggi

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Tra il 1918 e il 1921 l’influenza spagnola uccise 50 milioni di persone nel mondo (stando alle sole stime ufficiali) e ne infettò oltre 500 milioni. In Giappone arrivò nella primavera del 1918 insieme a un gruppo di lottatori di sumo che erano stati in tournée a Taiwan. Il dipartimento di salute pubblica del governo giapponese dell’epoca, creò un manuale per spiegare alle persone come proteggersi dal virus. I consigli che dava sono più o meno gli stessi che oggi vengono ripetuti contro la diffusione del COVID 19.

Anzi sono di più. Naturalmente il manuale raccommandava di mantenere la distanza di sicurezza e usare le mascherine (l’abitudine tutta orientale di coprire le vie respiratorie durante la stagione fredda è nata allora). Spiegava che era opportuno separare una persona infetta dagli altri membri della famiglia. Ma consigliva anche i raggi del sole come disinfettante naturale. E raccomandava a tutti di fare sempre i gargarismi appena tornati a casa.

E poi naturalmente di vaccinarsi. Infatti, anche se un vero e proprio vaccino per la Spagnola durante l'epidemia non ci fosse, si poteva fare quello contro la polmonite che era una delle principali complicazioni dell’infezione.

Al principio l’influenza spagnola in Giappone venne sottovalutata. Il paese era alle prese con il colera e si pensò che non fosse il caso di preoccuparsi per una malattia con un basso tasso di mortalità. Senza considerare che la Spagnola era molto contagiosa. Così la seconda ondata del vitus colpì duramente l’arcipelago del sol levante.

Il manuale giapponese creato per proteggere la popolazione dal contagio da Spagnola è stato recentemente ristampato da Heibonsha. (via Open Culture)

Questo manifesto mostra i rischi a cui si espogono le persone care quando non si usa la mascherina in casa

Questo manifesto mostra i rischi a cui si espogono le persone care quando non si usa la mascherina in casa

Questo manifesto  raccomanda l’uso della mascherina quando si è fuori casa per proteggersi e proteggere.

Questo manifesto raccomanda l’uso della mascherina quando si è fuori casa per proteggersi e proteggere.

Questo manifesto raccomanda di vaccinarsi

Questo manifesto raccomanda di vaccinarsi

Qui si ricorda di fare sempre i  gargarismi appena rietrati

Qui si ricorda di fare sempre i gargarismi appena rietrati

esporre gli oggetti al sole per disinfettarli e vaccinarsi

esporre gli oggetti al sole per disinfettarli e vaccinarsi

A Seul un onda gigante imprigionata in un acquario sembra incombere sulla strada. Ma è solo anamorfosi digitale

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Nel centro di Seul c’è una struttura simile ad un grande acquario in cui una gigantesca onda si infrange e ritrae incessantemente sulle pareti in cui è imprigionata. Potrebbe incutere timore non fosse che è tutta un’illusione.

Progettata dall’azienda di design D'strict, l’onda, in realtà è una video-installazione caratterizzata da un’insolita tridimensionalità. “Un’ullusione anamorfica” spiegano i suoi creatori. Si intitola Public Media Art # 1 Wave (o più semplicemente Wave) ed è stata realizzata sullo schermo ad altadefinizione più grande del mondo.

Ben 80,1 metri in larghezza per 20,1 metri d'altezza per un totale di 1.620 metri quadrati. A definizione altissima, con una concentrazione di pixel fuori al comune. Ci sono voluti due mesi per costruire lo schermo, fondendo insieme due display a LED con bordi curvi con oltre 30.000 moduli di a LED separati. Ognuno grande 1 cm.

Tanto impegno tuttavia è stato ripagato dal successo riscosso in rete da Wave. Come è prevedibile visto il massiccio uso di tecnologia e l’uso dell’anamorfosi che è una tecnica tanto antica quanto apprezzata.

D'strict mostra con puntualità i suoi lavori sia su Vimeo che Instagram. (via Evening Standard)

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