"Reaching for the stars": a Palazzo Strozzi un viaggio intergalattico nel firmamento dell'arte contemporanea

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Dallo scorso fine settimana, nel cortile quattrocentesco di Palazzo Strozzi c’è un razzo. Più o meno a grandezza naturale, si capisce che non potrà mai volare, ma con la rampa blu elettrico e il corpo metallico che si estende fino allo spicchio di cielo incorniciato dal tetto, è ugualmente d’impatto. Capace di proiettare gli animi verso il futuro. E i visitatori della mostra “Reaching for the Stars” direttamente nel firmamento dell’arte contemporanea.

In un viaggio intergalattico, nato dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, e orientato da stelle polari come Maurizio Cattelan, Damien Hirst o Cindy Sherman e che condurrà a raggiugere astri nascenti come quello di Lynette Yiadom-Boakye. Senza dimenticarsi di fare una tappa nel pianeta irriproducibile di Tino Seghal, dove video e fotocamere sono bandite.

Tra capolavori, ironia, storia contemporanea, identità culturali e tanta musica.

Goshka Makuga, Gonogo, Palazzo Strozzi Firenze. Photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

GONOGO:

Il razzo si chiama “Gonogo (il titolo fa riferimento al processo di verifica “go/no go” che precede un lancio aerospaziale), alto 15 metri, è l’ultima installazione dell’artista polacca Goshka Macuga, e il suo scopo principale, a Firenze, è quello di trasportare i visitatori nel firmamento dell’arte contemporanea. Ma, in genere ne ha diversi. Prima di tutto, la monumentale scultura, allude al rapporto contraddittorio con il futuro del genere umano (da una parte l’entusiasmo, dall’altra insicurezza e la paura).  

Gonogo”, realizzato in una fonderia fiorentina per “Reaching for the Stars”, su commissione della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, è stato tra i progetti finalisti al concorso per il Fourth Plinth di Trafalgar Square a Londra. E, a fine mostra, aspetterà di essere collocato sull’Isola di San Giacomo a Venezia dove sorgerà la nuova sede della fondazione piemontese.

Fino ad allora è un’opera d’arte pubblica accessibile a chiunque metta piede nel cortile di Palazzo Strozzi.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

LA MOSTRA – INFORMAZIONI ESSENZIALI:

Nata per celebrare il trentennale della collezione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, “Reaching for the Stars. Da Mauriziodi  Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye, ha unito gli sforzi economici e organizzativi della Fondazione Palazzo Strozzi con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Ha richiesto oltre due anni di pianificazione e con 70 opere di importanti artisti italiani ed internazionali (tutte provenienti dalla collezione torinese), suddivise in 9 aree tematiche, vuole essere una ricognizione sulla storia più recente dell’arte contemporanea e delle ultime tendenze. Il raggio temporale coperto dalle opere è piuttosto vasto (dagli anni ’70 ai giorni nostri, anche se la maggior concentrazione di lavori è tra gli anni ’90 e i primi decenni del XXI secolo).

Gli artisti provengono da tutti i continenti e la mostra occupa l’intero spazio espositivo dell’edificio quattrocentesco (Cortile, Piano Nobile e Strozzina).

Naturalmente “Reaching for the Stars” è anche un’occasione di dialogo tra i capolavori contemporanei e l’architettura rinascimentale dello storico palazzo fiorentino.

Il curatore, Arturo Galasino (Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi), ha salutato l’inaugurazione dicendo: “Reaching for the Stars è un viaggio in quarant’anni di scoperte e ricerca nell’arte contemporanea. Ospitare a Firenze una collezione come questa significa celebrare i valori del mecenatismo e della committenza nella città dove il grande collezionismo è nato”.

Mentre Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha affermato: “È per me un onore e una grande emozione poter rivedere le ‘stelle’ della collezione esposte nelle splendide saledella Fondazione Palazzo Strozzi. Festeggiare i trent’anni della mia pratica collezionistica all’interno di questo palazzo, capolavoro dell’architettura rinascimentale”.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

GLI ARTISTI:

Si tratta di 50 nomi, quando presenti con un singolo lavoro, quando con più di uno (di Cattelan ad esempio ne sono esposti 5). Sono comunque (fatta eccezione per i più giovani) tutti molto famosi. Vere e proprie stelle.

Tra quelli più noti: Anish Kapoor, Damien Hirst, Maurizio Cattelan, Cindy Sherman, Barbara Kruger, Katharina Fritsch (premiata con il Leone d’oro proprio alla Biennale di Venezia dello scorso anno). Ma anche Lara Favaretto, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Sarah Lucas, Lynette Yiadom-Boakye. E poi: Glenn Brown, Cerith Wyn Evans, Tino Seghal, David Medalla, Rudolf Stingel, Vanessa Beecroft, Paola Pivi, Pawel Althamer,  Shirin Neshat, Josh Kline, Jeff Wall, Thomas Ruff, Thomas Struth, Charles Ray, Mark Manders, Michael Armitage, Adrián Villar Rojas, Thomas Schütte, Wolfgang Tillmans, Cecily Brown, Douglas Gordon & Philippe Parreno, Fiona Tan, Ragnar Kjartansson.

E tanti altri.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

LE OPERE:

Reaching for the stars” ha il merito di aver selezionato quasi esclusivamente lavori importanti. Di Damien Hirst, per esempio, c’è un bel quadro della serie Love (“Love is Great”, 1994), di quelli con le farfalle (vere) che stanno per essere inghiottite dal colore implacabilmente appiccicoso pur se splendido della tela. E una grande scultura dove una stanza priva di qualsiasi attrattiva, se ne stà lì, capovolta, con tanto di scrivania, sedia, pacchetto di sigarette e posacenere al suo interno (“The acquired inability to escape- Inverted and divided”, 1993).

Maurizio Cattelan (Padova, IT, 1960, vive e lavora tra New York e Milano) Bidibidobidiboo, 1996 scoiattolo tassidermizzato, formica, ceramica, legno, acciaio verniciato; cm 45 x 60 x 58 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Zeno Zotti

E, dove le gotiche riflessioni cariche di humor nero di Hirst, lasciano spazio all’ironia caustica di Maurizo Cattelan, si incontrano dei veri e propri capolavori come lo scoiattolino suicida di “Bibidibobidiboo” (1996) e l’autoritratto dell’artista originario di Padova appeso in completo di feltro grigio di  “La Rivoluzione siamo  noi” (2000). Senza contare le rovine dell’attentato mafioso di via Palestro a Milano (1993), che Cattelan raccolse in discarica e mise in un sacco (“Ninnananna”).

Sempre italiane sono “Gummo V” (2012) di Lara Favaretto, con le sue spazzole rotanti, di varie dimensioni e colori, che lasciano lo spettatore stupito (e pronto a girare un video) e l’orso rivestito di piume di pulcino in posa tenera di Paola Pivi (“Have you seen me before?” , 2008).

 E, anche se l’orso di Pivi ci facesse un’immensa tristezza pensando ai pulcini sacrificati per creare l’opera, ci potremmo consolare ammirando una splendida collezione di fotografie in bianco e nero di Cindy Sherman, in cui l’artista statunitense ci porta in un mondo di suggestioni cinematografiche, facendo da modella, scenografa e fotografa contemporaneamente (vari “Untitled film still #” degli anni ’70).

Muovendosi velocemente per le sale, non si può non rimanere colpiti da sculture come “Cloud Canyons” (1988) dello scomparso David Medalla, in cui dall’opera-macchina continuano a uscire bolle di sapone che la modificano ininterrottamente. O dal grande busto che sembra d’argilla crepata ma invece è di metallo dipinto (“Unfired Clay Torse”, 2015) del belga Mark Manders. Oppure rimanere indifferenti di fronte alla scultura in cera, grasso, capelli e intestino animale (“Self-portrait”, 1993), in cui l’artista di Varsavia, Pawel Althamer, si fa più vecchio e brutto.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Altri lavori possono pure ispirare riflessioni legate al contesto. E’ il caso di “Viral Research” (1986) di Charles Ray, con i suoi contenitori pieni di un liquido nero e vischioso, posti su un tavolo e collegati gli uni agli altri da cannucce, che sono stati installati davanti a un grande dipinto carico di motivi ripetuti e dorature del tirolese, Rudolf Stingel (“Untitled Ex unico”, 2004). La scultura di Ray, infatti, che in partenza esprimeva la paura dell’Aids, nel contesto di “Reaching for the Stars”, può anche richiamare un punto di ristoro signorile in un antico palazzo e far pensare all’ambivalenza dei riti quotidiani e all’ansia ossessiva che possono nascondere.

Poi c’è la monumentale divinità ancestrale-sirena in bronzo del tedesco, Thomas Schütte (“Nixe”, 2021), che per qualche inspiegabile motivo, dal vivo, nella cornice di Palazzo Strozzi, diventa molto più ponte ed evocativa che nelle fotografie scattatele altrove.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Non si può, poi, non citare la grande scultura in argilla e cemento del brasiliano Adrián Villar Rojas (“Return the World (the Fat Lady)”, 2012), l’infilata di fotografie spettacolari e pittoriche del canadese Wall e dei tedeschi Ruff e Struth. Gli splendidi dipinti dell’inglese di origini ghanesi, Lynette Yiadom-Boakye (di recente ospite di una personale alla Tate Britain di Londra).

Per scendere, infine, nella Strozzina e ammirare l’ampia rassegna di video presentata (ce ne sono di centrati sull’animazione, la musica o la fotografia).

Lì, inaspettata, si avrà pure modo d’incontrare l’opera del tedesco-indiano Tino Seghal. Artista e ballerino, Seghal, crea quelle che lui definisce “situazioni costruite”, cioè performance sintetiche, divertenti e a tratti poetiche, che coinvolgono lo spettatore. Tra l’altro è tassativamente contrario ad ogni forma di riproduzione delle sue opere, per questo se non si va a vederle in mostra è difficile figurarsele. A “Reaching for the stars”, comunque, si avrà occasione di trovarsi faccia a faccia con una performer che, in vece di Seghal, canterà una canzone diversa a seconda dello spettatore, ispirata solo dallo stato d’animo di quest’ultimo.

La performance si chiama “This You” (2006) ed è davvero bella (ma attenzione: nascondete il telefonino!).

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

 LA MOSTRA – COSIDERAZIONI:

Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye” è un’esposizione che scorre fluida, ricca di sollecitazioni visive e spunti di riflessione. Molto ben allestita.

Composta da opere importanti, attentamente selezionate, senza cedere alla tentazione di inserire troppo o di sbilanciare il percorso. Tante ma non troppe, appunto, ben posizionate nelle antiche sale del palazzo.

Anche le aree tematiche, tutto sommato, la tengono insieme con grazia, nonostante l’esposizione sia stata ideata partendo da materiale pre- selezionato (le opere dovevano essere quelle già presenti nella collezione Sandretto Re Rebaudengo).

Il riferimento alle stelle, poi, che accompagna il visitatore fin dal titolo, regala ulteriore solidità concettuale alla mostra. Quest’ultima, infatti, va letta come si farebbe con gli astri che punteggiano la volta celeste. Prima di tutto stella per stella (cioè opera per opera), per poi considerare il significato delle costellazioni nel loro insieme.

Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye” rimarrà a Palazzo Strozzi fino al 18 giugno 2023.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

I ponti incompiuti sono un simbolo di corruzione. Per questo un artista li ha fotografati tutti

Md Fazla Rabbi Fatiq, Untitled, work in progress (2022-ongoing)

La serie di fotografie “Untitled” dell’artista del Bangladesh, Md Fazla Rabbi Fatiq, condensa in una laconica metafora i problemi del suo paese. Quella dei ponti incompiuti. E lo fa con un linguaggio asciutto da documentario d’altri tempi.

Le immagini che si susseguono, svelando architetture geometriche fatiscenti, spesso solo abbozzate, sono state catturate con rigore quasi scientifico. Non sono omogenee nella scelta della prospettiva, né nella distanza, ma nella piatta rigidità dell’immagine. Le forme sono addolcite solo dal tempo cupo, spesso nebbioso, che costituisce anche un commento. Una delle poche libertà che l’artista si è preso nei confronti di foto che altrimenti vogliono essere obbiettive fino all’impersonalità.

Nato nel ‘95, Md Fazla Rabbi Fatiq, vede nella fotografia il suo linguaggio privilegiato. E il suo stile cambia molto a seconda dell’argomento che decide di trattare. Ad esempio, in “Home”, l’artista esprime l’angoscia del confinamento e la paura della pandemia con immagini dinamiche, molto colorate, al limite dell’astrazione ma anche inquietanti e, a tratti, persino sgradevoli.

Invece, in questa serie dedicata alle infrastrutture di comunicazione, che gli è valsa il premio Samdani Art Award (il principale premio artistico del Bangladesh) e quindi una residenza di studio-lavoro presso la prestiogiosa Delfina Foundation di Londra, usa il gergo del documentario per esprimere quello che considera un dato di fatto.

"Spesso le strade sono crollate- scrive l’artista sul suo sito internet- e in molti casi non ancora costruite ma centinaia di strutture di ponti si, e vengono abbandonate in campi aperti, canali e terreni agricoli. Anche dopo aver stanziato un budget enorme, gli appaltatori si appropriano indebitamente del fondo e lasciano il cantiere incompiuto perchè sono sostenuti dai partiti politici(...) Le persone così devono usare la barca per 10 mesi all'anno(...) D'altra parte, l'età media di questi ponti abbandonati è di quasi due decenni. La maggior parte di loro non è costruita in modo sostenibile e molti, di recente costruzione, stanno crollando dopo anni di lavori. Per le comunità locali, questi ponti sono come sogni abbandonati che non trovano mai la sponda nella realtà.  Pertanto, queste disposizioni simmetriche di ponti disfunzionali rappresentano non solo architetture geometriche ma sono anche simboli della corruzione in Bangladesh".

In questo Md Fazla Rabbi Fatiq vede anche le radici del perpetuarsi della povertà nel suo paese.

"Più la corruzione è pervasiva in una società, maggiore è la disparità di reddito che, a sua volta, porta a un'ulteriore perpetuazione della corruzione. Esiste un'analoga associazione positiva tra corruzione e povertà: maggiore è il livello di corruzione, maggiore è il livello di povertà".

Sullo sfondo la Natura. Distante, silenziosa. Carica le fotografie dell’artista di una poetica malinconia.

Md Fazla Rabbi Fatiq al Samdani Art Award si è guadagnato la vittoria insieme a Purnima Akta che invece usa la pittura attingendo alla mitologia, alle miniature Muhgal (che venivano usate in India per illustrare i manoscritti) e all'arte popolare, per rappresentare imminenti disastri ecologici (Akta però andrà in residenza nel Ghana, dove c’è il Savannah Center for Contemporary Art and Red Clay dell’artista Ibrahim Mahama, anzichè a Londra).

Per farsi un idea più precisa del lavoro Md Fazla Rabbi Fatiq, si può dare uno sguardo alle fotografie sul sito internet del giovane artista bangladese o sull’account instagram.

Md Fazla Rabbi Fatiq, Untitled, work in progress (2022-ongoing)

Md Fazla Rabbi Fatiq, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Md Fazla Rabbi Fatiq, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Purnima Aktar, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Purnima Aktar, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Raffinati, alieni e misteriosi i musei della serie Liechtenstein di Candida Höfer

Candida Höfer, Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz VII 2021. C-Print, 184x254 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

La serie di fotografie Liechtensten di Candida Höfer, si muove nel solco dello stile che le ha dato la fama. C’è la cura maniacale per i dettagli, il formato solitamente grande delle immagini stampate, il rigore inflessibile dell’inquadratura, l’assenza di esseri umani al centro di un architettura che negli occhi dell’artista tedesca diventa quasi viva. Sempre affascinante, a volte bellissima ma anche misteriosa ed inquietante.

Liechtensten è stata realizzata nel 2021. Si tratta di una ventina di foto, che Höfer ha scattato nei musei pubblici e privati in giro per il Principato del Liechtenstein, in previsione dell’ esposizione attualmente in corso al Museo d'arte del Liechtenstein e alla Hilti Art Foundation. Entrambe le sedi si trovano a Vaduz (capitale del piccolo stato europeo) e ospitano importanti collezioni di arte moderna e contemporanea che sono state accostate al lavoro dell’artista di Colonia per creare un dialogo.

I curatori sono partiti, quando da una singola immagine quando da un gruppo di lavori di Höfer, selezionando dipinti e sculture storicizzate, per mettere in evidenza similitudini, assonanze e divergenze (la sesta e la setttima foto in basso, per esempio, mostrano quanti eco si possono sentire semplicemente accostando HAF Kunstdepot Triesen di Höfer a Copia dal vero dipinta da Giulio Paolini nel ‘76). L’ampia estensione dello spazio espositivo ha fatto il resto (in tutto ben milleseicento metri quadri divisi tra il Museo d’Arte e la Hilti Foundation).

"Höfer si concentra sull'infrastruttura dell'arte- spiegano i curatori Christiane Meyer-Stoll, Uwe Wieczorek e l'italiana Letizia Ragaglia- presentando non solo situazioni all'aperto, ma anche aree di stoccaggio, soffitti luminosi, montacarichi e scale. Dopotutto, cosa sarebbe una collezione museale senza deposito o una mostra senza illuminazione? Ha anche fotografato il negozio fuori sede della Biblioteca Nazionale del Liechtenstein. Il suo modo di guardare ci permette di rivivere luoghi e spazi e di percepirli in modo più consapevole. Le fotografie di Höfer danno il tono a noi, come curatori. Sono il punto di partenza e l'ispirazione per dialogare con entrambe le collezioni, che offrono un patrimonio di affascinanti e sorprendenti affinità".

Nata a Eberswalde nel ‘44, Candida Höfer, ha uno stile consolidato e la serie Liechtensten non è il suo primo gruppo di immagini site-specific (era già successo per esempio a Brussels e Düsseldorf). Al centro dei suoi scatti scorci architettonici sia d’interni che esterni. Il rigore inflessibile delle composizioni e l’importanza attribuita alla luce in immagini altrimenti minimali, danno concretezza al precario e riempiono il vuoto. A lei interessa l’influsso che gli edifici dedicati alla fruizione della cultura hanno sulle persone che li visitano. Per questo la presenza umana nella sua opera è bandita.

"... mi è apparso chiaro- ha detto tempo fa- che ciò che le persone fanno in questi spazi (e ciò che questi spazi fanno loro) è più chiaro quando nessuno è presente, proprio come un ospite assente è spesso oggetto di conversazione”.

La serie Liechtensten è composta da scatti di esterni ed interni. L’artista, qui come in altre occasioni. fotografa anche parti dei musei inacessibili al pubblico e oggetti alieni a chi non vi lavori. Come le casse climatizzate per trasportare le opere d’arte più delicate (nella seconda immagine in basso). Höfer, in questo caso, ci da informazioni specifiche e allude ai processi di cura che la comunità mette in atto per preservare la memoria colletiva.

La nuova serie di fotografie di Candida Höfer rimarrà nelle sale del Museo d'arte del Liechtenstein e della Hilti Art Foundation fino al 10 aprile 2023. La mostra si intitola semplicemente Candida Höfer: Liechtenstein, ed è un evento importante per il Principato dell’Europa centrale, che in occasione dell’inaugurazione della Biennale di Venezia (in cui non ha un padiglione nazionale) l’ha presentata tra le principali novità della sua programmazione espositiva.

Candida Höfer, Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz V 2021. C-Print, 184x209 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, HAF Kistenlager Schaan I 2021. C-Print, 184x149 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, Passage Vaduz I 2021. C-Print, 184x171,8 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz I 2021. C-Print, 184x141,5 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, Kunstdepot Schaanwald I 2021. C-Print, 184x150 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, HAF Kunstdepot Triesen I 2021. C-Print, 184x246 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Giulio Paolini, Copia dal vero [Copy from Life], 1976. Pencil on canvas, wood, four parts, overall dimensions: 60,2 x 120,5 x 2 cm. Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz © Giulio Paolini

Installation view, Candida Hoefer: Liechtenstein. Foto Sandra Maier