Lynette Yiadom-Boakye, pittrice inglese di origini ghanesi, attualmente al centro di un’importante mostra della Tate Britain di Londra ("Lynette Yiadom-Boakye: Fly In League With The Night"), è una ritrattista anomala. Perchè non fa ritratti. Lei dipinge solo personaggi che vede con gli occhi della mente.
Stimata a livello internazionale, con quotazioni in asta che vanno dai sei ai nove zeri, Lynette Yiadom-Boakye, nata nel ‘77 a sud di Londra da genitori infermieri, è un’artista che ha lavorato molto per arrivare dov’è ora. Concentrandosi sulla pittura, anche in un periodo (tra gli anni ‘90 e i primi 2000) in cui la parola pittore equivaleva ad un insulto. Ma tanto impegno ha dato i suoi frutti e quando si parla della sua opera, oggi, i riferimenti ai grandi maestri europei del passato si sprecano. Da Goya a Degas fino al post-impressonista inglese Walter Sickert.
Lei, che è anche poetessa, dice di dipingere quello che non può scrivere e di scrivere quello che non può dipingere.
In genererale nel suo lavoro, c’è un alone di mistero che contribuisce a rendere le opere ancora più interessanti. A cominciare dai soggetti, che a volte guardano direttamente lo spettatore, altre abbassano gli occhi pensosi, ma che, in ogni caso, per qualche motivo, lo chiamano in causa. Accendendo in lui domande destinate a rimanere senza risposta. Perchè i personaggi dei ritratti di Yiadom-Boakye sono puramente immaginari.
Rigorosamente immaginari. L’artista non solo fa in modo di accumulare una gran quantità di materiale prima di dipingerli (foto di famiglia, pubblicità, immagini prese da riviste di vario genere ma anche brani e quant’altro) perchè nascano dal mix di innumerevoli suggestioni ma rifiuta anche ogni particolare nella composizione che si riferisca a un certo periodo storico. Per questo sono sempre senza scarpe.
I titoli, che lei definisce un ulteriore marchio ai dipinti, sono altrettanto criptici. In qualche modo effettivamente completano l’opera (di sicuro poetici, a volte scherzosi), ma non si può dire però che aiutino nella sua comprensione. Anzi.
Yiadom-Boakye dipinge in fretta, usa la pittura ad olio e formati importanti. Fino a non molti anni fa la sua tavolozza catturava una sola figura per volta, adesso ritrae anche piccoli gruppi. Dipinge solo persone di colore ma dice di non voler fare politica o critica sociale con le sue opere.
D’altra parte, i personaggi da lei raffigurati, sono colti in pose rilassate ed entrano subito in intimità con lo spettatore. Come se avessero di fronte un amico, un confidente, o comunque qualcuno con cui stanno condividendo un’esperienza piacevole. La luce ne scolpisce i volti, ne definisce i corpi ma è soprattutto la tavolozza, cromaticamente ricca ma raffinata, mai invadente, a coccolarli. Anche se ognuno di loro resta schiavo della pittura. Le pennellate dell’artista, infatti, avvolgenti, decise, si percepiscono e li fanno emergere del magma primoridiale della materia pittorica, strappandoli all’oblio, come visioni di un sogno.
Ed in effetti l’artista ha dichiarato che il più delle volte le appaiono così come li ritrae e chiedono di essere dipinti.