"Frida Kahlo" di Ali Ray. Al cinema la vita, l'arte e gli amori della vera Frida in un film imperdibile

Probabilmente Frida Kahlo si contende con Andy Warhol e Pablo Picasso il podio dell’artista più conosciuto del ‘900. D’altra parte se la pittrice messicana non fosse una star, Google, lo scorso anno in piena pandemia, non le avrebbe dedicato la grande mostra digitale Faces of Frida.

Ma fuori dal mito, chi era davvero? A questa domanda cerca di rispondere il film-documentario Frida Kahlo, della regista britannica Ali Ray.

Al cinema solo per tre giorni (il 22, 23 e 24 Novembre 2021), è un lungometraggio imperdibile. Non tanto perchè girato quasi interamente nella Casa Azul, la Casa Blu di Coyoacán (sobborgo di Città del Messico) dove Frida viveva, ma perchè è stato creato in collaborazione con esperti di fama mondiale che conoscevano personalmente Frida Kahlo. E dato che la sfortunata artista è mancata nel’54, non era tuttto sommato impresa facilissima.

"Dirigere questo film ha cambiato totalmente la mia visione di Frida Kahlo come artista- spiega la regista Ali Ray- Prima non le avevo prestato molta attenzione, sentendomi un po' scoraggiata dall'onnipresenza della sua immagine come icona sulle copertine di cuscini e magliette. Ora, avendo studiato le sue opere più da vicino e comprendendo il loro contesto di tempo e luogo, ne sono completamente affascinata. Avere accesso alle sue lettere personali è stata una parte fondamentale della realizzazione del film e nella mia comprensione del suo lavoro”.

Per Ali Ray "Frida Kahlo"è il primo lungometraggio come regista. Ma ha già diretto opere più brevi e ha all’attivo un bel curriculum. Nel Regno Unito ha lavorato per reti televisive importanti come BBC e Discovery ma anche per testate arcinote come The Guardian o Sunday Telegraph. Dove associa la specializzazione nelle arti visive (per i prodotti video), all'attività di saggista nel settore foood-travel (per i quotidiani).

Il film-documentario Frida Kahlo sarà al cinema da lunedì a mercoledì della settimana prossima. E’ il primo film della trilogia Art Icons portata sul grande schermo dalla casa di distribuzione Adler Entertainment e dedicata ad altrettante "autentiche icone pop del mondo dell’arte". Per conoscere meglio il lavoro della regista, scrittrice e produttrice, Ali Ray si può dare uno sguardo al suo sito internet o seguire il suo account Istagram.

The Two Fridas, 1939, Frida Kahlo, Museo de Arte Moderno, Photo © Bridgeman Images

Frida Kahlo, Self-Portrait with Small Monkey, 1945 (2) © EXHIBITION ON SCREEN

Frida Kahlo, Self Portrait with Thorn Necklace and Hummingbird, 1940, Photo © Bridgeman Images

La Regista Ali Ray © EXHIBITION ON SCREEN

Le sculture in legno di Willy Verginer sempre più oniriche e sospese

Detail of “Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

Detail of “Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

La scultura lignea iperrealista di Willy Verginer (ne ho parlato qui) è unica nel suo genere. Sia perché l’uso del legno non è molto diffuso nell’arte contemporanea (soprattutto come oggetto di scultura figurativa), sia perché si riappropria di una tradizione strettamente locale, nel tempo diventata pratica artiginale condivisa, e la rivisita in modo nuovo ma personale.

Verginer, che vive e lavora a Ortisei, mette insieme elementi di design, del folklore tirolese, della Storia dell’Arte, persino della fotografia e della moda, per riconciliare l’ieri con l’oggi. Spingere il fantasma dell’artigianato furori dal santuario dell’arte. E lo fa con maestria, mettendo insieme un iperrealismo maniacale con punti di intaglio lasciati liberi, per vezzo o conferire movimento a personaggi preferibilmente ritratti in pose statiche. D’altra parte le opere di Verginer sono metafore, i suoi soggetti si parano davanti a noi (il più delle volte non considerandoci nemmeno), per spingerci a leggere i messaggi che ci portano. Onirici e sospesi, parlano sopratutto di ecologia ma (meno di frequente) anche di altri temi d’attualità.

Nella serie di opere più recente, “Rayuela” (il termine spagnolo che indica il gioco della Campana), ispirata all’omonimo romanzo dalle moltepici letture (in italiano intitolato “Il gioco del mondo”) dell’argentino Julio Cortázar, Verginer , oltre a legare a filo stretto la letteratura alle sue sculture, le inserisce in un racconto aperto e in una riflessione filosofica sul divenire. Regala, insomma, loro quello che più sembrava mancargli di più: una storia con una dimmensione temporale più estesa.

"(Nel gioco della campana), i ragazzi delineano una mappa ideale sul terreno- ha detto Verginer al sito This is Colossal- che parte dalla terra e raggiunge il cielo, attraverso tappe intermedie contrassegnate da quadrati numerati, su cui saltano a seconda del punto in cui viene lanciato un sasso. Riesco a vedere una metafora della vita in questo gioco; la nostra esistenza è piena di questi salti e ostacoli. Ognuno di noi mira a raggiungere una sorta di cielo".

Willy Verginer sarà in mostra a giugno alla galleria Royer di Toronto e a settembre alla Zemack Contemporary Art Gallery di Tel Aviv. Nel frattempo, le opere della serie Rayuela e di altri cicli si possono ammirarare sul suo account instagram.

“Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

“Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

“Palvaz” (2019), legno di tiglio, colore acrilico, 95 x 70 x 47 centimetri

“Palvaz” (2019), legno di tiglio, colore acrilico, 95 x 70 x 47 centimetri

“I pensieri non fanno rumore” (2019), different types of wood, acrylic color, 150 x 100 x 107 centimetri

“I pensieri non fanno rumore” (2019), different types of wood, acrylic color, 150 x 100 x 107 centimetri

“Rayuela” (2020), tiglio, acrylic color, 123 x 110 x 90 centimetri

“Rayuela” (2020), tiglio, acrylic color, 123 x 110 x 90 centimetri

La pittura iperrealista e surreale di Markus Åkesson che dipinge figure completamente coperte di stoffe decorate

“Now you see me (Blue and Gold Kimono)” (2019), oil on canvas, 180 x 140 centimeters All images © Markus Åkesson

“Now you see me (Blue and Gold Kimono)” (2019), oil on canvas, 180 x 140 centimeters All images © Markus Åkesson

Pittore e scultore, l’artista svedese Markus Åkesson, fa soprattutto ritratti. Decoratissimi ritratti, iperrealisti e surreali a un tempo, tanto che in una delle sue ultime serie i soggetti non si vedono più, coperti come sono da stoffe stampate. I tessuti li vestono dalla testa ai piedi, come rampicanti ostinati. Ne’ i capelli, ne’ le mani si salvano.

D’altra parte i personaggi che entrano a far parte di questi quadri non ci tengono a lasciar trapelare la loro identità. Ammesso che ne abbiano una. Incerti come sono sulla loro identità che in parte ne fa dei modlelli, in parte fantasmi oppure mummie. E preferiscono mostrare uno chinz in cui i motivi decorativi si ripetono all’infinito, piuttosto che la loro natura e il loro aspetto.

A volte i loro abiti sono uguali alla tappezzeria alla parete, oppure al colore del muro dietro di loro. Altre sono complementari. Tuttavia, a differenza dei veri e propri ritratti ( Åkesson fa anche quelli) in cui decori, ricchi e ridondanti, arrivano a scontrarsi nei motivi e nei colori, in questa serie c’è un certo fair play. I soggetti dal canto loro, appaiono statici ma non immobili. Qualcosa da un momento all’altro può succedere ed è impossibile prevedere di cosa si tratterà. Anche perché lo spettatore ha l’impressione di spiare qualcuno che non ha ancora percepito la sua presenza, ma è lì lì per coglierlo con le mani nel sacco.

Le figure silenziose e avvolte dalla stoffa dalla testa ai piedi sono inquietanti. Potrebbero essere apparizioni, o persone molto diverse da quelle che ci sembra di distinguere guardando le formet disegnate nel essuto.

Quando si mette al lavoro, Åkesson, prima di tutto progetta motivi di fiori e foglie, o ne riprende di tradizionali. Dopodiché stampa il tutto su tessuto, per poi avvolgere il modello (ma più spesso la modella) e mettersi a dipingere.

"Sono sempre stato interessato agli schemi- ha spiegato al blog Colossal Markus Åkesson -sono attratto dalla ripetizione e dal ritmo".

Le opere che compongono quest’inquietante ed affascinante serie di Markus Åkesson si possono vedere anche sull’account instagram dell’artista.

“Now you see me (Dysmorphia 10)” (2018), oil on canvas, 145 x 100 centimeters

“Now you see me (Dysmorphia 10)” (2018), oil on canvas, 145 x 100 centimeters

“The Grove” (2020), oil on canvas, 180 x 140 centimeters

“The Grove” (2020), oil on canvas, 180 x 140 centimeters

“Now You See Me” (2019), oil on canvas, 180 x 140 centimeters

“Now You See Me” (2019), oil on canvas, 180 x 140 centimeters