Toshihiko Shibuya in un’intervista mette in discussione l’idea che la sua opera sia "molto giapponese” e racconta una favola Ainu

Toshihiko Shibuya nel suo studio. All images courtesy the artist ©Toshihiko Shibuya

L’isola di Hokkaido è la più settentrionale dell’arcipelago giapponese e malgrado sia piuttosto vasta la sua popolazione è circa un terzo di quella della sola Tokio. Ci sono culture agricole, stabilimenti produttivi e città, certo, ma soprattutto foreste che coprono il 71 per cento del territorio. Una natura rigogliosa e aspra di cui si prende coscienza digitandone il nome su internet: il motore di ricerca, infatti, restituisce soprattutto immagini di alberi, boschi, coste alte su cui si infrangono le onde dell’oceano e naturalmente neve. Tanta neve.

Nato a Muroran nel 1960, l’artista Toshihiko Shibuya che fin dall’infanzia abita a Sapporo (la città più grande del Giappone del nord con quasi due milioni di abitanti, dove pure il verde è tenuto in grande considerazione) ad Hokkaido ha trascorso la vita. Non stupisce quindi che la sua opera rifletta il particolare paesaggio di questa terra posta a poche miglia nautiche dal confine russo, e anche qualche singolarità culturale (Hokkaido è l’isola degli indigeni Ainu). Tempo fa il signor Shibuya, commentando il successo della sua serie di installazioni “Snow Pallet” (la ripropone in forme e contesti diversi tutti gli inverni da oltre 15 anni), ha detto: “Mi ha stupito che così tanti giornalisti, originari di luoghi diversi nel mondo, abbiano trovato l’opera ‘molto giapponese’. Io non credo che lo sia, penso abbia profondamente a che fare con la sola Hokkaido”. Per questo legame con il territorio è stato anche premiato dal governo dell’isola.

Il signor Shibuya mi tiene informata sul suo lavoro da alcuni anni a questa parte. Ogni tanto mi manda anche delle cartoline postali con immagini delle sue opere, che mi lasciano sempre esterrefatta per la bellezza composta, drammatica e gioiosa che emanano. Una volta ne ho mostrata una ad un amico artista che usa prevalentemente la pittura, mi ha detto: “Che meraviglia: è molto bravo, la sua opera è così giapponese!

L’immagine di un edizione di “Snow Pallet”

Il Signor Shibuya invece non dipinge. Il suo lavoro, volto a cercare di sottolineare la bellezza delle nevicate o del proliferare della vita nel sottobosco interferendo il meno possibile con il reale, si compone principalmente di installazioni (la serie “Snow Pallet” e la serie “Generation” sono i pilastri della sua attività artistica), cui si aggiungono fotografie che documentano momenti effimeri di vita naturale (i semi che si staccano dai soffioni e prendono il volo; la neve accumulata sui supporti che formano “Snow Pallet” ecc.), ma anche teche in cui conserva reperti del paesaggio cui allude costantemente (come rocce o semi). Tuttavia questo è il risultato di una lunga carriera, di come è cominciata e di tante altre cose abbiamo parlato in un’intervista che Toshihiko Shibuya ha rilasciato ad Artbooms in occasione di un periodo di attività espositiva piuttosto intensa.

Shibuya colloca le piattaforme che compongono la sua famosa installazione scultorea invernale

Cosa facevano i tuoi genitori?

Mio padre era ferroviere e mia madre lavorava per un giornale locale a Muroran.

Sei nato a Mururan: sono quei paesaggi che ritornano nei tuoi ricordi d’infanzia?

Muroran non è più la stessa dopo la riduzione delle dimensioni dei suoi due principali stabilimenti siderurgici e dopo che il suo ruolo di porto per il trasporto del carbone è stato drasticamente ridimensionato. Ma Muroran è pur sempre una ‘città d'acciaio’. Quando sono nato negli anni '60, era al suo apice. Di quella vitalità, ora non rimane quasi traccia. In futuro però, la città passerà alla ‘neutralità carbonica’, quindi produrrà energia eolica offshore e svilupperà quella a idrogeno: un nuovo inizio, insomma, che potrebbe farla rinascere.

Ma ciò che mi affascina è la bellezza della topografia di questa penisola. Il porto di Muroran si è sviluppato come un buon porto perché il territorio era adatto allo scopo. Il litorale della costa esterna della penisola, Pirokanoka Etomo, fino alla spiaggia Tokkarisho, è affascinante. Questi punti di vista non sono cambiati e sono vividi nei miei ricordi d'infanzia. La mia famiglia, mio padre, mia madre e io, ricordiamo che ogni fine settimana salivamo in cima al monte Sokuryo-zan e pranzavamo lì. La vista a 180 gradi dell'orizzonte da Capo Chikyu non è cambiata dai tempi antichi. Nomi di luoghi come Pirokanoka, Tokkarisho, Chikyu, Muroran e Sapporo" derivano tutti dalla lingua dagli Ainu, la popolazione indigena di Hokkaido.

La cultura Ainu ha influenzato il tuo lavoro?

La popolazione indigena Ainu viveva nella parte settentrionale dell'arcipelago giapponese, principalmente nella zona di Hokkaido. Si dice che gli Ainu sia siano stabiliti sull’isola già tra il IX e il XIII secolo. Sono un popolo con una lunga storia e cultura. Gli Ainu hanno un sistema linguistico diverso dal giapponese e hanno credenze e una cultura spirituale proprie e uniche, ad esempio, la venerazione di varie creature e fenomeni che circondano gli esseri umani, come ‘Kamuy/Dei’. Però non hanno una lingua scritta e hanno tramandato la loro storia oralmente. Ma ho fatto delle ricerche sul loro folklore, mi interessavano il tema dell'inverno e della neve e alla fine ho trovato una storia. Il titolo è ‘Spalare la neve sopra le nuvole’. La favola è questa: "Un vecchio dai capelli bianchi, seduto su una nuvola, rovesciò la neve a terra con una pala, distruggendo le case del popolo Ainu. Era felice di vedere le persone soffrire da sopra le nuvole. Poi, all'improvviso, un giovane apparve e gli disse: ‘Penso che tu sia stanco, quindi dammi la tua pala. Spalerò io la neve per te.’ Fece finta di spalare la neve con la pala che gli era stata data, ma finì per uccidere il vecchio con essa. Il vecchio morente pensò: ‘Sarò punito per aver causato problemi alla gente facendo nevicare abbondantemente’. Questa è la storia. Sebbene il mio ‘Snow Pallet’ non rifletta direttamente il folklore Ainu, come mostrano i dati annuali, le nevicate sono sempre più irregolari. Questo ci fa capire che le condizioni meteorologiche anomale che si stanno verificando in questo momento in tutto il mondo non sono frutto dell'inganno di un vecchio dai capelli grigi su una nuvola, ma un disastro provocato da noi stessi.

Qualche anno fa Toshihiko Shibuya mentre parla del suo lavoro in pubblico

Quando ti sei trasferito a Sapporo?

Mi sono trasferito a Sapporo prima di iniziare la scuola elementare, ma conservo ancora vividi ricordi del paesaggio di Muroran.

Recentemente hai anche fatto una mostra lì

Si, all'ex scuola elementare Etomo, che negli anni passati ha visto un continuo calo del numero di studenti. Alla fine il 31 marzo 2015 ha chiuso dopo 122 anni di storia. Dopo di che, come politica della città di Muroran, l'’edificio delle aule’ dei due edifici scolastici circolari è stato preservato. Ma non era lo stesso per l'’edificio della palestra’, che presentava problemi di resistenza antisismica, e doveva essere demolito. Nel settembre 2019, il consiglio comunale aveva anche approvato i costi della demolizione. Il grande valore dell'ex scuola elementare Etomo è che i due edifici che la compongono formano una coppia, in Giappone esistono solo due scuole di questo tipo. Nella speranza di salvare entrambi gli edifici, dei gruppi di cittadini hanno cominciato a mobilitarsi ed a raccogliere firme. Nel novembre 2019 sono stati raccolti più di 10 milioni di yen tramite crowdfunding per il progetto di utilizzo dell'ex scuola elementare Etomo. La città di Muroran ha ritirato il piano di demolizione e nel gennaio 2020 ha deciso di vendere l'edificio alla Muroran 100th Anniversary Building Preservation and Utilization Association. Sono stati eseguiti dei lavori di restauro, poi, nell'aprile 2022, i due edifici sono stati aperti al pubblico, insieme a una mostra sul periodo Jomon al primo piano dell'edificio scolastico. Per questa mostra gli organizzatori mi hanno messo a disposizione l'aula di musica, una delle aule circolari. Sovrapponendo la forma del pavimento del locale ad una mappa del distretto ovest di Muroran, ho immaginato l'installazione come un monte chiamato ‘Sokuryozan’ con le sei torri televisive che si ergono sulla cima, i luoghi caratteristici della penisola, le stazioni e gli altri nodi cittadini attraverso una disposizione di oggetti astratti. L’idea era quella di creare un’opera che immaginasse e propiziasse il futuro della città. Desidero fortemente che la città torni a splendere in futuro.

Quando ti sei innamorato dell'arte? E a quando risalgono i tuoi primi esperimenti?

Quando ero alle elementari volevo diventare architetto.

Hai studiato arte?

Ho iniziato a studiare disegno presso un istituto d'arte al terzo anno di liceo. Dopo il diploma di scuola superiore, ho studiato le basi dell'arte e del design in un istituto d'arte per due anni, e poi sono entrato in un'università d'arte a Tokyo. Tuttavia, non riuscivo a decidere cosa volevo creare e con quali materiali, tra pittura a olio, pittura giapponese, scultura, ecc., quindi ho continuato con la specializzazione in design, dove potevo imparare una varietà di cose con una mente libera.

Hai insegnato design: quanto pensi che questo abbia influenzato il tuo lavoro?

Per coincidenza, il mio professore all'università era un artista contemporaneo. La sua influenza mi ha portato a esplorare la libertà espressiva oltre ai materiali più vari. Dopo la laurea ho lavorato nel settore della moda ,sia nel design dei modelli che nei display spaziali utilizzando tessuti. Ho poi iniziato la mia carriera di artista mentre lavoravo come docente presso un istituto di ricerca artistica. Ho tenuto la mia prima mostra personale a Tokyo, con installazioni di rilievi murali. Ho poi continuato a creare stampe originali per oltre 10 anni. Ho continuato a sperimentare e ad allontanarmi dai media bidimensionali, ed è così che sono arrivato dove sono oggi. Scelgo vari materiali in base alle mie esigenze. Attualmente sono preside di una scuola d'arte. L'anno prossimo festeggerò 40 anni di attività come artista.

un’immagine dei black box della white collection

Quali sono gli artisti o i movimenti che sono stati fonte d’ispirazione per te?

Tra gli artisti contemporanei che hanno modellato la loro opera sulla base della storia dell’arte europea e americana amo Dani Caravan, Mark Rothko, Christo e Jeanne-Claude, oltre ai due architetti agli antipodi Frank Gehry e Tadao Ando. Ma non mi piacciono di meno anche lo scultore di pietra Isamu Noguchi (americano di origine giapponese), lo scultore del ferro Richard Serra. E poi: Lee U-fan (coreano residente in Giappone), Shigemori Mirei (giardiniere paesaggista giapponese); gli artisti Rinpa giapponesi (periodo Azuchi-Momoyama-Edo) come Tawaraya Sotatsu, Ogata Korin, Sakai Hoitsu, Suzuki Kiitsu, e i pittori della scuola Kano (giapponese). Poi guardo all’Arte gotica medievale europea, all’arte religiosa (prima del Rinascimento), ecc. Sebbene la gamma sia ampia, ognuna di esse è spirituale o decorativa, al contrario la cultura tradizionale giapponese valorizza la forma e la spiritualità contemporaneamente (santuari e templi, sculture buddiste, cerimonia del tè, ecc.). Tuttavia, mi piace anche la Pop Art di Andy Warhol.

So che hai visitato l’Italia: cosa ti ha colpito di più?

Ho viaggiato in Italia nel 2011. Quando gli italiani hanno scoperto che sono giapponese, mi hanno espresso il loro dolore per le numerose persone che hanno perso la vita nel terribile terremoto e nello tsunami di Tōhoku. Hanno anche pregato per una completa guarigione del mio Paese. Ma il mio ricordo migliore è la storia culturale che ho avuto occasione d’ammirare. Visitare la Galleria degli Uffizi è stato particolarmente memorabile. È stata un'esperienza preziosa poter ammirare dal vivo numerose opere d'arte. Ho visitato Roma, il Vaticano, Firenze, Venezia e Milano. Sono rimasto sopraffatto dagli antichi edifici in pietra. Ogni città aveva una personalità distinta, e io sentivo la loro identità come città-stato. Vorrei soprattutto visitare di nuovo Firenze.

Trovo che ultimamente il tuo lavoro cerchi una connessione più stretta con la cultura tradizionale giapponese. Pensi che io abbia ragione?

“Snow Pallet” ha il suo cuore ad Hokkaido, la terra settentrionale del Giappone, un'isola innevata che è stata sviluppata tardivamente (500 anni di storia dello sviluppo). Quando ho associato le problematiche ambientali all'arte, ho capito che era necessaria una nuova forma espressiva che avesse come spina dorsale la cultura tradizionale giapponese.

Forse le possibilità dell'arte digitale sono infinite, non è vero? Penso che tutta l'arte analogica immaginabile fino ad oggi invece sia stata esaurita. Con questo in mente mi concentro sulla creazione di un'atmosfera che può essere percepita solo in un determinato luogo, eliminando il più possibile gli sprechi e collocando in modo raffinato sculture fatte per essere assorbite dall’ambiente circostante (sia all'interno che all'esterno). Penso che in futuro non sarò più in grado di creare opere d'arte di grandi dimensioni, ma mi piacerebbe continuare a fare lavori originali come artista ambientale.

Mi stai dicendo che intendi provare a cimentarti con l’arte digitale?

No! Avevo previsto che l'arte digitale si sarebbe sviluppata insieme alla tecnologia, ma questo non rientra nel mio ambito espressivo. Saranno gli artisti delle generazioni più giovani a usarla. E poi credo che attualmente esista molta arte digitale di grande impatto specificatamente legata a questa tecnologia, ma ritengo anche che siano pochissime le opere di alto livello che combinano la spiritualità all’innovazione scientifica.

la neve si scioglie su uno dei supporti di Snow Pallet

Una delicata installazione in mezzo alla natura del sottobosco rigoglioso della seriee “Generation”

La mostra a Muroran nell’aula di musica dell’ex-scuola elementare Etomo

Di nuovo uno Black Box della White Collection

Un’installazione di Shibuya nella metropolitana di Tokio

Barbara Chase-Riboud, prima artista vivente nella storia, espone in 8 musei parigini contemporaneamente (tra loro il Louvre)

Barbara Chase-Riboud. Les baigneurs. FNAC 9805. Centre national des arts plastiques_and Time Wom. Pivate Coll USA_Expo musée d’Orsay 2024 © Barbara Chase-Riboud_Cnap

Fan e amica dello scultore svizzero-italiano, Alberto Giacometti (era nato non molto lontano dal confine, la famiglia aveva radici italiane), Barbara Chase-Riboud, è francese d’adozione (vive nel VI arrondissement di Parigi in un edificio art-decò) ma ha speso parte della sua vita in Italia, nonostante ciò non è una delle artiste più conosciute nel nostro Paese. Ed è strano perché, pluripremiata poetessa, famosa scrittrice, è una scultrice dalla carriera settantennale alle spalle. Di più: in seconde nozze ha sposato il critico italiano Sergio Tosi e da decenni il suo studio ha sede a Roma, dove visse un anno (dal ’56 al ’57) per studiare all’Accademia Americana. E poi lei (che padroneggia parecchie lingue) dice di imprecare in italiano.

In realtà, Chase-Riboud è poco nota come artista visuale anche altrove. Probabilmente per via del successo letterario che ha adombrato la sua non meno importante attività scultorea. In Francia, tuttavia, dove non esponeva dal lontano ’74, si è deciso di porre rimedio alla lacuna. Alla maniera d’oltralpe: in grande stile!

Insignita della Legion d’Onore dal governo francese nel 2022, Chase-Riboud, infatti, da inizio ottobre viene celebrata contemporaneamente da otto musei parigini (tra loro il Louvre, il Centre Pompidou, il Museé d’Orsay e il Palais de Tokyo). E’ il primo artista vivente cui viene tributato quest’onore.

D’altra parte la sua carriera, cominciata con l’acquisto di una xilografia che aveva fatto a soli quindici anni da parte del MoMa di New York e la sua storia personale (basta dire che fu Jacqueline Kennedy Onassis a spronarla a scrivere il suo primo romanzo), sono del tutto fuori dall’ordinario.

Barbara Chase-Riboud and Bathers, La Chenillère, France 1969 © Photograph by Marc Riboud

Barbara Chase-Riboud nasce nel 1939 a Philadelphia in Pennsylvania (lo stato confina con quello di New York anche se Philadelphia è piuttosto vicina a Washington) da una famiglia afroamericana della classe media. Fin da bambina manifesta uno spiccato talento per le arti, tanto che a soltanto 8 anni comincia a frequentare la Fleisher Art Memorial School. Si sarebbe poi diplomata con il massimo dei voti alla Philadelphia High School for Girls (avrebbe però anche seguito dei corsi alla scuola d’arte del museo di Philadelphia) per poi laurearsi in Belle Arti alla Tyler School della Temple University. Dopo questo periodo crea le sue prime sculture in bronzo, comincia a esporre i suoi lavori e studia un anno all’Accademia Americana di Roma (aveva vinto una borsa di studio, però, per guadagnare qualche soldo in più, ha partecipato come comparsa in costume al film Ben-Hur e Cinecittà la ha selezionata per prendere parte ad altre produzioni) ma soprattutto consegue un master in belle arti alla Yale University (ai tempi le afroamericane ad averla frequentata si contavano sulle dita delle mani).

In seguito di Yale avrebbe detto: “C'erano tre donne nere alla scuola di specializzazione a Yale nel '57. Una in filosofia, una in legge e poi c'ero io. Ma l'ho semplicemente ignorato", ha poi aggiunto: “E naturalmente, ero già stata all'accademia di Roma, che era la stessa situazione: era tutto maschile”.

Chase-Riboud in quegli anni sognava l’Europa. L’idea era quella di trasferirsi a Londra (i mitici Swinging Sxties si stavano avvicinando, e chi non avrebbe voluto essere nella capitale inglese in quel periodo?!) ma durante un soggiorno in Francia conosce il fotografo dell’agenzia Magnum, Marc Riboud (è talentuoso e viene anche da una ricca famiglia): si fidanzano, si sposano, fanno due figli e rimangono a Parigi. Barbara, che ai tempi aveva già viaggiato parecchio (sia in Occidente che in Africa), vive con la valigia sempre pronta. In merito dirà: “Sono andata ovunque perché all'epoca ero sposata con Marc Riboud, un fotografo e membro della Magnum Photos, che ha coperto il mondo. In molti di questi viaggi, ero solo lì per il viaggio. Ma che viaggio è stato! Ho scoperto tutti i tipi di nuove civiltà e nuovi modi di guardare il mondo che non avevo idea avrei mai conosciuto”. E commentando quei viaggi che l’avrebbero portata tra gli altri luoghi in Cina, Nord Africa, Europa orientale e Mongolia, ha aggiunto: “Sono stata la prima donna americana a essere invitata in Cina dopo la rivoluzione. Ho partecipato a una cena con il presidente Mao Zedong. Io e 5.000 cittadini cinesi. È stata un'avventura straordinaria”.

Non a caso, anche dopo il divorzio (nell’81) e il secondo matrimonio con Tosi lei continuerà a mantenere accanto al suo il cognome del primo coniuge, sposato il giorno di Natale di vent’anni prima.

Barbara Chase-Riboud. Portrait © Virginia Harold. Courtesy Pulitzer Arts Foundation-jpg

Nel frattempo Chase-Riboud lavora instancabilmente. Usa vari medium ma quello che la definisce meglio è anche quello per cui è più conosciuta: la scultura. Al principio risente molto l’influsso di Giacometti e modella figure per poi dedicarsi all’astrazione. Il suo materiale prediletto è il bronzo: “Il bronzo è senza tempo. È intriso di storia, è il materiale degli artigiani del Regno del Benin e del Barocco". Usa un metodo a cera persa che affonda le sue origini, appunto, nella storia di antiche civiltà ma che sostanzialmente lei ha creato di testa sua: manipola dei grandi fogli di cera rossa, poi fonde i prototipi in bronzo e li drappeggia con matasse di seta o lana intrecciati. Le sue opere, il più delle volte dalle dimensioni imponenti, sono un mix di immobile e sacrale monumentalità con tensioni al movimento a volte frementi, altre violentemente legate all’affermazione e alla forza, altre ancora biomorfe, capaci far apparire il metallo in via di liquefarsi. I tessuti fanno da contrappunto morbido e tattile alla solidità del bronzo. E poi c’è la grazia di pieghe e intrecci, lo sfarzo dell’oro, l’irrompere inaspettato del rosso.

Sul perché, Chase-Riboud non ha dubbi: “Si crea arte per creare bellezza; non c'è nessun altro motivo. Qualsiasi altro motivo è davvero autoindulgente, per quanto mi riguarda".

Barbara Chase-Riboud. Zanzibar (Brown Element)1974-75_Expo 2024 Palais Porte dorée © Anne Volery Palais de la Porte Dorée

Molte sue sculture, tuttavia, fanno riferimento a personaggi della storia recente. Ad esempio, una delle sue prime serie distintive (siamo nel ’69 quando l’ha cominciata) è dedicata al leader afroamericano assassinato nel ’65, Malcom X. Queste opere (una delle quali è attualmente esposta al Centre Pompidou) hanno dimensioni imponenti e sono, tra l’altro, ispirate alle antiche pratiche funerarie egizie. Mentre recentemente ha presentato quella che rende omaggio a Josephine Baker (non molto tempo prima, infatti, il nome di Baker era entrato nel Panthéon, quinta donna nella storia a meritare tale onore e prima nera in assoluto). Ma i suoi memoriali hanno commemorato anche a Lady Mcbeth o Cleopatra. In generale queste opere spingono a chiedersi secondo quale principio si decida a chi rendere omaggio e perché.

Alle pareti del Louvre ci sono anche dei versi di Chase-Riboud. Come poetessa lei è conosciuta già dal ’74, quando pubblicò una raccolta curata dalla premio Pulitzer, Toni Morrison. Ma la fama in campo letterario l’ha ottenuta con il romanzo storico "Sally Hemings" (è proprio questo che Jackie Kennedy la esortò a scrivere) e le polemiche che ne seguirono. Il libro parla, infatti, della schiava con cui Thomas Jefferson (terzo presidente degli Stati Uniti dal 1801 al 1809) visse da concubino e da cui ebbe sei figli (siamo nel ’79, qualche storico mette in dubbio la relazione di Jefferson, la CBS viene spinta a non mandare in onda una serie Tv sull’argomento; anni dopo il dna accerterà che i figli erano effettivamente di Jefferson). Comunque per Chase-Riboud fu tutta pubblicità, dopo questo primo successo avrebbe scritto molti altri romanzi storici e sarebbe arrivata a superare le 3milioni di copie vendute in tutto il mondo.

Le mostra parigina di Barbara Chase-Riboud in più musei, si concluderà a gennaio 2025. La data precisa dipende dall’istituzione culturale: si va dal 5 del Palais de Tokyo o dal 6 di Louvre e Centre Pompidue al 13 del Musée du quai Branly - Jacques Chirac. Mentre il Musée d’Orsay (che aveva installato le sue opere prima degli altri) terminerà il suo tributo all’artista franco-statunitense già il 15 dicembre 2024.

Barbara Chase-Riboud. Mao's Organ, 2007. Private collection_Expo 2024 Musée Guimet © Barbara Chase-Riboud

Barbara Chase-Riboud. Cleopatra s Cape_Expo 2024 Musée du Louvre © Collection of the Studio Museum in Harlem, New York

Barbara Chase-Riboud. Cleopatra s Cape_Expo 2024 Musée du Louvre ©Musée du Louvre_AViger

Barbara Chase-Riboud. Time Womb Jacqueline, 1970_Private collection USA_Expo musée d’Orsay 2024 © Barbara Chase-Riboud_Cnap

Barbara Chase-Riboud. Les baigneurs. FNAC 9805. Centre national des arts plastiques_Expo musée d’Orsay 2024 © Barbara Chase-Riboud_Cnap

Barbara Chase-Riboud. Cleopatra s bed_Expo 2024 Musée du Louvre © Musée du Louvre_AViger

Barbara Chase-Riboud. Zanzibar (Brown Element), 1974-75. Private collection_ Expo 2024 Palais Porte Dorée © Jo Underhil

Barbara Chase-Riboud avec La Musica Josephine RedBlack 2021. Private collection_Expo 2024 Cité de la musique © Grace Roselli

A Firenze Drift fa sbocciare le sculture come fiori e poi danzare a ritmo hip hop

DRIFT, Shy Society, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio. Video The Factory Prd.

Il Selenicereus o Principessa della notte è un cactus dagli enormi fiori bianchi, con solo qualche accenno giallo crema qua e là, che si schiudono al tramonto e cominciano ad appassire all’alba del giorno successivo. Sono profumatissimi. In realtà i sette elementi che compongono l’installazione “Shy Society”, appena posizionata nel cortile di Palazzo Strozzi (Firenze) dal duo di designers Drift, non gli assomigliano affatto, con le loro corolle ricche di petali come quelle delle ortensie e più simili nella forma ai tulipani (olandesi come i loro creatori) o alle campanule. Ma chissà perché, quando le sculture si aprono a ritmo di musica, si ha l’impressione che si stia per sprigionare lo stesso profumo intenso ed esotico.

L’installazione “Shy Society” di Drift è composta appunto da sette sculture sospese nel punto più alto del cortile rinascimentale, che ricalcano una loro lampada di quasi dieci anni fa (Shylight, 2015; è simile a un fiore di tessuto e metallo), ma che adesso oltre a illuminarsi, aprirsi e chiudersi, si muovono in sincronia e danzano a ritmo di un brano sinfonico del compositore contemporaneo statunitense RZA (Robert Fitzgerald Diggs, che è anche rapper, produttore discografico, attore e regista).

Da ferma, l’installazione si regge sulla ricercatezza stilizzata delle forme contrapposta alla semplicità dei colori e dei materiali (tessuto e metallo) ma a rendere l’opera straordinaria è il movimento: le sculture sembrano davvero sbocciare, come in un video timelapse che ci renda percepibile l’aprirsi delle corolle di fronte ai nostri occhi. Alla base di questo mimetismo c’è un software progettato per imitare i movimenti imprevedibili e naturali dei fiori. La luce rende teatrale e drammatico il tutto

Fondato dagli artisti olandesi Lonneke Gordijn e Ralph Nauta una ventina di anni fa, Studio Drift, è orami un brand famoso a livello globale che al suo interno riunisce un team interdisciplinare composto da sessantacinque persone.Sono talmente conosciuti e ben introdotti che nel 2025, negli enormi edifici di archeologia industriale che formano il Van Gendthallen di Amsterdam, si aprirà un museo dedicato solo a loro. Appassionata di botanica lei, fan della fantascienza lui, non stupisce che a regalare il successo al loro marchio sia stato il modo in cui coniuga riferimenti alla natura e alla tecnologia. Oltre all’equilibrio tra semplicità e sofisticatezza, soggetti un po’ old style e freschezza contemporanea. Un altro pallino della loro ricerca è trovare il modo di far sentire il pubblico al centro delle opere. Tra queste, una famosissima, presentata in più contesti (come ad esempio, Art Basel 2017 o Noor Riyadh 2023) sempre simile ma con delle differenze da una volta all’altra, è quella in cui fanno volare centinaia di droni luminosi che si muovono nel cielo esattamente come stormi d’uccelli durante la migrazione.

Naturalezza, metamorfosi e varietà sono anche il cuore di “Shy Society”.

Gli elementi che formano l’opera si aprono e chiudono e, da determinati punti di vista sembrano fiori, mentre da altri o mentre si calano e risalgono, assomigliano a dei veri e propri ballerini. Come se il cortile rinascimentale diventasse magicamente il palcoscenico di uno spettacolo animato in cui i visitatori sono chiamati ad immergersi. Inoltre l’installazione è fatta per essere vista e rivista, per la lunghezza cangiante della coreografia ma anche per come lo show appare diverso a seconda delle condizioni meteo, dell’ora e soprattutto se guardato durante la notte o il giorno. Cambia anche in base al punto d’osservazione (soprattutto se si è nel cortile o al piano nobile dell’edificio rinascimentale.

Palazzo Strozzi, durante le importanti mostre che organizza, ha l’abitudine di offrire alla città e ai turisti una grande opera pubblica di cui tutti possono fruire semplicemente entrando nel cortile del museo. “Shy Society” di Studio Drift con musica di RZA, è tra queste. Resterà incorniciata dalle colonne dell’antico loggiato fino al 26 gennaio 2025, quando si concluderà anche “Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole”, la prima retrospettiva italiana centrata sulla bravissima espressionista astratta statunitense.

DRIFT, Shy Society, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio. Video The Factory Prd.

DRIFT, Shy Society, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio. Video The Factory Prd.

DRIFT, Shy Society, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio. Video The Factory Prd.

DRIFT, Shy Society, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNOstudio. Video The Factory Prd.