La Venere di Willendorf viene dal Trentino

All images courtesy Gerhard Weber

La storia della Venere di Willendorf (che prende il nome dal villaggio austriaco nei pressi del quale fu ritrovata nel 1908) è da sempre avvolta nel mistero. Com’è comprensibile visto che la sculturina è antichissima. Si stima che sia stata sottoterra per 25mila anni e che la sua realizzazione risalga a 25mila-30mila anni fa. Recentemente i ricercatori dell’Università di Vienna attraverso l’uso di una nuova tecnologia (tomografia micro-computerizzata) sono riusciti ad appurare che il materiale in cui è stata scolpita (calcare oolitico) proviene dal Nord Italia. Più precisamente nella zona di Sega di Ala in Trentino (alto Garda) ad oltre 650 chilometri di distanza dal luogo del ritrovamento. Insomma non è certo che l’opera sia stata scolpita in Italia ma è ragionevole pensarlo.

La scoperta, oltre a chiaire il maggiore mistero appurabile sulle origini della Venere di Willendorf , fornisce agli studiosi importanti informazioni sugli spostamenti dei popoli che l’anno modellata.

La Venere di Willendorf è alta appena 11,1 centimetro ed ha organi sessuali ben visibili, enormi seni, pancia e fianchi, pur non avendo ne piedi ne volto. in testa porta un curioso copricapo, probabilmente composto da capelli intrecciati. Il nome è metaforico, visto che venne creata prima della nascita della figura mitologica. E si pensa rappresenti una dea della fecondità.

Gli studiosi ritengono fosse interamente colorata con ocra rossa e che le dimensioni fossero ideali per portarla con se durante gli spostamenti.

La ricerca, guidata dall'antropologo Gerhard Weber dell'Università di Vienna, ha anche individuato un materiale simile a quello usato per modellare la venere in Ucraina. In questo caso la pietra non è perfettamente sovrapponibile a quella usata da chi scolpì la statuetta, tuttavia il team non si è sentito di escludere del tutto questa ipotetica orgine per la maggior vicinanza alla Russia dove vennero rinvenute figurine simili.

Alla Venere di Willendorf anche Jeff Koons ha dedicato delle sculture. (via Hyperallergic)

A Katharina Fritsch e Cecilia Vicuña vanno i Leoni d'oro alla carriera della Biennale Arte 2022

Katharina Fritsch, Rattenkönig / Rat King 1993, Resina poliestere, vernice, 110¼ × 511¾ × 511¾ pollici ; 280 × 1300 × 1300 cm. Image: Matthew Marks Gallery

La Biennale Arte 2022, che quest’anno sarà curata da Cecilia Alemani e si intitolerà Il Latte dei Sogni, con l’attribuzione dei Leoni d’oro alla carriera si conferma sempre più al femminile. I due importanti riconoscimenti, infatti, sono stati attribuiti all’artista tedesca Katharina Fritsch e alla cilena Cecilia Vicuña.

Classe ‘56, Katharina Fritsch vive e lavora tra Wuppertal e Düsseldorf. Conosciuta per le sue grandi e coloratissime sculture, figurative, riconoscibilissime ma anche stranianti e misteriose. Iperrealiste eppure surreali. Vuoi per la grande scala, vuoi per il luogo in cui le colloca o i colori. Le sue opere più famose riproducono animali, conchiglie, statuaria devozionale, oggetti di uso comune e figure umane. Ma nelle mani di Fritch ognuno di questi soggetti perde parte del proprio significato per assumerne uno nuovo e non del tutto chiaro.

Cecilia Alemani di lei ha detto: “La prima volta in cui ho visto un’opera di Katharina Fritsch di persona è stato proprio alla Biennale di Venezia, nell’edizione del 1999, curata da Harald Szeemann, la prima Biennale che ho visitato. L’imponente opera che occupava il salone principale del Padiglione Centrale si intitolava Rattenkönig, il re dei topi, una scultura inquietante in cui un gruppo di topi giganteschi è disposto in cerchio, le code annodate, come in uno strano rituale magico. Da quel momento in poi, a ogni incontro con una scultura di Fritsch, ho provato lo stesso senso di stupore e di attrazione vertiginosa. Il contributo di Fritsch nel campo dell’arte contemporanea e, in particolare, in quello della scultura non ha paragoni. Il suo lavoro si distingue per opere figurative al contempo iperrealistiche e fantastiche: copie di oggetti, animali e persone rese nei più minuscoli dettagli ma trasformate in apparizioni perturbanti. Spesso Fritsch modifica le dimensioni e la scala dei suoi soggetti, miniaturizzandoli o ingigantendoli e avvolgendoli in campiture di colori stranianti: è come trovarsi al cospetto di monumenti di civiltà aliene, o di fronte a reperti esposti in uno strano museo postumano.”

Del tutto diversa l’opera di Cecilia Vicuña, nata nel ‘48 a Santiago (attualmente vive tra New York e la capitale cilena). Centrata sulla precarietà e su un sovrapporsi di vari medium espressivi con il costante obbiettivo di omaggiare la storia e la cultura degli indigeni cileni. Lei oltre a essere un’artista è anche poetessa, cineasta e attvista.

Vicuña è un’artista e poetessa- ha detto Alemani- e ha dedicato anni a preservare le opere letterarie di molti scrittori e scrittrici dell’America Latina, svolgendo un encomiabile lavoro di traduzione e redazione di antologie di poesie sudamericane che, senza il suo intervento, sarebbero andate perdute. Vicuña è anche un’attivista che da anni lotta per i diritti delle popolazioni indigene in America Latina e in Cile. Nel campo delle arti visive si è distinta per un’opera che spazia dalla pittura alla performance, fino alla realizzazione di assemblage complessi. Al centro del suo linguaggio artistico c’è una forte fascinazione per le tradizioni indigene e per le epistemologie non occidentali. Per decenni ha lavorato in disparte, con precisione, umiltà e ostinazione, anticipando molti dibattiti recenti sull’ecologia e il femminismo e immaginando nuove mitologie personali e collettive. La maestria di Vicuña consiste nel trasformare gli oggetti più modesti in snodi di tensioni e forze. Molte delle sue installazioni sono realizzate con materiali trovati e detriti abbandonati che l’artista intesse in delicate composizioni, nelle quali il microscopico e il monumentale sembrano trovare un fragile equilibrio: un’arte precaria, al contempo intima e potente”.

La cerimonia di premiazione si svolgerà il 23 aprile , durante l’inaugurazione della Biennale Arte di Venezia Il Latte dei Sogni.

Hahn/Cock (2013) by Katharina Fritsch on the National Gallery of Art's East Building Roof Terrace; glass fiber reinforced polyester resin fixed on stainless steel supporting structure National Gallery of Art, Washington Gift of Glenstone Foundation Image: National Gallery of Art

Cecilia Vicuña, Skyscraper Quipu (2006), New York, NY image: Cecilia Vicuña

Il tutorial di cucina di Andrea Love insegnano a fare la pizza con ingredienti di feltro lavorati ad ago

La giovane statunitense Andrea Love realizza piccoli film d’animazione in stop motion che hanno fatto il giro del suo Paese. Usa il feltro per dare vita a personaggi pacifici e positivi sospesi tra un passato prossimo e un mondo di fiaba remoto. Sono stati proiettati anche al Tribecca Film Festival e al Festival dei Corti di Los Angeles. Lei abita a Washington e lavora nel suo seminterrato.

Ogni tanto si diverte anche a creare degli spassosi tutorial di cucina. Ha preparato limonate ghiacciate, banana split, waffle e colazioni a base di pancake e bagel tostati con arance e caffe. Ha perfino lavato i piatti sporchi nel lavello. E naturalmente non poteva mancare la preparazione della pizza. La cosa particolare è che nei video di Andrea Love ogni ingrediente, particolare d’arredo, stoviaglia o attrezzo da cucina è fatto di feltro lavorato ad ago, Persino il getto d’acqua, la salsa di pomodoro o il detersivo.

Nel caso di Cooking with Wool: Pizza poi, ci sono decine di minuscoli particolari da notare: le olive, i funghi (interi e tagliati), il formaggio sciolto, persino la brunitura della crosta. Come la pazienza necessaria a far sembrare naturale tutto il procedimento.

Per farsi un idea di come ha fatto Andrea Love a realizzare Cooking with Wool: Pizza trovate un video a seguire. Altri divertenti tutorial di cucina in feltro lavorato ad ago sono sul suo account instagram. I corti d’animazione in stop motion strutturati come vere e proprie storie sono invece sulla sua pagina Vimeo.