Giorgio Andreotta Calò fa nuotare l'Hangar Bicocca negli abissi di un sogno di mare e di pianura

Giorgio Andreotta Calò; Medusa, 2014; Legno di rovere, argilla. Courtesy Wilfried Lentz, Rotterdam. Foto: John Bohnen

Giorgio Andreotta Calò; Medusa, 2014; Legno di rovere, argilla. Courtesy Wilfried Lentz, Rotterdam. Foto: John Bohnen

E’ un po’ un percorso sottomarino, un po’ un sogno ad occhi aperti, la mostra personale di Giorgio Andreotta Calò, CITTADIMILANO, che inaugura domani all’Hangar Bicocca (fino al 21 Luglio 2019). Si tratta di un viaggio in cui le opere di oggi e di ieri dell’artista veneziano riconfigurano lo spazio dell’edificio in cui la Pirelli un tempo fabbricava locomotive. Riconfermando, se ce ne fosse stato ancora bisogno dopo la sua partecipazione alla scorse edizione della Biennale d’arte, il talento visionario e la sensibilità di Andreotta Calò.

All’Hangar Bicocca Giorgio Andreotta Calò parte dalla tragedia della nave posacavi Città di Milano che il 16 giugno 1919 si inabissò presso la secca di Capo Graziano a Filicudi per costruire un percorso nelle profondità acquee dell’immaginazione e della Storia. La vicenda, che dà il titolo alla mostra, ha qui tanta importanza perchè ai tempi ad occuparsi di queste operazioni era la Pirelli. E l’artista ha l’abitudine di modificare il suo lavoro in base al contesto in cui l’espone. Senza contare il fatto che l’acqua, insieme e più del fuoco, è un suo elemento ricorrente.

Ad aprire il percorso espositivo sono proprio le immagini di repertorio del relitto inabissato (che l’artista ha montato fino a renderle un “lavoro e un leit motiv”). Per sottolineare l’interesse di Andreotta Calò per la trasmissione di dati (che al giorno d’oggi significa internet e telecomunicazioni). c’è invece, la porzione di un cavo rimasto sott’acqua per circa 20 anni.

La bellezza e il fascino tattile dei materiali usati dall’uomo che il mare si prende per poi restituirli, ritorna nell’ installazione Produttivo (costituita da campioni di roccia e sedimenti prelevati dal sottosuolo della laguna di Venezia e dell’area mineraria del Sulcis Iglesiente, in Sardegna). Nella serie delle Clessidre (i pali usati dai gondolieri per legare le barche che la marea erode fino a spezzarli, e che l’artista riproduce in bronzo raddoppiandoli, come si specchiassero nell’acqua). E in quella delle Meduse ( in questo caso interviene sugli ormeggi di legno, che trasforma in medusa, organismo marino composto principalmente di acqua, da cui poi trae delle sculture in bronzo.). Ma anche nella serie Pinna Nobilis (sculture che rappresentano delle conchiglie endemiche delle coste del Mar Mediterraneo e in particolare dei luoghi attraversati dalla mostra). E DOGOD (qui invece usa degli elementi ossei provenienti dall’Isola di Sant’Antioco in Sardegna e li assembla dandogli la forma del muso di un cane).

Giorgio Andreotta Calò; Volver, 2008; Courtesy ZERO…, Milano, e Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Davide Conconi

Giorgio Andreotta Calò; Volver, 2008; Courtesy ZERO…, Milano, e Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Davide Conconi

A imprimere una svolta circolare al cammino della mostra ci pensa, invece, la scultura Volver. Si tratta di una barca divisa in due e adagiata su uno specchio d’acqua. Ma quella barca ha una storia che si è svolta 10 anni fa proprio a Milano: l’artista all’interno della barca che usava nella laguna veneziana, ha volato ancorato a una gru sopra i tetti del quartiere Lambrate, compiendo un giro per poi terminare l’azione sulla terrazza della galleria Zero, dove ha tagliato la barca in due. Insomma, il passato chiude il cerchio e dà alla mostra un carattere onirico e personale. Come fosse una specie di viaggio nelle profondità dei ricordi personali e collettivi, con sprazzi di luce che si accendono sul futuro per poi spegnersi repentinamente.

Relitto del piroscafo Città di Milano, Filicudi. Foto:Global Underwater Explorers

Relitto del piroscafo Città di Milano, Filicudi. Foto:Global Underwater Explorers

Va detto che la mostra di Giorgio Andreotta Calò all’Hangar Bicocca, per molti versi si lega a quella di Mario Merz che l’ha preceduta (in corso fino al 24 Febbraio). Ma volendo ben vedere CITTADIMILANO può richiamare alla mente anche Treasures from the Wreck of the Unbelievable di Damien Hirst .

Si parte sempre da un relitto sottomarino che permette a un sogno di emergere dalle nebulose e fiabesche profondità dell’immaginazione. Poco importa in fondo se la circostanza da cui prendeva l’avvio la mostra di Hirst era immaginaria mentre quella da cui prende le mosse quella di Andreotta Calò è reale. A contare è il modo completamente diverso in cui i due artisti sviluppano il percorso. Hirst stupiva il visitatore, cercava di amaliarlo, Andreotta calò, invece, lo conduce per mano in una riflessione sottile su passato e presente, lonatano e vicino, natura e opera dell’uomo, corsi e ricorsi storici. E quindi, indirettamente, anche su globalizzazione e identità. Lontano dall’egocentrismo del precedente, il racconto di Andreotta Calò è aperto e intriso di poesia. Venato da una vaga malinconia che si percepisce appena tra forme ridotte all’osso (i materiali con la loro tattilità le assorbono) e il rigore trasognato del racconto.

Giorgio Andreotta Calò,; Clessidra, 2014, Bronzo; Veduta dell’installazione, Peep-Hole, Milano, 2014. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Stefania Scarpini

Giorgio Andreotta Calò,; Clessidra, 2014, Bronzo; Veduta dell’installazione, Peep-Hole, Milano, 2014. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Stefania Scarpini

Giorgio Andreotta Calò, Senza titolo (La fine del mondo), 2017 (particolare); Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Kirsten de Graaf

Giorgio Andreotta Calò, Senza titolo (La fine del mondo), 2017 (particolare); Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Kirsten de Graaf

Giorgio Andreotta Calò; Meduse, 2015, Bronzo; Veduta dell’installazione, Triennale, Milano, 2015. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Kirsten de Graaf

Giorgio Andreotta Calò; Meduse, 2015, Bronzo; Veduta dell’installazione, Triennale, Milano, 2015. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Kirsten de Graaf

Giorgio Andreotta Calò; Monumento ai Caduti, 2010; Intervento performativo; Comune di Bologna, 2010. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Matteo Monti

Giorgio Andreotta Calò; Monumento ai Caduti, 2010; Intervento performativo; Comune di Bologna, 2010. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Matteo Monti

Giorgio Andreotta Calò; Carotaggi, 2016; vulcanite, basalto, carbone, acciaio. Veduta dell’installazione, 16a Quadriennale d’arte, Roma, 2016. Foto: Ela Bialkowska

Giorgio Andreotta Calò; Carotaggi, 2016; vulcanite, basalto, carbone, acciaio. Veduta dell’installazione, 16a Quadriennale d’arte, Roma, 2016. Foto: Ela Bialkowska

Giorgio Andreotta Calò; Senza titolo (La fine del mondo), 2017; Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Roberto Marossi

Giorgio Andreotta Calò; Senza titolo (La fine del mondo), 2017; Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Roberto Marossi

Giorgio Andreotta Calò; Senza titolo (La fine del mondo), 2017; Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Roberto Marossi

Giorgio Andreotta Calò; Senza titolo (La fine del mondo), 2017; Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Roberto Marossi

Giorgio Andreotta Calò; Senza titolo (La fine del mondo), 2017; Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Roberto Marossi

Giorgio Andreotta Calò; Senza titolo (La fine del mondo), 2017; Veduta dell’installazione, Padiglione Italia, 57ma; Biennale di Venezia, 2017. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Roberto Marossi

Giorgio Andreotta Calò; Veduta della mostra, “La scultura lingua morta III”, Sprovieri Gallery, Londra, 2015. Courtesy Sprovieri Gallery, Londra. Foto: Riccardo Abate

Giorgio Andreotta Calò; Veduta della mostra, “La scultura lingua morta III”, Sprovieri Gallery, Londra, 2015. Courtesy Sprovieri Gallery, Londra. Foto: Riccardo Abate

Giorgio Andreotta Calò, Anàstasis (ἀνάστασις), 2018; Veduta dell’installazione, Oude Kerk, Amsterdam, 2018. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Maarten Nauw

Giorgio Andreotta Calò, Anàstasis (ἀνάστασις), 2018; Veduta dell’installazione, Oude Kerk, Amsterdam, 2018. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Maarten Nauw

Giorgio Andreotta Calò, Anàstasis (ἀνάστασις), 2018; Veduta dell’installazione, Oude Kerk, Amsterdam, 2018. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Gert Jan Van Rooij

Giorgio Andreotta Calò, Anàstasis (ἀνάστασις), 2018; Veduta dell’installazione, Oude Kerk, Amsterdam, 2018. Courtesy Studio Giorgio Andreotta Calò, Venezia. Foto: Gert Jan Van Rooij

510 Likes, 6 Comments - Pirelli HangarBicocca (@pirelli_hangarbicocca) on Instagram: "See you tomorrow at 7pm at #PirelliHangarBicocca for the opening of #CITTÀDIMILANO by..."

Nel Vulcano: l'esplosiva arte di Cai Guo-Qiang a Pompei e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli

cai guo qiang prova la polvere da sparo ai piedi del Vesuvio con la collaborazione della compagnia di fuochi d'artificio con sede a Napoli, Pompei, 2018; photo by sang luo, courtesy cai studio; photo by andy holmes

cai guo qiang prova la polvere da sparo ai piedi del Vesuvio con la collaborazione della compagnia di fuochi d'artificio con sede a Napoli, Pompei, 2018; photo by sang luo, courtesy cai studio; photo by andy holmes

Mentre Flora Commedia (l’esposizione che l’ha visto protagonista agli Uffizi di Firenze) si avvia alla chiusura Cai Guo-Qiang si prepara a una nuova grande mostra italiana e a uno spettacolo pirotecnico esplosivo. D’altra parte sta’volta a ispirarlo sarà il Vesuvio.

Intitolato Explosion Studio l’evento si svolgerà il 21 febbraio a Pompei e inaugurerà la mostra Nel Vulcano. Cai Guo-Qian a Pompei che aprirà ufficialmente il giorno successivo al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN). Come al solito l’artista cinese, oltre a intrattenere il pubblico con complesse sequenze di fuochi d’artificio, dipingerà con le esplosioni . Una tela di ben 33 metri verrà, infatti, posizionata nell’Anfiteatro insieme a una manciata di oggetti simbolo della decadenza della città prima del disastro.

"Le opere, create dopo un evento con fuochi d’artificio-spiega il sito del Ministero dei Beni Culturali- dialogheranno con le collezioni permanenti, in un gioco di assonanze e dissonanze tematiche, mentre mosaici ed affreschi antichi accompagneranno il visitatore in un labirintico viaggio di scoperta tra passato e presente."

Ancora una volta dunque, l’artista cinese famoso per aver trovato il modo per dipingere con la polvere da sparo si troverà a confrontarsi con le opere degli antichi maestri del passato (prima della Galleria degli Uffizi era stata la volta del Museo del Prado). E c’è da credere che non sarà l’ultima. Explosion Studio e Nel Vulcano. Cai Guo-Qian a Pompei, infatti, fanno parte del progetto pluriennale di Cai “An Individual’s Journey Through Western Art History.” Che, dopo la tappa italiana, lo porterà a Parigi per una mostra in un museo non ancora reso noto.

Lo spettacolo pirotecnico di Pompei si ispira alla forza primordiale del vulcano. E Cai Guo-Qian ha dichiarato di aver creato qualcosa di pervaso da “un tocco di ferocia”. La mostra Nel Vulcano. Cai Guo-Qian a Pompei al Museo Archeologico Nazionale di Napoli resterà aperta fino al 20 maggio 2019. (via artnet, designboom)

cai guo qiang, study for pompeii no. 2 (2018); photo by yvonne zhao, courtesy cai studio

cai guo qiang, study for pompeii no. 2 (2018); photo by yvonne zhao, courtesy cai studio

cai guo qiang, study for pompeii: fierce lion (2018); photo by yvonne zhao, courtesy cai studio

cai guo qiang, study for pompeii: fierce lion (2018); photo by yvonne zhao, courtesy cai studio

cai guo qiang, sketch for pompeii (2018); image courtesy of cai studio

cai guo qiang, sketch for pompeii (2018); image courtesy of cai studio

Trent'anni di Jeff Koons in mostra all'Ashmolean di Oxford, il museo universitario più antico del mondo

10a. Detail of Ballerina (c) Jeff Koons.jpg

“Controverso”, “ricchissimo”, “geniale”, “falso”, “incredibilmente professionale”, “un pallone gonfiato”. Sono pochi gli artisti che suscitano giudizi così discordanti ma non smettono, nel bene e nel male, di far parlare di se. Jeff Koons è sicuramente uno di loro. E almeno sul fatto che sia ricchissimo c’è unità di vedute.

Mercoledì scorso l’Ashmolean Museum dell’Università di Oxford ha inaugurato una mostra che ripercorre trent’anni del lavoro di Jeff Koons (fino al 9 giungo 2019). Si intitola, appunto, “Jeff Koons at the Ashmolean”. Curata dallo stesso Koons in collaborazione allo storico dell’arte Norman Rosenthal, riunisce diciassette opere importanti dell’artista statunitense (14 di queste non erano mai state esposte prima in Regno Unito). La mostra abbraccia l'intera carriera dell'artista e comprende le sue serie più famosa tra cui Equilibrium, Statuary, Banality, Antiquity e le più recenti sculture e dipinti di Gazing Ball.

L’Ashmolean Museum, la cui collezione permanente raccoglie pezzi che vanno dalle mummie egizie fino all’arte contemporanea, è stato fondato nel 1683 ed è il museo universitario più antico al mondo.

"Non potrei pensare a un posto migliore-ha detto Jeff Koons- per un dialogo sull'arte oggi e su cosa possa essere."

Così, invece, il Dr. Xa Sturgis, direttore dell'Ashmolean: “Questa mostra genera un dialogo tra il lavoro di Jeff Koons e la storia dell'arte e delle idee alla quale la sua opera partecipa. Sono sicuro che provocherà anche conversazioni tra coloro che la vedranno. "

Insomma, Jeff Koons at the Ashmolean si basa sul modello del dialogo tra arte contemporanea e antichi maestri, adesso molto in voga (qui ho parlato ad esempio delle mostre di Ai Weiwei a Palazzo Strozzi e Cai Guo-Qiang agli Uffizi, ma vi si potrebbe ascrivere, anche se con un progetto curatoriale più ambizioso, pure la collettiva Sanguine alla Fondazione Prada).

L’esposizione comprende alcune delle opere più iconiche e conosciute dell’artista statunitense. A partire da One Ball Total Equilibrium Tank (1985), della serie Equilibrium, in cui un pallone da basket immerso in una teca di vetro piena d’acqua, riesce a rimanere esattamente a metà del liquido (il trucco Koons lo trovò grazie alla collaborazione del fisico vincitore del Nobel Richard Feynman). O Rabbit (1986) in cui l’artista riproduce in acciaio specchiato un giocattolo di plastica. Fino a pezzi più recenti come Seated Ballerina del 2010-15 (di cui Jeff Koons ha fatto anche una versione sovradimensionata e gonfiabile; ne ho parlato qui), o Balloon Venus (Magenta) (2008-12) che rappresenta l’antichissima Venere di Willendorf come se fosse fatta in palloncini annodati. Entrambe della serie Antiquity.

Della fazione dei detrattori, il The Guardian, in occasione di questa mostra ha dedicato a Koons un’intervista e un testo critico sulla sua carriera. Entrambi poco lusinghieri per l’artista ma davvero piacevoli da leggere.

exibition view photo: © David Fisher, 2019

exibition view photo: © David Fisher, 2019

Jeff Koons (b. 1955); One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. J 241 Series); 1985; Glass, steel, sodium chloride reagent, distilled water, one basketball; 164.5 x 78.1 x 33.7 cm; Edition 2 of an edition of 2; Collection of BZ + Michael Schwart…

Jeff Koons (b. 1955); One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. J 241 Series); 1985; Glass, steel, sodium chloride reagent, distilled water, one basketball; 164.5 x 78.1 x 33.7 cm; Edition 2 of an edition of 2; Collection of BZ + Michael Schwartz, New York © Jeff Koons

Jeff Koons (b. 1955); Seated Ballerina; 2010–15; Mirror-polished stainless steel with transparent colour coating; 210.8 x 113.5 x 199.8 cm; Artist’s proof of an edition of 3 plus AP; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Fredrik Nilsen, 2017…

Jeff Koons (b. 1955); Seated Ballerina; 2010–15; Mirror-polished stainless steel with transparent colour coating; 210.8 x 113.5 x 199.8 cm; Artist’s proof of an edition of 3 plus AP; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Fredrik Nilsen, 2017. Courtesy Gagosian

Jeff Koons (b. 1955); Gazing Ball (Rubens Tiger Hunt); 2015; Oil on canvas, glass, and aluminium; 163.8 x 211.1 x 37.5 cm; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powel Imaging. Courtesy Gagosian

Jeff Koons (b. 1955); Gazing Ball (Rubens Tiger Hunt); 2015; Oil on canvas, glass, and aluminium; 163.8 x 211.1 x 37.5 cm; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powel Imaging. Courtesy Gagosian

Jeff Koons (b. 1955); Rabbit; 1986; Stainless steel; 104.1 x 48.3 x 30.5 cm; Edition 3 of and edition of 3 plus AP; The Eli and Edythe L. Broad Collection © Jeff Koons

Jeff Koons (b. 1955); Rabbit; 1986; Stainless steel; 104.1 x 48.3 x 30.5 cm; Edition 3 of and edition of 3 plus AP; The Eli and Edythe L. Broad Collection © Jeff Koons

Jeff Koons (b. 1955); Antiquity 1; 2009–12; Oil on canvas; 274.3 x 213.4 cm; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powell Imaging

Jeff Koons (b. 1955); Antiquity 1; 2009–12; Oil on canvas; 274.3 x 213.4 cm; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powell Imaging

Jeff Koons (b. 1955); Balloon Venus (Magenta); 2008–12; Mirror-polished stainless steel with transparent colour coating; 259.1 x 121.9 x 127 cm; One of 5 unique versions (Magenta, Red, Violet, Yellow, Orange); The Broad Art Foundation, Los Angeles; …

Jeff Koons (b. 1955); Balloon Venus (Magenta); 2008–12; Mirror-polished stainless steel with transparent colour coating; 259.1 x 121.9 x 127 cm; One of 5 unique versions (Magenta, Red, Violet, Yellow, Orange); The Broad Art Foundation, Los Angeles; © Jeff Koons. Photo: Marc Domage. Courtesy Almine Rech Gallery

Jeff Koons (b. 1955); Ushering in Banality; 1988; Polychromed wood; 96.5 x 157.5 x 76.2 cm; Edition 1 of an edition of 3 plus AP; Private Collection; © Jeff Koons

Jeff Koons (b. 1955); Ushering in Banality; 1988; Polychromed wood; 96.5 x 157.5 x 76.2 cm; Edition 1 of an edition of 3 plus AP; Private Collection; © Jeff Koons

Jeff Koons (b. 1955); Ballerinas; 2010–14; Mirror-polished stainless steel with transparent colour coating; 254 x 177.8 x 157.5 cm; Edition 3 of an edition of 3 plus AP; The Broad Art Foundation, Los Angeles © Jeff Koons. Photo: Fredrik Nilsen, 2017…

Jeff Koons (b. 1955); Ballerinas; 2010–14; Mirror-polished stainless steel with transparent colour coating; 254 x 177.8 x 157.5 cm; Edition 3 of an edition of 3 plus AP; The Broad Art Foundation, Los Angeles © Jeff Koons. Photo: Fredrik Nilsen, 2017. Courtesy Gagosian

Jeff Koons (b. 1955); Gazing Ball (Gericault Raft of the Medusa); 2014–15; Oil on canvas, glass, and aluminium; 175.9 x 259.1 x 37.5 cm; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powel Imaging. Courtesy Gagosian

Jeff Koons (b. 1955); Gazing Ball (Gericault Raft of the Medusa); 2014–15; Oil on canvas, glass, and aluminium; 175.9 x 259.1 x 37.5 cm; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powel Imaging. Courtesy Gagosian

Jeff Koons (b. 1955); Gazing Ball (Mailbox); 2013; Plaster and glass; 188.6 x 61.9 x 105.4 cm; Artist’s proof of an edition of 3 plus AP; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powel Imaging. Courtesy David Zwirner

Jeff Koons (b. 1955); Gazing Ball (Mailbox); 2013; Plaster and glass; 188.6 x 61.9 x 105.4 cm; Artist’s proof of an edition of 3 plus AP; Collection of the artist © Jeff Koons. Photo: Tom Powel Imaging. Courtesy David Zwirner

Jeff Koons accanto a Baloon Venus; photo: © David Fisher, 2019

Jeff Koons accanto a Baloon Venus; photo: © David Fisher, 2019

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