Tra glitch, pixel e colature i tappeti di Faig Ahmed reinventano l'arte tradizionale dell'Azerbaigian

Faig Ahmed, “Yahya al-Shirvani al-Bakuvi”. Image courtesy of Sapar Contemporary

L’artista Faig Ahmed, nato a Baku in Azerbaigian dove tutt’ora vive e lavora, crea degli spledidi tappeti che reinventano l’antica tradizione azera, inserendo elementi come glitch, pixel o banali colature, tra i motivi che usualmente li decorano.

Faig Ahmed è stato il primo artista a rappresentare l’Azerbaigian alla Biennale di Venezia. Usa vari medium espressivi (dalla performance alla pittura fino all’installazione) ma è conosciuto soprattutto per i suoi tappeti.

Questi ultimi, spesso di dimensioni monumentali, fondono un elemento che mixa cultura alta e bassa del suo Paese d’origine, quasi un simbolo, con pezzi del linguaggio informatico. I pixel ma anche i glitch (cioè malfunzionamenti temporanei di un sistema capaci di produrre strane e coloratissime schermate). A volte però l’artista si limita a lasciare cadere il tappeto fino a terra, semplificato nella cromia, e ancorato a forme curvilinee. Come se si trasformasse in puro colore e colasse giù dalla parete.

In Azerbaigian (Paese dalla Storia tribolata che tuttavia è il primo stato laico democratico a maggioranza musulmana) la tessitura era affidata alle donne, che nel passato si sposavano portando via dalla casa paterna solo i tappeti, tessuti per loro dalle nonne o dalle madri. In questo senso, nella cultura azera il tappeto diventa terreno d’incontro tra riferimenti religiosi, letterari e costume ma anche un simbolo ambivalente.

Faig Ahmed disegna le sue opere con il computer e segue continuamente il processo di tessitura, affidato tutt’ora a un gruppo di donne.

L’artista si è anche interessato al tema del riciclo (inteso anche come rinnovamento culturale) recuperando un antico e pregiato tappeto e tagliandolo fino a dargli una nuova forma.

Ultimamente l’artista di Baku ha legato a filo stretto il suo lavoro alla poesia medioevale azera. Come testimonia la mostra “Faig Ahmed: Pir” alla galleria Sapar Contemporary di New York. in cui ogni pezzo prende il nome da un leader spirituale e poeta del Azerbaigian. Come: Shams Tabrizi, Yahya al-Shirvani al-Bakuvi e Nizami Ganjavi.

"In questa serie- scrive il curatore canadese, Fahmida Suleman- Faig identifica ciascuna delle sue tre opere con un'importante figura medievale legata alla sua terra natale, l'Azerbaigian. Ogni figura è un disgregatore creativo, un innovatore, qualcuno che scuote le cose, eppure è un prodotto della propria geografia culturale."

Faig Ahmed ha tra l’altro tenuto un’importante esposizione al Macro di Roma. In Italia è rappresentato dalla Montoro 12 Gallery. Sul sito internet dell’artista sono presenti, oltre a molte foto dei suoi tappeti, anche approfondimenti sulle tecniche utilizzate per realizzare le opere. (via Colossal)

Faig Ahmed

Faig Ahmed, “Shams Tabrizi” Image courtesy of Sapar Contemporary

Faig Ahmed

Faig Ahmed, “Nizami Ganjavi” (2021), handmade wool carpet Image courtesy of Sapar Contemporary

Faig Ahmed Image courtesy of Sapar Contemporary

I paesaggi argentini intessuti da Alexandra Kehayoglou, come eco-memorie distillate in un tappeto

“Santa Cruz River” (2016-2017), detail, Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm, Courtesy of The National Gallery of Victoria and the artist. All other images © Alexandra Kehayoglou

“Santa Cruz River” (2016-2017), detail, Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm, Courtesy of The National Gallery of Victoria and the artist. All other images © Alexandra Kehayoglou

L’artista argentina Alexandra Kehayoglou fa tappeti e arazzi bellissimi che riproducono il paesaggio della sua terra visto dall’alto. Resa famosa, tra le altre cose, da collaborazioni con star dell’arte contemporanea (come Olafur Eliasson), del design (come Dries Van Noten) e con importanti brand della moda. Opera nel solco delle arti applicate in un punto di congiunzione tra arte (con la A maiuscola) e design. Tra aspetto e contenuto. Tra storia e presente.

Ieri e oggi convivono anche nel significato del lavoro, in cui la fotografia tessile del paesaggio delle praterie (soprattutto quelle vicine alla sua città natale: Buenos Aires), diventa testimonianza e specchio di mutamento involontario del paesaggio incontaminato. Sullo sfondo sempre i temi contestati dagli ecologisti (cambiamenti climatici, deforestazione, fabbriche ecc.).

Una posizione, quella dell’arte tessile di Kehayoglou, proficua nel breve periodo, insidiosa nel lungo. Qualcosa rischia sempre di farti naufragare verso il lezioso, il vuoto, il ripetitivo. A mantenere l’equilibrio ci pensa la partecipazione di lei, che costella ogni pezzo di ricordi personali. Il paesaggio che (di norma) ritrae, è quello che ha nella mente e nel cuore, come argentina e come persona, che l’ha percorso, osservato e condiviso con chi le era caro negli anni.

Prima, per dare corpo alle sue opere, usava addirittura i tessuti di scarto della fabbrica di tappeti che apparteneva al padre. In quella pratica, c’era tenerezza e orgoglioso senso d’identità. Poi le cose della vita sono cambiate ma non i tratti emotivi del lavoro dell’artista.

Sia i tappeti che gli arazzi di Alexandra Kehayoglou sono realizzati con una tecnica artiginale complessa in vari materiali. A volte.ideati come isole da comporre o semplicemente come tessuti da stendere su pavimento. Altre diventano grandi fino ad avvolgere un intero ambiente espositivo. In alcuni casi virano verso l’astrazione ma più spesso sono spietatamente iperrealisti.

Anche il calendario espositivo di Alexandra Kehaoglou è stato sconvolto dalla pandemia, che continua a tenere in ostaggio parte dei musei e delle gallerie del mondo, ma per vedere virtualmente (parola che purtroppo tutti abbiamo imparato ad odiare) altre opere d’arte tessile il suo sito internet e l’account instagram se non altro hanno il beneficio di essere aperti a ogni ora del giorno e della notte.

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“Santa Cruz River” detail (2016-2017), Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm

“Santa Cruz River” detail (2016-2017), Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm

“Hope the voyage is a long one” (2016), Textile tapestry (handtuft system), wool

“Hope the voyage is a long one” (2016), Textile tapestry (handtuft system), wool

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La pittura iperrealista di Antonio Santín minuta e dettagliata come la tessitura di tappeti persiani

All images © Antonio Santín

All images © Antonio Santín

Antonio Santín dipinge tappeti. Sempre e solo tappeti, con una pittura iperrealista talmente dettagliata da rendere impossibile all’osservatore distinguerla da una tessitura.

Di lui avevo già parlato ma le sue nuove opere sono ancora più complesse. I tappeti sono molto spiegazzati, le frange ancora più lunghe e mosse. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a veri tappeti appesi a parete. Ed avvicinandosi, di più e di più, fin quasi a toccare la tela con il naso, l’impressione non cambia. La tessitura è dettagliata e i fili sembrano in rilievo.

Antonio Santín ha spiegato che ultimamente si è concentrato sul "rilievo scultoreo che va oltre la sensazione del ricamo". E di essersi inventato una tecnica che gli permette di arrivare non solo a ingannare l’occhi ma anche a indurre una sensazione tattile.

"Per raggiungere questo livello di complessità- ha detto- ora uso macchinari pneumatici. Quando l'aria compressa spinge la pittura ad olio all'interno di una cannuccia, un filo sottile fuoriesce da una punta fine. Controllando la velocità dell'output e il modo in cui viene applicato sulla tela, è possibile modellare la pittura ad olio in filigrane complesse. Successivamente, applico una vernice a olio scura, che non solo produce il chiaroscuro che crea il trompe l'oeil, ma funge anche da patina che evidenzia tutto il rilievo scultoreo del dipinto".

Antonio Santín è spagnolo ma la sua pittura iperrealista adesso avrebbe dovuto essere in mostra al Nassau Country Museum of Art (Stati Uniti). che però è ancora chiuso per l’emergenza COVID 19. Tuttavia l’artista condivide tutte le opere sull’account Instagram. (via Colossal)

“Música Ligera” (2020), olio su tela

“Música Ligera” (2020), olio su tela

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