Sabato sarà possibile fare colazione a Palazzo Boncompagni di Bologna, con espresso e tenerina, ammirando le opere divertenti ed effimere di Aldo Mondino. Come il suo tappeto di chicchi di caffè o il mosaico di cioccolatini.
Nato nel ‘38 a Torino, Aldo Mondino, non ha mai smesso di dipingere né di scolpire il bronzo ma quando preferiva usare materiali meno convenzionali per realizzare le sue opere, lo faceva sul serio. D’altra parte, il suo lavoro, ricco di influssi da vari movimenti a lui contemporanei (come Concettuale e Arte Povera; più stretto forse il rapporto con la Pop Art), è stato particolarmente segnato dalle ricerche Dada e dal Surrealismo. E sempre ai surrealisti aveva rubato quel chiodo fisso per il linguaggio che in Mondino si riversa soprattutto nei titoli. Come quando chiama “Scutura un corno”, una comporizione di elefanti in ecquilibrio, l’uno sulla schiena dell’altro. Sono di cioccolato ed andando dal più grande al più piccolo danno, appunto, vita ad un corno. Nel caso di "Viole d’amore", invece, l’artista ha rappresentato due strumenti musicali affiancati.
L’umorismo, è una caratteristica che pernia tutta la produzione di Mondino, e che lascerà in eredità a Maurizio Cattelan. I due artisti, infatti, si conoscevano e si stimavano (nel catalogo della mostra di Bologna c’è persino un’intervista che Cattelan fece a Mondino), ma se nel lavoro del più giovane il sorriso si tramuta in cinica ironia, il torinese si limitava a mettere in scena ingenui giochi di parole o di immagini.
“Nei lavori di Aldo Mondino- ha scritto la curatrice della mostra, Silvia Evangelisti- giochi di parole e giochi di immagini, scambi di identità, si sovrappongono in un tessuto inestricabile, che mette in discussione la certezza di ciò che vediamo creando meraviglia, accentuata dalla scelta dei materiali e dalla “magica” manipolazione che ne fa: veri cioccolatini, zollette di zucchero e caramelle, materiali usati per ‘dipingere’ ritratti, mappe, simboli e bandiere; semi di granaglie e chicchi di caffè”.
A differenza di Cattelan, lui amava molto l’Oriente, e gran parte della sua produzione risentirà di questa fascinazione. Un esempio sono i tappeti di materiali impossibili (come l’eraclite), a cui Modino si è spesso dedicato, ma soprattutto i suoi notissimi dervisci rotanti, che l’artista dipingeva su campiture piatte e monocrome, con risultati in bilico tra realismo e astrazione.
A Bologna ci sono questi ultimi ma anche altri quattordici lavori di Mondino. Alcuni sono davvero pregevoli, come il tappeto fatto con chicchi di caffè a diversa tostatura (“Mekka Mokka”), e il lampadario stile Art Nouveuau di penne bic, che espose alla Biennale di Venezia del ‘93 (“Jugen Stilo”). O uno dei suoi mosaici di cioccolatini dal packaging colorato ("The Byzantine World").
La mostra si intitola “Aldo Mondino Impertinenze a Palazzo”, sottolineando ad un tempo, l’aspetto ludico del lavoro di Mondino e la maestosità che ispira deferenza della sede espositiva. Il cinquecentesco Palazzo Boncompagni, infatti, tra marmi di vari colori, affreschi ed elementi d’arredo, costituisce una scenografia riccissima, che si sposa benissimo con le opere.