Liza Lou , per realizzare la sua ultima serie di opere astratte dedicate all’eterea e poetica mutevolezza delle nuvole ha di sicuro dovuto sudare sette camicie. L’artista statunitense, infatti, usa come tela dei panni di perline di vetro bianco tessuti a mano, uno ad uno, su cui dipinge con sensibilità e delicatezza. Infine li prende a martellate.
Il metodo apparentemente mortificante della Lou è in realtà strettamente legato alle tecniche di meditazione orientale, e poi permette all’artista di mostrare la trama di filo nascosta, slabbrata e macchiata di pittura, aggiungendo eterogeneità, dinamismo e levità alle sue opere. Come fossero nuvole, appunto.
Nel dipinto The Clouds il cielo della Lou poi diventa maestoso. Composto com’è di 600 panni di perline accostati l’uno all’altro, fino a raggiungere le ragguardevoli dimensioni di oltre 15 metri per 7.
Questa serie dedicata alle nuvole è stata creata en plain air, pensando e osservando i cieli delle città tra cui si divide la vita di Liza Lou (Los Angeles e Durban).
Lo scorso autunno è stata esposta alla galleria Lehmann Maupin di New York in una mostra intitolata Liza Lou: Classification and Nomenclature of Clouds ispirata agli scritti del metereologo dilettante Luke Howard: "Il poeta Mark Strand ha recentemente scritto ‘Le nuvole sono pensieri senza parole’- spiegava il comunicato stampa della mostra- Classificando e nominando le nuvole [Howard], ha influenzato egualmente pittori e poeti."
Nella stessa mostra sono stati esposti anche due disegni di Liza Lou (trovate due fotografie in fondo a questo post). Che c’è di strano? Beh per farli l’artista ha impiegato 11 anni dato che sono composti da migliaia di minuscoli cerchi concentrici accostati l’uno l’altro. Ma non basta, perchè la Lou ogni volta che tracciava un cerchiolino cantava la parla’ oh’. Pare che la melodia che è venuta fuori registrando i vocalizzi dell’artista, a discapito di quanto si potrebbe pensare, abbia rapito gli spettatori della mostra.