Il mondo antico e avveniristico di Lu Yang, che cerca l’anonimato e va in estasi durante una spaventosa turbolenza aerea

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

Ispirata alla religione e alla scienza ma anche alla fantascienza, ai videogiochi e ai manga l’opera dell’artista cinese, Lu Yang, è psichedelica, energica, inquietante, un po’ horror un po’ gioiosa e, occasionalmente, raccapricciante. Si tratta per lo più di corti, mediometraggi e immagini in CGI (anche se non è estranea alla pittura), che oscillano dall’impianto narrativo di un vero e proprio film, a quello di un video musicale, senza dimenticare di fare un salto per il format dei giochi elettronici. C’è tanta musica (molto coinvolgente) e i protagonisti (che hanno tutti il volto di Lu Yang) ballano parecchio. Oltre a trovarsi ad affrontare situazioni strane, paradossali e grottesche (per esempio: un camion decorato che sfreccia nell’aldilà; un paziente che si fa fare un esorcismo con la stimolazione magnetica transcranica; un supereroe su un assorbente alato cerca di salvare il mondo, usando un neonato attaccato al cordone ombelicale, come mazza). Sono tutti senza genere e hanno trucco, acconciatura ed abbigliamento appariscenti; a volte sono vestiti come divinità induiste (ma con rifiniture al neon per un tocco sci-fi che non può mancare).

Tuttavia, malgrado il gusto marcatamente vistoso, l’opera di Lu Yang, non deve ingannare. L’artista, in fondo, si occupa di temi vecchi come il mondo: la vita, la morte, la decadenza e l’impossibilità di controllare le trasformazioni biologiche, la sede dell’anima. Spesso inserita in mostre sul post-umano, Lu, aggiunge a questo canovaccio interrogativi più contemporanei come quelli sull’esistenza digitale, sul corpo, l’identità e il tempo nel quadro pixelato di uno schermo. Oltre a riflessioni estemporanee, che la sua curiosità e il suo vulcanico genio creativo le suggeriscono.

Ed è proprio questo matrimonio tra passato e presente, uno dei punti forti del suo lavoro. In cui l’influenza della cultura buddista, elementi di medicina cinese, studi sulle neuroscienze, informatica, estetica e divinità induiste, oltre a un’infinità pressoché illimitata di cenni pop, coesistono armoniosamente.

41 anni, Lu Yang, vive e lavora a Shangai con il suo carlino Biabia (di cui condivide spesso immagini sul suo account instagram), dice di non uscire frequentemente e di sentirsi a disagio nelle occasioni di ritrovo che la sua professione richiede. Non le piace stare sotto i riflettori, anzi ricerca l’anonimato ed è per questo che non ama rilasciare interviste, farsi fotografare e dare un genere ai suoi avatar digitali. Preferisce passare il tempo al computer. Anche se ultimamente si è trovata a dover abbandonare sempre più spesso la sua confort zone. Perché Lu Yang stà diventando un artista famosa; anche in occidente, dopo aver conquistato un vasto pubblico in patria.

Una volta- ha scritto di recente- ho letto una teoria da un libro, parla di come cerchi di ottenere le cose essendo molto più dedicato e determinato di chiunque altro. Con quella quantità di dedizione e determinazione, l'universo sarà sincronizzato con te e il potere della tua volontà, quindi l'universo utilizzerà ogni risorsa che può comandare per aiutarti a raggiungere il tuo obiettivo”.

Lo scorso anno ha partecipato alla 59esima Biennale di Venezia, ha esposto in vari musei in giro per il mondo ma si è anche aggiudicata l’undicesima edizione del premio “Artist of the Year” della Deutsche Bank, che le ha fruttato una mostra al Palais Populaire di Berlino. Oltre a una personale che ha inaugurato lo scorso 14 settembre al Mudec di Milano.

Si intitola “DOKU Experience Center”, dal nome del nome dell’avatar digitale prediletto dell’artista (Dokusho Dokushi, o DOKU in breve), o meglio, dalla reincarnazione digitale che la rappresenta in maniera più completa. Ma ci sono anche gli altri:

L’esposizione- spiega il Mudec- mette così in scena insieme e per la prima volta i sei diversi avatar creati da Lu Yang – Human, Heaven, Asura, Animal, Hungry Ghost, Hell – che incarnano i sei regni di rinascita del Samsara, la ruota karmica della vita che simboleggia l'eterno ciclo di nascita, morte e reincarnazione”.

Tra le opere c’è anche il video “DOKU the Self”, che è stato presentato l’anno scorso alla Biennale. Un vero e proprio film, marcatamente narrativo, di cui Lu Yang ha raccontato la genesi in un’intervista rilasciata alla rivista artnet: “(…) Nel 2020 ho fatto un'esperienza di volo in cui ho provato una meravigliosa estasi così forte da ripercuotersi ancora oggi su ogni momento del mio presente. L'aereo ha attraversato un temporale. Vidi fulmini vicini e lontani, che formavano un angolo verticale rispetto alla città. L'aereo si muoveva su e giù tra tuoni e forti piogge. Ho sentito il fulmine proprio accanto a me, apparire e scomparire tra le nuvole. Altri passeggeri sono stati presi dal panico o hanno urlato, ma io ho guardato fuori dal finestrino, stupita. Ho sperimentato l'estasi, osservando sia il soggetto che l'oggetto. Il tempo era fermo, o non c'era affatto tempo. Lo spazio sembrava non essere più quello che avevo usato per concettualizzarlo. (…) È stato così meraviglioso che volevo saperne di più, quindi ho cercato online per vedere se altri avevano esperienze simili. E ho scoperto che quello che ho provato è molto simile al cosiddetto ‘effetto panoramica’, anche se di solito è sperimentato dagli astronauti nell'universo molto più distante (…)”.

DOKU the Self”, così come in genere le opere dell’artista, si può vedere anche sulla piattaforma Vimeo e sul suo sito (lo trovate anche qui, dopo questo testo, nella versione hd). Durante le esposizioni, però, grazie ai dispositivi messi a disposizione del pubblico e all’altissima risoluzione, l’esperienza dei film è infinitamente migliore. Senza contare che in mostra c’è anche materiale recentissimo.

L’esposizione di Lu Yang, “DOKU Experience Center”, curata da Britta Färber (Global Head of Art di Deutsche Bank ) è in corso al Mudec di Milano /dal 14 settembre a 22 ottobre 2023). Inoltre è possibile curiosare sul sito dell’artista o seguirla attraverso i vari social.

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Heaven, 2022 From the series Bardo #1, UV Inkjet Print on Aluminum Dibond, LED light system Diameter 120 x 4 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Human, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Asura, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Animal, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Hungry Ghost, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Self, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 36 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang, 2023 Foto / Photo: © Wang Shenshen

Da ottobre al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, James Lee Byars, il minimalista che amava l’oro

James Lee Byars Red Angel of Marseille, 1993 Vetro rosso, 1000 parti Ciascuna: ⌀ 11 cm Totale: 1100 x 900 x 11 cm FNAC 99316 Centre National des Arts Plastiques In deposito presso Centre Pompidou, Parigi Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

Scomparso nel ’97, durante un viaggio in Egitto, per un tumore allo stomaco che lo affliggeva da tempo, l’artista James Lee Byars, fondeva elementi della cultura orientale ed occidentale, in un’opera capace di fare tesoro del paradosso, mentre indagava la tensione dell’uomo verso l’irraggiungibile perfezione. Usava materiali preziosi, o almeno che potessero apparire tali, e li sposava a forme minimali. Il suo lavoro era pieno di simboli, un po’ esoterici e un po’materialisti, un po’ universali e un po’ personali (anche se, forse, la sfera e l’oro, sono quelli più noti) Performer, scultore e artista concettuale, aveva fatto di sé stesso un personaggio, che è stato descritto come "mezzo imbroglione e mezzo veggente minimalista”. Che sia proprio per questo o nonostante questo, Byars, è ricordato ancora adesso con affetto da un’ampia schiera di persone che hanno avuto occasione di conoscerlo e magari di ricevere le sue lettere (ne scriveva moltissime, a critici, altri artisti e amici in genere, le decorava, ritagliava e, a volte, ripiegava come origami; oggi sono considerate una parte fondamentale del suo lavoro). Tra loro anche l’attuale direttore del Pirelli Hangar Bicocca, Vicente Todoli, che a ottobre ospiterà una sua mostra.

L’esposizione “Nasce anche-spiegano - dalla stretta relazione instaurata tra Vicente Todolí e James Lee Byars, al quale il curatore ha dedicato due mostre personali all’IVAM Centre del Carme di Valencia nel 1994 e al Museu Serralves di Porto nel 1997, dei quali in passato è stato anche direttore”.

Organizzata in collaborazione con il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid e con il supporto dell’Estate di James Lee Byars, la mostra al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, è la prima retrospettiva dedicata a Byars, in Italia, dalla sua scomparsa. Raccoglierà una vasta selezione di opere scultoree e installazioni monumentali (realizzate dal 1974 al 1997), perché ha un focus particolare sui lavori più grandi e i materiali più preziosi maneggiati dall’artista americano (come marmo, velluto, seta, foglia d’oro e cristallo). Le opere scelte, proverranno tutte da collezioni museali internazionali, alcune raramente esposte, verranno presentate in Italia per la prima volta.

Concepiamo sempre retrospettive site-specific- ha detto Vicente Todoli- che dialogano con l’architettura di Pirelli HangarBicocca. Nella sua pratica James Lee Byars era solito adattare il suo corpus di opere allo spazio in cui veniva esposto, creando così una mostra che fosse essa stessa un'installazione complessiva. Pertanto, la nostra selezione di opere interagisce con l'ambiente ex industriale delle Navate, sfidandoci a interpretare lo spazio secondo l'approccio concettuale dell'artista”.

Nato negli Stati Uniti nel ’32, James Lee Byars, è stato un artista minimalista e barocco. Capace di conciliare l’opulenza dell’oro, di cui faceva uso largo e costante (se il budget non gli permetteva materiali più nobili, si accontentava di colori industriali pur di non rinunciarvi) con forme pure ricorrenti come il cerchio, la sfera, il cilindro ecc. Tutto comunque, era scelto per rientrare in un suo personale culto esoterico in cui elementi rituali e simboli evocativi si sostengono. A Venezia, in occasione dell’installazione della sua opera “Golden Tower”, il curatore Alberto Salvadori, ha detto a proposito dell’oro: “lo splendore dell'oro allude al simbolo del sole ma diventa anche simbolo di illuminazione interiore, di conoscenza intellettuale ed esperienza spirituale, concetto di divinità”. Allo stesso modo, la sfera, era un compendio di infiniti riferimenti cosmologici e religiosi, in cui lo spettatore è invitato a perdersi, come un monaco durante un esercizio di meditazione. Non è chiaro se lo stato quasi d’ipnosi di chi guarda o l’opera in sé fosse per Byars più vicina alla perfezione.

Perfezione, un’irraggiungibile chimera quest’ultima, che era così importante nell’universo di Byars che gli dedicò più di un pensiero nei suoi ultimi giorni di vita, o almeno così ha raccontato il critico statunitense Thomas McEvilley, a cui l’artista avrebbe urlato, spazientito, (sfiorando il minuscolo punto di saldatura tra le due metà di una sfera dorata su cui stava lavorando): "Tom, perché non possiamo fare niente perfetto!?" Del resto Byars non avrebbe smesso di lavorare fino all’ultimo, arrivando a rappresentare la propria morte durante la malattia.

Nel corso della sua vita, comunque, il momento di svolta della carriera, per lui, laureato in filosofia, era arrivato nel 1958 quando era partito per Kyoto (dove avrebbe vissuto qualche anno). Sia alcuni aspetti del teatro Noh che del rituale shintoista gli rimarranno in testa ed influenzeranno profondamente la sua opera. Che ad ogni modo avrà forme varie (userà molti medium diversi) e sarà consistente nonostante la prematura scomparsa dell’artista.

Dopo la permanenza in Giappone Byars condurrà un’esistenza errante, vivendo in varie città europee e statunitensi. Tra loro Venezia, che Byars amerà perché simbolo dei rapporti tra Oriente e Occidente oltre che per la sua bellezza a tratti sontuosa.

La mostra su James Lee Byars al Pirelli Hangar Bicocca di Milano si inaugurerà il 12 ottobre 2023. Una versione dello stesso progetto espositivo aprirà invece il 25 aprile 2024 al Palacio de Velázquez di Madrid.

James Lee Byars The Capital of the Golden Tower, 1991 Acciaio inossidabile dorato, legno dipinto 125 x 250 x 250 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra  Foto Roman März

James Lee Byars The Diamond Floor, 1995 Cristalli di vetro 5 parti, ciascuna: 10 x 18 x 18 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars The Tomb of James Lee Byars, 1986 Arenaria bernese ⌀100 cm Veduta dell’installazione, IVAM, Instituto Valenciano de Arte Moderno, 1995 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Acciaio dorato 2000 x 250 x 250 cm Veduta dell’installazione, Campo San Vio, Venezia, 2017 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto Richard Ivey

James Lee Byars The Spinning Oracle of Delfi, 1986 Anfora dorata  195 x 195 x 320 cm © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Moon Books, 1989 Marmo dorato in sedici parti, legno dorato 107 x 500 x 500 cm Veduta dell’installazione, Musée d’Art Moderne de Paris Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 1989 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Door of Innocence, 1986 Marmo dorato 198 x 198 x 27 cm The Figure of Question is in the Room, 1986 Marmo dorato 162 x 27 x 27 cm Toyota Municipal Museum of Art, Aichi Veduta dell’installazione, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Torino, 1989 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars The Chair of Transformation, 1989 Sedia del XVII secolo, tenda in seta rossa Sedia: 102 x 89 x 87 cm Tenda: 300 x 300 x 300 cm Veduta dell’installazione, Fundação de Serralves, Porto, 1997 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

James Lee Byars, The Golden Tower, 1990 Acciaio dorato 2000 x 250 x 250 cm Veduta dell’installazione, Martin Gropius-Bau, Berlino, 1990 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra

James Lee Byars The Unicorn Horn, 1984 Seta, corno di narvalo Corno: 20.5 x 237 cm Totale: 300 x 120 x 110 cm Veduta dell’installazione, James Lee Byars, The Palace of Perfect, Kewenig Gallery, Berlino, 2019 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra Foto Stefan Müller

James Lee Byars Ritratto, 1994 © The Estate of James Lee Byars, courtesy Michael Werner Gallery, New York e Londra © The Estate of Lothar Schnepf

Come un labirinto, l’arte ingannevole e stupefacente di Leandro Erlich a Palazzo Reale di Milano:

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nella penombra che avvolge le sale della reggia milanese, i faretti che illuminano le nuvole intrappolate in una serie di composte teche da Leandro Erlich, sembrano strapparle per un momento ad una vita propria, mutevole e pigramente movimentata. Paiono immobili per strategia, più che per necessità. Tant’è vero che se lo sguardo si sofferma su di loro troppo a lungo, si potrebbe giurare di averle viste trasformarsi, abbandonarsi a un moto delicato e continuo. Eppure sono solo disegnate (in grandezze diverse), su lastre di vetro trasparenti, sovrapposte tra loro. Geometricamente ricomposte, certo, ma pur sempre sezionate.

Le nuvole nelle teche di Erlich - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Inganni percettivi che riempiono di meraviglia e sono una cifra distintiva dell’opera dell’artista argentino, Leandro Erlich, protagonista dell’importante mostra antologica “Oltre la Soglia” a Palazzo Reale di Milano. La prima con tante opere, così rappresentative, concentrate in un’unica sede, dedicatagli non solo in Italia ma in Europa. Esposizione, che ha richiesto un mese intero di lavoro, per la sola installazione delle sculture negli spazi dello storico edificio che sorge accanto al Duomo.

Ci sono opere degli anni ’90 insieme a lavori più recenti, alcune decisamente importanti, che tratteggiano una poetica che porta lo stupefacente nel cuore della quotidianità, che tramuta in straordinario l’ordinario. Ma Erlich fa di più: insinua il dubbio nelle minute certezze della vita d’ogni giorno. E rende il pubblico parte integrante ed elemento fondamentale dell’opera d’arte.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nato a Buenos Aires nel 1973, Leandro Erlich è stato un enfant prodige dell’arte contemporanea (la prima mostra la fa a 18 anni al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires). Dopo un periodo di studi conclusosi negli Stati Uniti, Erlich, ha già sviluppato alcune delle sue opere distintive. E nel 2001 rappresenta l’Argentina alla 49esima Biennale di Venezia con l’installazione “Swimming Pool”. La stessa che nel 2008 esporrà al MOMAPS1 di New York. Adesso vive tra Parigi, Buenos Aires e Montevideo, è un uomo magro e quasi sempre sorridente, che parla tra l’altro un perfetto italiano, segno dei costanti e ripetuti rapporti intrattenuti con l’Italia negli anni (è rappresentato dall’ormai internazionale Galleria Continua nata a San Gimignano, nei colli senesi, dove conserva tutt’ora la sua sede principale) e che si descrive così:

Mi piace presentarmi come un artista concettuale che lavora nel regno del reale e della percezione. Il mio soggetto è la realtà, i simboli e il potenziale di significato. Mi impegno a creare un corpo di opere - soprattutto nella sfera pubblica - che si apra all'immaginazione, sovverta la normalità, ripensi la rappresentazione e proponga azioni che costruiscano e decostruiscano situazioni per sconvolgere la realtà. Parlando in generale”.

Lost Garden, il giardino interno apparentemente a pianta quadrata con 4 finestre, che si scopre averne due ed essere triangolare- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Erlich viene da una famiglia di architetti, professione a cui sembrava predestinato e che senz’altro avrebbe intrapreso, se non avesse nutrito una così intensa passione per l’arte. Un elemento della biografia di cui si ritrovano le tracce in tutta la sua opera. Che è fondamentalmente urbana. Fatta di ascensori, facciate, pareti, specchi, perfino il traffico.

Capace di porre in modo giocoso domande di tipo filosofico, psicologico e sociale, ma che affonda le sue radici in città.

Gli elementi del paesaggio naturale, quando ci sono, danno l’impressione di essere visti dal fondo di un canyon di palazzi (l’ombra delle foglie di alberi inesistenti in “Shadows”, la pozzanghera che riflette edifici che non ci sono in “Sidewalk”, il giardino interno con piante e finestre apparentemente quadrato di “Lost Garden”, che girato l’angolo si scopre essere triangolare; e poi le nuvole, in tutte le loro molteplici declinazioni). O, a volte, sono forieri d’inquietudine, una sensazione che punteggia il lavoro di Erlich, dietro la costante apparente allegria, esattamente come si insinua nella trama di “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll (così una finestra sospesa su una scala ad incorniciare scampoli di paesaggio nasce dalla tragedia dell’uragano Katrina, la pioggia battente dietro i vetri in una notte immaginaria crea disagio, gli oblò degli aerei a parete risvegliano la paura di volare in chi ne soffre ecc.)

Elevator Pitch- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

E poi, gli elementi del paesaggio naturale non sono gli unici in grado di suscitare fastidio nel linguaggio di Erlich. Che è capace di produrre spaesamento, come in “Elevator Pitch” (il punto di accesso di un ascensore perfettamente riprodotto, installato a parete e quindi piatto, che quando si apre svela un video in cui compaiono gruppi sempre diversi di passeggeri), in cui l’inganno è chiaro, ma il primo impulso resta quello di entrare. O di risvegliare antiche fobie. Come la paura dell’altezza in “Ascensor” (un ascensore tridimensionale collocato in mezzo alla stanza, che attraverso un gioco di specchi sembra aprirsi all’interno su un precipizio infinito). Erlich, poi, ha pure esplorato il tema della videosorveglianza e quello del voyeurismo (in mostra, ad esempio, “The View”).

Il disagio sociale (capace, però, talvolta di tramutarsi in collaborazione da parte del pubblico che si scatta foto vicendevolmente) e quindi il tema delle regole non scritte che ci spingono a muoverci come automi in mezzo agli altri, viene sviluppato, invece, in opere esposte a Milano come “Hair Salon” (si entra in una stanza che sembra in tutto e per tutto il salone di un parrucchiere, con due specchi davanti e due dietro, ma quelli frontali sono cavi e si aprono su un vero spazio speculare; capita perciò di trovarsi di fronte anziché il proprio riflesso l’immagine di un estraneo).

le barche che si riflettono nel nulla e galleggiano senz’acqua di Port of Reflections - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Tuttavia, forse nessuna opera come “Port of Reflections” (in mostra) è capace di farci perdere fiducia nei nostri sensi. Qui Erlich ha ricostruito un porticciolo, con tanto di barche a grandezza naturale, che si specchiano nell’acqua e ondeggiano dolcemente. Nella penombra di Palazzo Reale sono davvero stupefacenti per verosimiglianza, pare di sentire l’odore di salsedine. Peccato che l’installazione non comprenda nessun tipo di liquido. Anche guardando in basso è impossibile distinguere la differenza tra queste barche che galleggiano nel vuoto e quelle vere, abbandonate alle onde, in un punto d’approdo. Erlich qui, oltre a farci dubitare di noi stessi, vuole focalizzare l’attenzione sulla realtà prefigurata (il nostro paesaggio interiore) e di conseguenza sulle aspettative illusorie.

La memoria, il senso d’identità (come singoli e parte di un gruppo), sono invece temi al centro di opere come “Classroom (anche questa in mostra, riproduce un’aula scolastica che i visitatori possono vedere attraverso un vetro e in cui il loro riflesso può prendere posto, solo da determinate posizioni, però).

Leandro Erlich, Classroom (2017) Two rooms of identical dimensions, wood, windows, desk, chairs, door, glass, lights, blackboard, school supplies and other classroom decorations, and black boxes Dimensions variable

D’altra parte l’opera di Leandro Erlich, dietro l’invito al gioco e il senso di meraviglia, nasconde un cuore concettuale poliedrico. E’ un po' come quei labirinti fatti di siepi talmente alte che da fuori sembrano percorsi lineari, di tutto riposo, salvo poi perdercisi dentro.

Oltre la Soglia” di Leandro Erlich, a cura di Francesco Stocchi, organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, e promossa da Comune di Milano-Cultura, rimarrà a Milano fino al 4 ottobre 2023.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia