Paradiso di Gian Maria Tosatti: un Viaggio Immersivo tra Arte e Memoria

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

Il "Paradiso" di Gian Maria Tosatti a Milano
La mostra agli ex-Magazzini Raccordati della Stazione Centrale

A due anni di distanza dalla sua personale presso gli spazi del Pirelli Hangar Bicocca l’artista e saggista Gian Maria Tosatti torna a Milano per presentare un progetto visionario che si articola e sviluppa tra due diverse sedi espositive complementari che si riflettono l’una nell’altra.

Lo show principale si intitola “Paradiso” ed è un intervento monumentale dal forte impatto simbolico, un’installazione ambientale site-specific appositamente concepita per essere ospitata presso gli spazi degli ex Magazzini Raccordati della Stazione Centrale di Milano. A cui è stata affiancata la mostra “Es brent!” (il titolo significa “Brucia!” ed è ispirato a una canzone yiddish del ‘38) alla galleria privata Lia Rumma (la sede milanese) incentrata principalmente sulla produzione pittorica di Gian Maria Tosatti.

Gli ex Magazzini Raccordati sono un’area storica della città sottoposta al vincolo della Sovrintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, che mediante la collaborazione tra istituzioni come l’Accademia di Brera e il Politecnico di Milano, aziende e studenti, viene riqualificata e valorizzata attraverso un approccio culturale, foriero di rigenerazione urbana e rinnovata attenzione. L’Arte è in questo caso più che mai strumento universale di consapevolezza e Memoria.

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

L’artista predilige il medium dell’installazione ambientale nella sua pratica artistica, a cui si dedica da diversi anni e a cui ha lavorato lungamente per la creazione di ambienti che danno vita a un’esperienza estetica immersiva e autentica che coinvolge attivamente il visitatore. Questo approccio mira a stimolare i sensi, la percezione e il pensiero di chi fa esperienza dell’opera e non si limita ad osservarla, ma ne è coinvolto e la attraversa affrontando un processo trasformativo. Per l’artista è fondamentale che l’esperienza estetica sia compiuta pienamente, in equilibrio tra percezione e riflessione.

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

Paradiso” è una profonda metafora della condizione umana contemporanea, dominata dall’indifferenza, e nasce dall’urgenza di comunicare la mancanza di valori e moralità che investe il nostro tempo, ormai assuefatto e anestetizzato dalla violenza e dal male.

Il percorso si sviluppa su una superficie di 3000 metri quadrati, attraverso sette ambienti che mostrano un’immagine distopica di un cielo devastato, crollato, svuotato di ogni prospettiva ideale. Come afferma l’artista stesso: “Paradiso è una visione crudele e disincantata di un mondo che non crede più a sé stesso, né ad un orizzonte ideale, e abita una terra oscura, desolata, su cui il cielo é caduto in pezzi”.

Il paradiso di Tosatti è una dimensione decadente, dominata dal vuoto, desolata e abbandonata, ridotta al proprio scheletro, la cui sacralità è stata avvelenata. Le sette volte celesti sono crollate, infiltrate dall’umidità, dall’acqua, in un stato di abbandono generale. Sono ambienti in cui domina un senso di rovina, di incuria, di distruzione, tra lampadari a candelabro illuminati dalle fiammelle delle candele appesi o caduti a terra e grandi citazioni in foglia d’oro alle pareti tratte dall’Apocalisse che ci invitano a riflettere, mettendoci in discussione.

È un paradiso disabitato in cui le gerarchie angeliche non esistono più, evocate soltanto da una parete in marmo in frantumi, su cui sono classificati e incisi tutti i loro nomi. L’atmosfera è resa ancora più drammatica da angoli abitati da clochard avvolti nelle loro coperte termiche argentate, da qualche latrina sudicia, da qualche pozzanghera che si alterna a cumuli di neve di sale lungo tutto il percorso.

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

L’ottavo ambiente è dominato dal buio, illuminato soltanto da una piccola lampada su un tavolo accanto ad una radio che trasmette le note del El Mole Rahamim. Questi elementi si rivolgono direttamente in direzione di un portale in ferro serrato che si apre sul tristemente noto binario 21 da cui partirono le deportazioni nei campi di sterminio. Questa è l’immagine più evocativa del percorso in cui il potere universale dell’Arte incontra il valore della Memoria, a cui non possiamo in alcun modo sottrarci.

"Paradiso" di Gian Maria Tosatti resterà agli ex Magazzini Raccordati della Stazione Centrale di Milano solo fino all’11 Aprile 2025. “Es brent!” da Lia Rumma proseguirà invece fino all’8 maggio.

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

Gian Maria Tosatti, Paradiso 2025, ex Magazzini Raccordati (Stazione Centrale, Milano). Installation view. Courtesy the artist

L’artista della globalizzazione e del nazionalismo Yukinori Yanagi tornerà sulla scena internazionale al Pirelli Hangar Bicocca nella nuova era post-globale

Yukinori Yanagi Hinomaru Illumination, 2010 Neon, neon transformer, programming circuit, painted steel, mirror, water 220 x 450 x 660 cm Permanent installation, ART BASE MOMOSHIMA, Hiroshima Photo Road Izumiyama

Icarus la prima antologica europea di Yukinori Yanagi
La mostra dell'artista al Pirelli Hangar Bicocca di Milano

All’apice della fama tra gli anni ’90 e i primi del 2000 (non a caso, proprio nel momento di prima maturità della globalizzazione), Yukinori Yanagi sta tornando ad esporre a livello internazionale dopo aver passato un lungo periodo della sua vita su isole asiatiche remote (in cui ha costruito musei ridando slancio ad architettura, economia, turismo e demografia, oltre a consegnare ai posteri la sua opera).

E una delle tappe più importante di questa ripartenza sarà proprio in Italia il mese prossimo, quando si inaugurerà “Icarus”. La mostra, che si terrà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, infatti, sarà la prima antologica mai dedicata in Europa al sessantacinquenne giapponese.

Originario della prefettura di Fukuoka, nel Giappone meridionale, il signor Yanagi, con le sue opere concettuali ma visivamente accattivanti, esplora temi complessi come globalizzazione, tecnologia, nazionalismo, dinamiche governative e paradossi delle società attuali. Senza dimenticare materie particolarmente sensibili (in Giappone) come il sistema imperiale e la costituzione dell’arcipelago nipponico (non nacque spontaneamente ma venne imposta dagli americani alla fine della guerra). Per questo è considerato uno dei primi artisti contemporanei ad essere stati apertamente critici nei confronti della società e della politica governativa giapponese.

A regalargli il successo internazionale però furono le formiche.

Yukinori Yanagi The World Flag Ant Farm, 1990 Ants, colored sand, plastic boxes, plastic tubes, plastic pipes, monitors 180 boxes, 24 x 30 cm (each) Installation view, Benesse House Museum, Naoshima, Kagawa, Japan, 2008 Photo YANAGI STUDIO Collection of Benesse Holdings, Inc., Okayama

Intenti a scavare gallerie nelle bandiere di sabbia, erodendole e portando granelli dell’una in quelli dell’altra, i minuscoli insetti, protagonisti della serie “Ant Farm”, gli permisero di aggiudicarsi il premio Aperto (allora Aperto era la sezione dedicata agli artisti più attuali) alla Biennale di Venezia del ’93. Da quel momento in avanti il signor Yanagi si era guadagnato un posto sul palco globale dell’arte contemporanea; da cui avrebbe affrontato gli argomenti che gli stavano a cuore, attraverso un linguaggio capace di fondere cultura alta e bassa (sono frequenti i riferimenti ad insegne, personaggi di fantasia e anime). Tuttavia questa posizione privilegiata gli avrebbe portato anche delle grane (a cominciare dalla resistenza in patria verso alcune sue opere che toccavano nervi scoperti della rappresentazione dell’identità giapponese).

Ai tempi Yukinori Yanagi abitava negli Stati Uniti, dove aveva affrontato parte dei suoi studi (è stato borsista d’arte a Yale con Vito Acconci e Frank Gehry) e dove si era trasferito stabilmente dopo aver vinto Aperto alla Biennale. Del resto non avrebbe potuto fare altrimenti, visto che al principio della sua carriera aveva la sensazione di “essere intrappolato in una gigantesca bandiera giapponese, in una gabbia, inghiottito dall'identità nazionale”. In quel periodo le sue opere furono acquisite dal Moma di New York, dal Virginia Art Museum e della Tate di Londra. Ma quel ciclo era destinato a concludersi e se ne tornò in Giappone.

In un’intervista ha detto: "In un certo senso, avevo raggiunto un certo livello di successo in Occidente, ma sono sfuggito dalle 'restrizioni' che derivavano dalla fama che avevo acquisito lì e sono finito su un'isola in Giappone”.

Inujima Seirensho Art Museum, Japan, 2008 Photo YANAGI STUDIO

Prima c’è stata Inujima, un'isola nel Mare interno di Seto (al largo della costa della città di Okayama nel Giappone centro-meridionale) che nel 2017 contava una popolazione di 47 abitanti, dove c’erano i resti di una raffineria di rame abbandonata all’inizio del ‘900 e che “veniva utilizzata per depositare rifiuti”. Il signor Yanagi lì ha costruito un museo innovativo e completamente ecosostenibile (mantiene la stessa temperatura tutto l’anno attraverso l’energia di terra, vento e sole che lo illuminano pure). Al Inujima Smelter Museum è seguito il Momoshima Art Base sulla minuscola isola di Momoshima (al largo della città di Onomichi nella prefettura di Hiroshima) e poi un altro sull’isola di Anjwa in Corea del Sud (probabilmente si chiamerà Museo Galleggiante e dovrebbe essere inaugurato nella primavera di quest’anno).

Riguardo il suo impegno verso delle isolette sperdute ha spiegato: “Ho sempre amato le navi e sono il tipo di persona che non riesce a creare arte se non è vicino al mare. Penso che le isole siano come una versione in miniatura del Giappone”.

Se lo spirito provocatorio e la predilezione per temi politici del signor Yanagi, si possono leggere come dirette conseguenze della sua storia famigliare (il padre si arruolò volontario come pilota kamikaze durante la seconda guerra mondiale), l’interesse per i confini si deve alla posizione geografica della loro casa (vista la vicinanza della costa di Fukuoka alla Corea, il piccolo Yukinori raccoglieva oggetti trasportati dal mare da un Paese straniero). Nipote dell’artista d’avanguardia Miyazaki Junnosuke, fin da bambino era abituato all’arte contemporanea e, spesso, si inventava giochi che includevano la partecipazione delle formiche e di altri insetti.

A Milano oltre a dipinti in cui lui ha seguito con il pennello il percorso di una formica, ci sarà una grande versione di Ant Farm: “The World Flag Ant Farm 2025” (composta da duecento bandiere di sabbia in scatole di plexiglass che rappresentano i 193 Stati riconosciuti dalle Nazioni Unite e 7 stati che non sono membri delle Nazioni Unite come Taiwan, Tibet e Palestina. Le bandiere saranno collegate da tubi in cui si muoveranno migliaia di formiche). Altre installazioni fondamentali nel percorso dell’artista giapponese ma soprattutto un gruppo di opere completamente nuove completeranno l’importante antologica.

La mostra “Icarus” (il nome, ispirato al mito greco, fa riferimento ai pericoli della tecnologia) di Yukinori Yanagi sarà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano dal 27 marzo al 27 luglio 2025. Un periodo particolarmente azzeccato, se si pensa che solo da poco il mondo è entrato in una nuova era post-globale.

Yukinori Yanagi Icarus Cell, 2008 Iron corridor, mirrors, frosted glass, video, sound Permanent installation, “Hero Dry Cell,” Inujima Seirensho Art Museum, Okayama, Japan, 2008 Photo Road Izumiyama Collection of Fukutake Foundation, Naoshima

Yukinori Yanagi Wandering Position, 1997 Ant, steel angle, wax-crayon, monitor 520 x 520 cm Installation view, Chisenhale Gallery, London, 1997 Photo YANAGI STUDIO

Yukinori Yanagi Article 9, 1994 Neon, plastic box, print on transparency sheet, acrylic frame Dimensions variable Installation view, 8. Busan Biennale, 2016 Photo Road Izumiyama

Yukinori Yanagi Absolute Dud, 2007 Iron 305 x ⌀ 76 cm Installation view, BankART Studio NYK, Yokohama, Kanagawa, Japan, 2016 Photo Road Izumiyama

Yukinori Yanagi Project God-Zilla Onomichi U3, 2017 Mixed media, scraps from a demolished house, mirrors, acrylic, video, sound Installation view, Nishigosho Prefectural Warehouse No.3, Hiroshima, Japan, 2017 Photo YANAGI STUDIO

Yukinori Yanagi Banzai Corner, 1991 Plastic toys, mirror 112 x 239 x 241 cm Permanent installation, ART BASE MOMOSHIMA, Hiroshima, Japan Photo Road Izumiyama

Yukinori Yanagi The World Flag Ant Farm, 1990 Ants, colored sand, plastic boxes, plastic tubes, plastic pipes, monitors 180 boxes, 24 x 30 cm (each) Installation view, Benesse House Museum, Naoshima, Kagawa, Japan, 2008 Photo YANAGI STUDIO Collection of Benesse Holdings, Inc., Okayama

Yukinori Yanagi Portrait Photo Hideyo Fukuda

La Chola Poblete, un’artista indigena e queer sulla cresta dell’onda

La Chola Poblete, 2022 Foto: Agustina Lamborizio / © La Chola Poblete

La Chola Poblete

Nata a Mendoza nella parte nord-occidentale dell’Argentina (a ridosso delle Ande) come Mauricio trentacinque anni fa e cresciuta in una famiglia indigena di pochi mezzi prevalentemente femminile, La Chola Poblete, è oggi un artista in vertiginosa ascesa. La partecipazione alla Biennale d’arte di Adriano Pedrosa “Stranieri Ovunque. Foreigners Everywhere dove ha ottenuto la menzione speciale della giuria, infatti, non è venuta da sola. E, dopo aver vinto il prestigioso premio “Artist of the Year” di Deutsche Bank, il suo colorato universo dolente, animato da madonne, dee, simboli pop, erotismo e crudo umorismo, adesso è al centro della mostra “Guaymallénal” (da un dipartimento nella provincia della sua città natale) al Mudec di Milano.

Se non bastasse, a giugno, si è confrontata con il mercato iper-competitivo della fiera più famosa in assoluto (Art-Basel). E poi i segnali premonitori c’erano già tutti, quando, durante Arco Madrid, la Regina di Spagna l’aveva voluta conoscere dopo essere stata colpita dai suoi acquerelli esposti nello stand della galleria che la rappresenta. Pare che La Chola Poblete, la cui opera è in gran parte una critica delle dinamiche post-coloniali, trovandosi di fronte Letizia abbia affermato: “Come stai? Eccoci qui, cinquecentotrenta anni dopo!”, suscitando un momento d’imbarazzo prontamente superato nella sovrana.

La Chola Poblete: Virgen del Carmen de Cuyo, 2023 Watercolor, acrylic, and ink colors on paper, 200 x 152 cm © La Chola Poblete

L’argentina, che dalla ricercatrice e curatrice, María Amalia García, sul sito e sul catalogo della Biennale, viene descritta così: “è un’artista transdisciplinare che opera con performance, videoarte, fotografia, pittura e oggetti: attraverso un sofisticato immaginario queer, recupera conoscenze ancestrali dai territori sudamericani(…)”, sembra non essersi però montata la testa. In un’intervista rilasciata in occasione dell’inaugurazione al Mudec ha detto: “È un periodo intenso. Ma guardami: io non sono cambiata per niente!” E poi forse è difficile credere a un cambiamento duraturo in un mondo ondivago come quello dell’arte contemporanea.

La Chola Poblete, che a Venezia è arrivata accompagnata dalla madre e dalla sorella al loro primo viaggio al di fuori del Paese, abita da anni a Buenos Aires dove da poco occupa uno studio in un’immobile prestigioso arredato con opere di alcuni dei più famosi artisti contemporanei come Leandro Erlich ed ha perfino un assistente. Ma non è sempre stato facile per lei: quando, fresca di laurea in Arti Visive a Mendoza, è arrivata nella capitale argentina, ha dovuto adattarsi a lavorare in un collettivo. Poi è arrivata qualche vendita e, pian-piano le cose hanno cominciato a marciare.

La Chola Poblete: Virgen de la Carrodilla, 2023 Watercolor, acrylic, and ink colors on paper, 200 x 152 cm © La Chola Poblete

Attualmente opera con vari medium che usa per parlare della propria identità. Si concentra sul suo essere queer e indigena ma non mancano simboli riferiti alla quotidianità pura e semplice (il condor ad esempio, perché volteggia sulle Ande) e alla banalità stereotipata di un immaginario globalizzato (i manga, etichette di prodotti di consumo ecc.). Ma anche alla storia (il barocco andino) e all’attualità dell’arte (“Comedian”, la banana che Maurizio Cattelan ha appeso a un muro, che compare in più di un’opera). Negli acquerelli, spesso eseguiti su larga scala, alla precisione calligrafica di alcuni elementi se ne contrappongono altri appena abbozzati, oltre a scritte e motivi decorativi, in un turbinio concitato e apparentemente spontaneo. Mentre il colore, vivo, a momenti accostato per toni contrapposti, tra eleganti chiaroscuri e colature drammatiche lotta per prendere il sopravvento sulla narrazione e sul bianco del supporto.

All’interno di questi pezzi ci sono i simboli prediletti da La Chola Poblete come: la madonna, le patate e il pane. In merito alla prima (che nelle sue opere appare idealizzata ma anche leggermente rivisitata, e sovrappone alla Vergine Maria la divinità latinoamericana della Pachamama) lei ha raccontato in un’altra intervista: “(…) Mio nonno è morto a 33 anni. Si raccontava che da ragazzo, in Bolivia, avesse trovato sepolta sotto terra la figura di una vergine. La prese e gli dissero che avrebbe dovuto adorarla: se trovi una piccola vergine devi adorarla sempre. Non l'ha fatto. Era uno stronzo, l'ha lanciata e si è rotta. Poi gli dissero che una maledizione lo avrebbe seguito. Ed è cresciuto con quell'idea. Morì fulminato, all’età di Cristo, e in punto di morte disse: ‘Questo è per la Vergine’. Quindi, sono cresciuta con rispetto per la Vergine a causa di questo mito familiare su quanto potente potesse essere questa figura (…)” Aggiungendo poi: “(…) Un giorno ho comprato un rotolo per realizzare grandi acquerelli. Stavo per compiere 33 anni e cominciavo ad avere paura di questo karma. Ho pensato che fosse ora di rompere con tutto ciò. Allora decisi di fare trentatré vergini, affinché mio nonno potesse riposarsi. È da lì che ho iniziato con la serie (…)”.

La Chola Poblete lavora alle opere di pane per la mostra al Mudec al panificio Davide Longoni di Milano

Le patate invece, che spesso usa sotto forma di snack prelevandole semplicemente dai sacchetti della multinazionale Lay’s, simboleggiano soprattutto la deprivazione del suolo latino-americano da parte dei colonizzatori (questi ultimi, ha spesso raccontato, le credevano frutti infernali perché crescevano sottoterra e volevano spingere gli indigeni a smettere di mangiarle).

Mentre il pane, con cui fa anche delle sculture (al Mudec ne sono esposte diverse realizzate per l’occasione), ricorda la fertilità della terra, l’originarietà e il nutrimento ma l’artista argentina lo ha anche paragonato all’acquerello: “Quando realizzo una maschera di pane o lavoro con l'acquerello fuso, entrambi seguono un percorso irreversibile. Da un lato, la pasta assume diverse sfumature di colore a seconda di quanto tempo rimane nel forno, cambiando forma, lievitando, crepando e bruciando. Allo stesso modo, l'acquerello distorce il disegno, si mescola con altre macchie e crea nuove forme. Ho la sensazione che questi materiali abbiano una qualità performativa, incarnando la mutevolezza e il flusso”. Senza contare che è un materiale deperibile.

Alcune opere de La Chola Poblete si possono ammirare alla Biennale di Venezia 2024 (fino al 24 novembre). Molte di più rimarranno invece al Mudec di Milano per tutta la durata della mostra a lei dedicata (fino al 20 ottobre soltanto). La personale “Guaymallénal” è a ingresso gratuito.

La Chola Poblete: Virgen de la leche, 2023 Photograph, 152 x 160 cm © La Chola Poblete

La Chola Poblete, Guaymallénal, Mudec. Installation view.. Photo ©juleherin

La Chola Poblete, Guaymallénal, Mudec. Installation view.. Photo ©juleherin

La Chola Poblete, Guaymallénal, Mudec. Installation view.. Photo ©juleherin

La Chola Poblete, Guaymallénal, Mudec. Installation view.. Photo ©juleherin

La Chola Poblete, Guaymallénal, Mudec. Installation view.. Photo ©juleherin